Robert "Bob" Jacob è una delle menti a cui voglio più bene nel panorama del videogioco americano.
Un uomo che, con il suo lavoro e il favorevole incrocio tra due passioni, ha creato una delle firme più conosciute e iconiche dell'epoca d'oro degli home computer a sedici bit, anticipando con successo il concetto di “film interattivo”
prima che i supporti digitali divenissero la norma nell'industria
del videogioco.
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lo storico logo dal 1985 al 2005 |
Ma per capire la portata della sua intuizione, questa deve essere contestualizzata a tecnologie e tempi: torniamo quindi indietro al 1984, anno in cui la vena imprenditoriale di Bob gli aveva permesso di riscuotere un certo successo come talent scout,
vendendo
giochi scritti da giovani programmatori indipendenti a compagnie importanti come
Activision e Epyx.
In un'era in cui un singolo ragazzotto poteva
scrivere da solo un capolavoro nella sua camera da letto, un agente come mr. Jacob aveva
trovato un fiorente mercato in cui investire energie.
Il suo fiuto
non venne meno l'anno successivo, quando mise le mani su una delle
prime versioni di Amiga; da fanatico videogiocatore quale era, trovarsi di fronte alle potenzialità della nuova macchina Commodore fu una rivelazione.
Bob era infatti un assiduo frequentatore delle sale giochi, disilluso dalla profonda disparità tra le potenzialità di Apple II e Commodore 64 rispetto agli splendidi coin-op dell'epoca. Con la potenza del nuovo Amiga,
aveva finalmente a portata di mano il mezzo per traghettare nelle case quello spettacolo audiovisivo che era solito ammirare e nutrire a suon di gettoni.
Bob Jacob, apro parentesi,
sognava da sempre una carriera
da regista; da qui l'idea di creare videogiochi dal forte spessore narrativo, affidandosi alle incredibili possibilità del nuovo hardware, rappresentò il naturale connubio tra le
sue passioni.
Affiancato dalla moglie Phyllis, decisamente più
pratica di lui sul piano economico e manageriale, Jacob radunò
attorno a sé un talentuoso gruppo di creativi che condivideva la sua
passione per la narrazione e i suoi ideali.
Per fare qualche nome,
David Riordin aveva un
background hollywoodiano,
John Cutter aveva uno straordinario talento
come game designer e
Jim Sachs era un eccellente grafico che da solo
creò tutte le schermate del primo titolo della neonata Cinemaware, ovvero il leggendario
Defender of the Crown (1986).
Chi ha vissuto quegli anni ricorderà
l'acerbo panorama a 16 bit: spesso e volentieri queste macchine,
orfane di software ludico dedicato, facevano pigramente mostra di sé
sugli scaffali dei negozi, mostrando qualche word processor e la conversione di Marble Madness, se proprio la giornata procedeva col vento in poppa.
Nulla, insomma, che potesse
spingere lo smanettone anni '80 a mettere in cantina il fido Commodore
64 per effettuare il costoso upgrade.
Ma Defender of the Crown era un
bestia diversa...
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Forse il color cycling più famoso della storia dei sedici bit. |
Bastavano le prime, splendide note della fanfara composta da Jim Cuomo per capire l'importanza del momento, e presto il passaparola tra gli appassionati e le foto
sulle riviste avrebbe fatto il resto,
consacrando il gioco come prima, vera killer
application a 16 bit.
Bob ricorda con soddisfazione la nascita
di quel monumentale titolo:
l'ispirazione viene dal classico gioco da
tavolo Risiko, rimpiazzando però l'esito del tiro di dado con dei minigiochi. Questo era un po' il marchio di fabbrica delle
produzioni Cinemaware: giochi prevalentemente strategici dove la
pianificazione veniva spezzata da sequenze arcade e schermate d'intermezzo dalla singolare bellezza, sicuramente inarrivabile per
le altre softco dell'epoca.
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Cosa sarebbe un film senza attori? |
Dopo aver abbracciato la visione di Bob, il game designer Kellyn Beck entrò in sintonia con John Cutter per formare una squadra idonea allo scopo.
