Direi di iniziare dal principio. |
Magari al giorno d’oggi date per scontato che il genere avventura sia il regno di Tim Schafer o Roberta Williams, ma inizialmente l’alternativa “intellettuale” all'obliterazione di flotte di alieni o ai lisergici labirinti da attraversare ingoiando pillole non prevedeva né avatar su schermo né tantomeno icone da incrociare con verbi, quella sorta di magia binaria che permetteva anche ai più arcigni detrattori delle interfacce testuali di conquistare la governatrice Elaine o interagire con scoiattoli bicefali, a seconda di personalissimi orientamenti che non sarò certo io a giudicare.
No, uno dei primissimi esempi di tale illuminata alternativa al classico sollazzo arcade risale al 1976, gloriosa annata che ha visto la nascita di importantissime eccellenze. Sì, ho quarantaquattro anni, ma procediamo.
Parliamo ovviamente di Colossal
Cave Adventure, fondamentale tassello nella storia dell'informatica scritto da William Crowther, programmatore e
speleologo che pensò bene di basare la topografia della sua avventura sotterranea sulla mappa delle Mammoth
Cave nel Kentucky, un sistema di caverne che aveva romanticamente esplorato in gioventù assieme a Pat, la sua prima moglie. Il viaggio era arricchito da elementi fantasy come
draghi e parole magiche, oltre a una sana dose di umorismo nascosta
nel parser testuale che
rispondeva per le rime al giocatore di fronte alle richieste più
assurde. Ancora più importante, Colossal Cave Adventure fu un evento
fondamentale, dato che iniziò alla professione numerose menti
illustri come la già citata Roberta Williams di Sierra Online. Alla lista
degli “illuminati” si aggiunse Pete Austin, un appassionato
di Dungeons & Dragons iscritto alla facoltà di psicologia presso la
prestigiosa università di Cambridge, dove rimase un ulteriore anno
per studiare le allora pionieristiche scienze informatiche. Un
interesse condiviso dal fratello Nicholas, di cui parleremo tra un
attimo.
Dicevamo: Pete conclude gli studi ed è preso benissimo dalle
nuove divinità in silicio, tanto che programma un gestionale destinato alle banche per puro hobby prima di trovare lavoro presso Perkin-Elmer, una fabbrica di
computer. Dopo aver fatto ciao ciao alla laurea in psicologia viene stregato dalla
visione di Colossal Cave Adventure, e lì scatta il colpo di fulmine. Pete gioca e completa l'avventura durante i momenti di pausa, coinvolgendo la sua famiglia in questa improvvisa infatuazione: l'immaginazione dei fratelli Nicholas
e Mike viene utilizzata per generare ambientazioni e idee, e la sorella Margaret e il padre John sono rispettivamente appuntati responsabile della distribuzione e
direttore dei progetti, laggiù nell’ High Wycombe, a ovest di
Londra.
I tre fratelli Austin. |
Così nasce la Level 9 Computing, un nome scelto per suggerire l'alto livello di qualità del futuro portfolio, essendo il valore più alto ottenibile da una cifra a singolo zero. I primi titoli furono giochi arcade e utility per il Nascom, computer con 16k di memoria in kit di montaggio basato sul sempiterno Zilog Z80, uscito verso la fine degli anni Settanta. Il software ludico era prevedibilmente basato sui successi arcade del momento, mascherato da titoli ASSOLUTAMENTE ANONIMI quali Space Invasion, Asteroid e Missile Defence, mentre le utility mostravano un'invidiabile padronanza del codice come nel caso dell’Extension Basic, che arricchiva il BASIC del Nascom con nuove istruzioni.
Pete non aveva però dimenticato il primo amore: era convinto di poter far entrare Colossal Cave Adventure nella risicatissima memoria del Nascom, e per questo sviluppò l’A-code, un interpreter estremamente performante grazie a delle snelle routine di compressione del testo, l’ideale riversare un gioco simile all'interno di un hardware decisamente rudimentale. Ci volle un anno intero per sviluppare l’interpreter e permettere a Mike di realizzare il gioco, ma i risultati furono migliori delle più rosee aspettative. Colossal Adventure (1983) non era infatti una conversione nuda e cruda della fatica di Crowther, ma aggiungeva nuovi elementi come una mappa più estesa, che vantava la bellezza di duecento schermate contro le centotrenta del gioco originale. Alcuni oggetti vennero spostati per valorizzare un certo numero di ambienti inizialmente vuoti e privi di utilità, mentre il finale fu completamente rielaborato: nell’originale la caverna collassava dopo che il tesoro era stato faticosamente raggiunto, costringendo il giocatore a una corsa a ritroso per evitare di rimanere sepolto vivo, mentre nella nuova versione un buon numero di eventi originali come il salvataggio di un gruppo di elfi dona un maggior coinvolgimento a quella che era originariamente poco più di una semplice corsa all'oro.