Jim Sachs, ad esempio, era stato incontrato durante una collaborazione tra Master Designer Software (primo nome della Cinemaware)
e Aegis Development, mentre
il maestro del suono Jim Cuomo vebbe "rapito" durante un viaggio di lavoro a Los Angeles!
Quando dicevo che il software iniziale di Amiga era piuttosto scarso non scherzavo: Sachs dovette disegnare la grafica usando l'arcaico Graphicraft un pixel alla volta, perché il leggendario Deluxe Paint non era ancora uscito. Non furono solo dolori, però:
lo standard ILBM (interleaved bitmap format)
permetteva un color cycling dopo aver impostato due colori, rendendo possibili senza eccessivo sforzo effetti come la luce delle torce o le onde del mare sulla mappa strategica, una vera manna per i grafici dell'epoca. Cuomo realizzò il sonoro al pianoforte, e Bill Williams (vedi sotto) lo trasferì con successo su Amiga.
RJ Mical impacchettò il tutto in sei settimane, sviluppando un tool chiamato Mical Game System, prevedendo il suo utilizzo anche nei titoli futuri. Per la cronaca,
Mical al giorno d'oggi è responsabile di strumenti di sviluppo simili presso SONY, mentre il suo talento ha contribuito alla creazione di titoli per 3DO e Lynx.
Una piccola curiosità: per l'animazione dei cavalieri al galoppo durante i tornei, Sachs utilizzò le
sequenze fotografiche di Eadweard Muybridge.
Suona familiare? Va bene, le ho usate anche io per un'introduzione in flash al lavoro lustri fa, quando le pagine introduttive animate non erano ancora il male, facciamo coming out.
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A mano. Pixel per pixel. Ché magari leggendolo a parte rende meglio l'idea. |
Comunque, per quanto potesse essere impressionate,
l'originale Defender of the Crown su Amiga è frutto del crudo bisogno di battere cassa. Un pensiero non contestabile, vista la fucina di menti dietro al progetto.
Tralasciando i ritmi di lavoro folli, con
Sachs costretto a disegnare venti ore al giorno da casa, la versione originale su Amiga avrebbe potuto essere assai migliore.
Il team voleva ad esempio realizzare i duelli durante i raid nei castelli nemici con una visuale in prima persona, ma alla fine si optò per i semplici omini stilizzati.
Non per nulla nelle successive versioni per ST e C64 venne aggiunto un ulteriore pizzico di strategia, con la possibilità di impartire ordini alle truppe durante le battaglie, scegliendo tra opzioni come la carica (
ferocius attack) dei cavalieri o l'accerchiamento (
outflank) con cui ottenere un bonus in base alla leadership.
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L'arrivo di Deluxe Paint agevolò non poco la conversione delle schermate per il Commodore 64 |
Lo pseudo seguito uscito su CD32 (1993) è più che altro un Defender of the Crown 1.2, con l'obiettivo finale modificato: ora al giocatore viene chiesto di racimolare il riscatto per liberare Re Riccardo, piuttosto che tenersi il trono per sé, dopo aver riunito l'Inghilterra.
Jim Sachs si occupò quasi completamente del gioco, commissionato dalla Commodore sull'orlo della bancarotta. Non solo grafica come ai vecchi tempi quindi, ma si diede da fare per reclutare doppiatori con cui registrare l'audio in cinque diverse lingue, e riscrisse ogni singola riga di codice con The Director, un linguaggio simile al Basic orientato alle animazioni.
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Una delle poche schermate nuove di zecca per Defender of the Crown II |
Un altro elemento ricorrente nella produzione Cinemaware, riprendendo il discorso, è
la corsa contro il tempo: sia che si tratti di racimolare il lunarium
in Rocket Ranger che di ammassare un'invincibile armata in Defender
of the Crown, il giocatore è sempre spinto a compiere scelte
efficaci per non sprecare nemmeno un turno. Tutto il resto è
“semplicemente” magia Hollywoodiana rinchiusa in una manciata di
floppy disk: Jacob ricorda la scena d'amore in seguito al
salvataggio della dama in DOTC con affetto, descrivendola come un clichè
cinematografico che voleva implementare nel suo primo gioco a tutti i
costi.
I giochi della Cinemaware erano del resto basati su riconoscibili
canovacci cinematografici e, se per il primo successo la fonte
d'ispirazione va trovata nei film di cappa e spada con Errol Flynn, per
S.D.I., uscito nello stesso anno, si pesca a piene mani nel regno delle space
drama e degli spy movie, come Moonraker (Operazione spazio - 1979) e From Russia with Love (Dalla Russia con amore - 1963).
Da non confondere con l'omonimo, misconosciuto clone di
Missile Command targato SEGA, eh!
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Questo qui. |
S.D.I. (Strategic Defence Initiative, il
controverso programma di scudo stellare, uno dei tanti simboli della
guerra fredda) narra una storia d'amore proibita tra il comandante di
una stazione spaziale americana e la sua controparte femminile
sovietica.
Nel 2017
sia gli Stati Uniti che una sopravvissuta Unione Sovietica dispongono ognuno del proprio sistema S.D.I., ma un partito rivoluzionario russo sorto da una cellula del KGB minaccia il già delicatissimo equilibrio tra le due superpotenze. In seguito alla cattura di basi militari, i cattivi sono pronti a far piovere missili nucleari dal cielo se il Kremlino non capitolerà e l'America non smantellerà il suo programma S.D.I.
Il protagonista McCormick dovrà gestire i dodici satelliti antimissile e combattere in prima persona alla guida del suo caccia stellare F-59 contro le forze nemiche, in un titolo focalizzato principalmente sugli scontri spaziali con un motore poligonale discretamente fluido per i tempi, almeno su Amiga.
Su ST si avverte qualche incertezza, mentre in questa versione, per qualche motivo, i laser del F-59 sono monocromatici. Meglio che su MS-DOS, poco ma sicuro, con la scheda CGA che la fa da padrone e i paesaggi ridotti a tristissime distese in wireframe.
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"The screen burns with forbidden passion and global war", come recita lo slogan in copertina. |
L'anno successivo esce
The king of Chicago, stavolta ispirato alle pellicole a base di gangster e mitragliatrici Thompson.
Bob sceglie per questo progetto
Dough Sharp,
un ex insegnante di cui anni prima aveva commercializzato un
titolo per C64, ChipWits.
Un gioco da recuperare ad ogni costo: con un sistema di programmazione ad icone, un robot viene istruito per superare labirinti di crescente difficoltà. Un po' come il LEGO Mindstorm, ma senza mattoncini. Volete provarlo senza cercare una copia su Ebay, magari con una veste aggiornata?
Pronti!
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Geniale. |
Dough crea la versione originale del gioco
per Machintosh su schermo monocromatico, digitalizzando modellini di
argilla per i volti dei protagonisti con risultati quantomeno
bizzarri. Un passo avanti sulla strada del film interattivo, ma le
conversioni per gli altri formati a 16 bit modificarono
sostanzialmente la grafica, a favore di un look più canonico e
“digeribile”.
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La recensione di The King of Chicago nella sua forma originale, su un numero di MACazine risalente al 1987 |
Ambientato nell'era del proibizionismo in seguito
all'arresto di Al Capone, The King of Chicago mette il giocatore nei
panni di un giovane gangster intenzionato a diventare il nuovo re
della malavita a discapito delle altre famiglie, dopo aver scavalcato il
proprio mentore. Tra azioni criminali da pianificare, sequenze
d'azione e l'ormai immancabile love story da portare avanti, il gioco
ricevette un'ottima accoglienza da parte della critica.