La prima incarnazione di Colossal Adventure... |
Verso la
fine del 1983 si passò alle iconiche scatole in cartone, con
l’illustrazione in copertina circondata da un motivo raffigurante
il logo L9 ripetuto diagonalmente, e manuali di istruzioni colorati a
seconda della macchina. Nel 1984 lo stile cambia ancora una volta,
con astucci in plastica nera al posto del cartone. Infine, più
avanti, venne reclutato l’illustratore Godfrey Dowson, artista
autodidatta che aveva inizialmente tentato di entrare nel mondo dei
videogiochi con l’illustrazione per il gioco Mega Vault, commissionata dalla
Imagine ma mai pagata né utilizzata.
A questo punto le istruzioni
sarebbero state stampate sul retro di poster ripiegabili,
rappresentati le illustrazioni di Godfrey. Tornando ai giochi, finita
la gavetta con le conversioni arcade fatte in casa e portato
finalmente Colossal Cave Adventure dai proibitivi mainframe agli ormai
diffusi home computer, Pete e fratelli si buttarono su lavori
originali. Adventure Quest (1983) è praticamente il seguito di
Colossal Adventure, ambientato secoli dopo. Qui i passati ruolistici
di Pete si fanno sentire, con il nord del regno in preda alla siccità
e minacciato da una misteriosa presenza a capo di un esercito di orchi che elimina senza pietà chiunque venga mandato a indagare. Poi è la volta di Snowball, avventura testuale
dove il giocatore deve evitare l’impatto dell’astronave
Snowball 9 con una stella. Poiché gli Austin ricevevano un
insospettabile numero di richieste d’aiuto da parte di
videogiocatrici, il personaggio principale di Snowball si chiama Kim
Kimberly, un nome che non ne lascia intuire il sesso in modo che maschietti e femminucce potessero immedesimarsi senza distinzioni. Il numero delle aree visitabili si aggira sulle settemila (!), sebbene molte locazioni
vengono ripetute a oltranza all’interno di alcuni labirinti,
differenziate dal solo colore.
Questo era un po’ il tallone d’Achille della giovane e ingenua Level 9: tante stanze e schermate strombazzate sulle confezioni e nelle pubblicità, ma i loro giochi erano spesso lenti a causa del gran numero di zone da attraversare in cui non si faceva praticamente nulla. Insomma, realizzare mappe su un foglio a quadretti strappato dal quadernone di matematica era una cosa bellissima in quegli anni, un po’ meno se dovevi mappare settemila quadratini!
Da lì in poi, i fratelli Austin stabilirono una regola d'oro: se un gioco poteva essere completato da cima a fondo conoscendo la soluzione in mezzora o giù di lì, allora l’equilibrio tra il numero di stanze e gli enigmi sarebbe stato perfetto. Un compromesso benvenuto tanto dai giocatori quanto dagli stessi sviluppatori, dato che i playtest delle varie versioni dei giochi rischiavano di rubare veramente troppo tempo.
Per concludere in bellezza un 1983 così produttivo ecco che arriva Dungeon Adventure, seguito di Adventure Quest e degna conclusione della trilogia iniziata con Colossal Adventure. Questi giochi sarebbero divenuti famosi come la Middle Earth Trilogy (paragone obbligatorio visto il gran numero di idee pescate dalla magnum opus di Tolkien come torri nere, orchi e demoni) e successivamente raccolti e riproposti da Firebird nel 1986 con il nome collettivo Jewels of Darkness, rivisti e abbelliti da schermate grafiche.
... e la sua versione rivista e corretta per la compilation Jewels of Darkness. |
Ma non solo: Return to Eden implementa per la prima volta nella storia di Level 9 timide schermate grafiche a corredo dell’interfaccia testuale.
Timide per davvero, eh: su Spectrum occupano un terzo della metà superiore, tipo francobollo, mentre su Commodore 64 sono grandi il triplo. Qualunque sia stato il vostro sistema (rigorosamente con più di 32k di memoria) all’epoca, il succo era sempre quello: le immagini occupavano una misera manciata di byte, vero miracolo di programmazione tirato fuori dal cilindro di Mike assieme a una nuova revisione dell’a-code. C’era il trucco: le schermate erano composte da un numero prefissato di asset come alberi o nuvole che venivano richiamati di volta in volta, ma il risultato era comunque apprezzabilissimo e da allora la produzione Level 9 non sarebbe potuta tornare indietro, nonostante il quantitativo di nuove uscite all’orizzonte e le richieste di aiuto che costrinsero il pur volenteroso Pete a mandare in pensione i vecchi moduli che affollavano la buca delle lettere di casa Austin. Questi vennero sostituiti dalle clue sheet, soluzioni “intelligenti” scritte in modo tale da impedire che il lettore incappasse nella spiegazione di un enigma che non aveva ancora affrontato.