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La nuova veste del gioco su Amiga. Molto meglio. |
Nel 1987 è
la volta di Sinbad and the Throne of the Falcon. Essendo Jacob un fan dei vecchi film di Sinbad, realizzare un gioco con
questa ambientazione sarebbe stato un tributo necessario. Al timone
del progetto c'è il compianto
Bill Williams (ci ha lasciati nel 1998),
un uomo
straordinario in grado da solo di ricoprire i
molteplici ruoli di programmatore, designer e grafico. Forse a causa
di questo sovraccarico di lavoro la versione Amiga risulta graficamente la
peggiore del gruppo, assolutamente non all'altezza della precedente
produzione Cinemaware.
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Ma proprio una cosa indegna. |
Una completa opera di correzione venne effettuata per la
conversione sugli altri sistemi, con un occhio di riguardo per quanto
riguarda il C64, computer affermatissimo negli stati uniti:
con una
grafica tirata a lucido e sequenze arcade parzialmente reimmaginate,
la versione ad 8 bit surclassa in ogni campo l'originale e viene
premiata con un massiccio 95% sul nostrano Zzap!
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Un po' Douglas Fairbanks, un po' VIC-II: Sinbad è un gran figo sul C64. |
L'unico rammarico è
dovuto alla proibitiva difficoltà: Sinbad ha solo una vita e fallire
una sequenza arcade sancisce il game over. Un po' poco per cercare di salvare il sultano dalla maledizione che lo ha tramutato in falco, lottando contro terremoti, ciclopi e gli emissari del Principe Nero.
Il problema può però essere
parzialmente aggirato chiedendo al genio della lampada una possibilità extra.
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Mindwalker, il PRIMO gioco commerciale per Amiga, porta la firma di Bill Williams. Rispetto. |
Lo stesso anno il brainstorming tra Jacob e John Cutter crea
The Three Stooges, primo gioco della Cinemaware su licenza.
Gli “Stooges” del titolo, in Italia
noti come “I tre marmittoni”, sono Larry, Curly e Moe, un
leggendario trio di comici estremamente famoso in America a partire
dagli anni 30.
Bob desiderava assolutamente utilizzare
materiale originale e Cutter ebbe l'idea di creare un gioco da tavolo,
dove a determinate caselle corrispondevano sottogiochi ispirati a
vere scene dei film degli Stooge.
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Adorabile sin dalla presentazione. |
Lo scopo è racimolare 5000
dollari per salvare l'orfanotrofio di un'anziana vedova dalla
confisca ad opera di un malvagio banchiere,
ma incassare una maggiore quantità di denaro alla fine del gioco sbloccherà finali alternativi, con la
struttura restaurata e il matrimonio tra i tre protagonisti e le
figlie della donna. I sottogiochi sono vari e straordinariamente
caratterizzati da sprite riconoscibilissimi e uso di schermate e
audio digitalizzato.
Come già detto si rifanno a scene realmente
apparse nelle pellicole originali: si va dalla battaglia a torte in
faccia ad un bizzarro incontro di boxe dove è necessario procurare una radio nei panni di Larry, affinché la musica faccia infuriare Curly
sul ring prima che il suo avversario lo metta KO. Il gioco fu uno dei
maggiori successi della casa americana, arrivando ad essere riproposto
nel 2002 su PSX e Gameboy Advance dalla “rinata” Cinemaware
Corporation.
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Con il violino rotto, tocca a Larry trovare un sostituto per far arrabbiare Curly... |
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...come una radio, possibilmente prima che il compare venga steso sul ring! |
Prima e durante gli anni in cui il Programma
Apollo si dava da fare per spedire l'uomo sulla luna, personaggi come Flash Gordon, Buck Rogers
e Rocket Robin Hood godevano di un riconoscibile fascino nella
cultura popolare a stelle e strisce.
Tra questi Commando Cody era
particolarmente amato da Bob Jacob: protagonista di due serie
televisive negli anni cinquanta, rappresenta lo stereotipo del
rocketman,
il supereroe che solca il cielo con uno zaino a razzo, simbolo di
quella fantascienza un po' ingenua
portata in auge da King of the
Rocketmen, seminale capolavoro della Republic Pictures nel 1949.
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Commando Cody nella sua prima apparizione. |
Bob si rivolse direttamente a loro per ottenere la licenza del
personaggio, tornando a casa, però, con un pugno di mosche:
Steven
Spielberg in persona ne aveva acquisito i diritti, sebbene fino ai
giorni nostri rimangono utilizzati. Non scoraggiato, Jacob provò ad
interpellare
Dave Stevens, eccezionale fumettista
conosciuto principalmente per la serie a fumetti
The Rocketeer,
sgargiante affresco dell'epopea degli uomini razzo di cui parlavamo
prima.
Sfortunatamente, per la seconda volta Cinemaware era arrivata
tardi: in questo caso un colosso come la Disney Pictures si era
accaparrata gli agognati diritti per realizzarne un film omonimo,
uscito nel 1991.
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Purtroppo anche Dave Stevens ci ha lasciato. Era il 2008. |
A tal proposito Lloyd Levin, il produttore di The
Rocketeer,
ammise che la scena dello zeppelin nazista, assolutamente
assente nel fumetto originale,
era stata ispirata proprio da Rocket
Ranger (1988), probabilmente il titolo più apprezzato da Bob Jacob in persona, poiché miscela ideale di tutto quello che la Cinemaware
doveva rappresentare.
I lettori di TGM più anziani lo ricorderanno
sicuramente, essendo il primo gioco a riscuotere un impressionate 99% sul terzo numero della rivista nel Novembre 1988, assieme al
controverso Menace dei DMA.
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Un deposito di lunarium nascosto nelle rovine sudamericane! |
In un secondo conflitto mondiale alternativo, i nazisti sono sul
punto di vincere la guerra grazie al Lunarium, un minerale estratto sul nostro satellite in grado di trasformare gli uomini in zombie senza
cervello. Nei panni del Rocket Ranger, il giocatore dovrà
sventare la minaccia dell'asse gestendo una rete di spionaggio con cui setacciare il globo alla ricerca di indizi che lo porteranno a costruire un missile, volare sulla luna e infine scoprire il
segreto dietro l'inarrivabile tecnologia tedesca, il tutto prendendo a pugni orde di crucchi o abbattendo squadroni di
stuka con una pistola al lunarium, indossando nel frattempo un
futuristico zaino a razzo.
Anche stavolta delle eccellenti sequenze
arcade si alternano a schermate e sequenze animate di sicuro effetto:
grandioso il game over con la svastika calata sulla Casa Bianca, o
l'intro che narra l'avanzata nazista in un'opprimente monocromia.
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La versione tedesca del gioco sostituiva i nazisti con alieni, un po' come su NES. |
Per
contrastare l'allora nascente problema della pirateria a 16 bit, il
gioco includeva nella confezione dei codici difficili da fotocopiare per ottenere il
quantitativo esatto di Lunarium da caricare nel serbatoio del
jetpack per volare tra due destinazioni;
in Italia vennero pubblicati tra le pagine della rivista Videogame & Computer World in uno dei momenti più imbarazzanti
della stampa videoludica di allora.
La versione Amiga è
la migliore, ma è doveroso menzionare la postuma versione Nes,
pubblicata dalla Kemko: bruttissima e trascurabile se non fosse per
la trama, che rimpiazza i nazisti con un popolo di invasori alieni
eliminando ovviamente le svastike dalle schermate originali. Curiosamente la pubblicità americana del gioco, apparsa sulle riviste di settore, parla di una "evil master race", mostrando un Rocket Ranger in versione Flash Gordon inseguito da un velivolo pilotato da quello che sembra un trio di nazisti in uniforme.
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Come la mettiamo allora? |
Rocket Ranger è apparso anche in un'omonima miniserie edita nel 1991 dalla Adventure, una divisione della Malibu Comics. Sfortunatamente la sesta e ultima parte non venne mai pubblicata.
Con
Lords of the Rising Sun (1989) Cinemaware torna indietro nel tempo, raggiungendo il Giappone del dodicesimo secolo in un titolo che deve parecchio alla formula originale di Defender of the Crown.