Tra le uscite importanti è doveroso segnalare Red Moon (1985), dove Level 9 cerca di implementare alcuni elementi da gioco di ruolo nella più classica delle avventure testuali, vedi i punti ferita. Stavolta è il turno di David Williamson ad affiancare Pete nella creazione del gioco, aggiungendo alcuni elementi spassosi: l’acciaio blocca l’uso della magia, quindi se indossate un’armatura e volete salvare la partita capitate male, dato che l’opzione di salvataggio è un sortilegio a tutti gli effetti!
E poi il 1985 finisce con il botto. The Worm in Paradise è il capitolo conclusivo della cosiddetta Sylicon Dream Trilogy, comprendente Snowball 9 e Return to Eden. Ambientato un secolo dopo gli eventi del precedente episodio, Eden è ora un pianeta completamente cambiato, che incarna lo spirito di un’utopica società senza crimine e ricca di risorse, con l’immancabile marcio ben nascosto sotto la facciata dorata. Il gioco è il più maturo e intellettualmente impegnato dell’intera produzione Level 9, e si permette l'ardire di espandere ulteriormente gli spunti filosofici e religiosi di Return to Eden: l’umanità colonizza pianeti in un’era in cui la scienza permette viaggi spaziali e un benessere mai visto prima, tuttavia, curiosamente, gli astri perfettamente adatti alla vita sono convenientemente vicini l’un l’altro.
Il dono di Dio per i suoi figli o l’allevamento di un’entità che, prima o poi, tornerà a reclamare il suo bestiame?
Snowball, finalmente a sedici bit. |
Nasce durante questa operazione l’amicizia con lo scrittore Peter McBride, che scrive la novella di 43 pagine The Darkness Rises a corredo della trilogia fantasy e l’analoga Eden Song per quella fantascientifica, buttando le basi per una collaborazione che andrà avanti per anni. Sotto questo nuovo vessillo, il primo e ultimo prodotto originale è Knight Orc (1987), avventura umoristica nei puzzolenti panni dell’orco Grindleguts, oppresso dagli umani e desideroso di rivincita. Il gioco gira sul nuovissimo sistema KAOS (acronimo anagrammato per Knight Orc Adventure System), scritto in C e decisamente potente, troppo per le versioni su cassetta che risulteranno prive delle schermate grafiche presenti su disco, ispirate alle illustrazioni di Godfrey Dowson. L’avventura è eccellente, divisa in tre capitoli ambientati in un mondo fantasy ricco di citazioni e ammiccamenti (quella riferita all’inizio de Lo Hobbit è particolarmente gustosa) che nasconde una realtà ben più particolare.
Purtroppo l'unione tra i bug presenti nel gioco e l’inettitudine di Rainbird nel pubblicizzarlo fece scoppiare la bomba, e Level 9 si trovò improvvisamente senza un publisher in un mercato che stava cambiando come testimoniano le modeste vendite di Gnome Ranger (1987) e del suo seguito Ingrid’s Back (1988). Ottimi racconti a metà strada tra il fantasy classico e la satira sociale, ma al momento di far quadrare i conti il tramonto della cosiddetta interactive fiction appariva ormai ineluttabile.
Lancelot (1988, pubblicato per Mandarin, affiliato di Database Publications) provò a ingolosire i giocatori con la sua interpretazione del ciclo arturiano, aggiungendo come incentivo una sobria replica del Santo Graal in oro del valore di cinquemila sterline, destinata a chi avrebbe risolto un particolare enigma nascosto, una vera e propria meta avventura che vide vincitore il giornalista John Sweeney.
Un amore in salotto. |
Quello che seguì fu lo HUGE (wHoley Universal Graphic Environment), un motore che portò alla creazione di Champions of the Raj, ovvero Defender of the Crown visto da francesi e inglesi nell’India del diciottesimo secolo. Un flop spaventoso, nel caso non ne aveste mai sentito parlare.
Champions of the Raj venne accolto da un tripudio di pernacchie e bollato come un brutto imitatore della Cinemaware che fu. |
Dato che
l’ispirazione era palese, Level 9 ci provò in seguito alla corte della stessa
Cinemaware, realizzando con il medesimo sistema la conversione di It Came From the
Desert per MS-DOS e ST, giusto in tempo per incrociare la bancarotta della
compagnia di Robert Jacob, perdendo in questo modo qualcosa come
centomila sterline!
The Legend of Billy the Kid sarebbe
stato l’ultimo titolo sviluppato da Level 9, ma non venne mai
pubblicato.
The Legend of Billy the Kid è stato ufficialmente abbandonato da Ocean, tuttavia una versione giocabile è reperibile su internet. |
Nessun commento:
Posta un commento