Lo shogun Yorimasa è morto, lasciado dietro di sé un titolo vacante e un paese sprofondato nella guerra civile, tra bande di ronin senza padrone e signorotti locali che aspirano militarmente al potere assoluto.
Il giocatore può scegliere se impersonare Yorimoto o Yoshitsune, due fratelli desiderosi di riunire il Sol Levante sotto un unico stendardo.
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La bellissima mappa di Yamato. Doug Barnett è stato un po' una cometa nella storia di Cinemaware, ma aveva classe. |
Il primo è un guerriero provetto; scegliendolo dovremo smanettare con tutti i sottogiochi, mentre il secondo è un genio militare e ci permetterà di concentrarci sulla parte strategica. Per vincere è necessario conquistare i quattordici castelli sparsi sulla mappa strategica, lottando alla testa delle nostre truppe e gestendo attentamente stanchezza e morale dei guerrieri. Se ci si sente particolarmente scaltri è possibile inviare dei ninja per assassinare i nemici, ma nel caso venissimo scoperti l'unica alternativa sarebbe il seppuku.
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Qualcuno c'ha pensato prima di noi, assoldando un assassino per ucciderci. Qui bisogna deflettere gli shuriken abbastanza a lungo da permettere ad un samurai di eliminare il ninja . |
I sottogiochi non sono numerosi, ma hanno il loro fascino. I combattimenti campali sono particolarmente apprezzabili, decisamente più appaganti di quelli di Defender of the Crown. In caso di vittoria è particolarmente gustosa la possibilità di inseguire a cavallo il generale nemico e trucidarlo durante la sua ritirata.
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Altro che i numeri e gli omini stilizzati di Defender of the Crown. |
Sembra una versione ante litteram di Shogun Total War, e in effetti è così:
Mike Simpson di Creative Assembly ha ammesso nel documentario
The Total War Story che
la serie Total War deve molto ai samurai di Cinemaware.
Il gioco vide la luce anche su CD-I e Turbografx CD,
stranamente saltando l'Atari ST.
Una versione per Commodore 64 venne annunciata sulle pagine di Ace, ma non uscì mai.
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Sembra Tafazzi, ma è un assassino ninja nella versione CD-I |
Il gioco è sostanzialmente lo stesso, fatta eccezione per l'aspetto grafico, con l'uso di attori e fondali digitalizzati per la macchina Commodore e un restyling grafico totale sulla piattaforma NEC.
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In foto, il sottogioco in cui inseguire il generale nemico su Turbografx sembra quasi un livello di Tenchi wo Kurao. |
It Came
from the Desert (1989) rappresenta un primato, essendo il primo gioco
Cinemaware a necessitare dell'espansione di memoria per il buon vecchio
Amiga 500. È stato anche l'unico titolo della softco americana a ricevere un seguito/data disk (Antheads) che continuava le vicenda immediatamente dopo il finale del primo capitolo.
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Il fantastico parlato dell'introduzione giustificherebbe da solo l'acquisto dell'espansione. |
Stavolta l'apporto di Jacob è limitato, essendo il gioco
figlio di David Riordan, ex
creativo al soldo di Lucasfilm. Durante una ricerca presso il MIT, rimase affascinato dal concetto di narrazione interattiva applicata ai laser disc, e contattò Bob via posta, dopo essere stato stregato da Defender of the Crown. I due si incontrarono e David espresse subito il desiderio di creare un'avventura di fantascienza in perfetto stile anni cinquanta, con insettoni giganti e bellissime donne in pericolo.
E così fu: il gioco è ambientato nella fittizia
cittadina di Lizard Breath e cala il giocatore nei polverosi panni di un ricercatore, coinvolto suo malgrado in una lotta contro il tempo per racimolare
le prove dell'esistenza delle formiche giganti (mutate in seguito ad
un meteorite) da presentare allo scettico sindaco in sole due settimane; in seguito sarà possibile mobilitare l'esercito
e organizzare la resistenza prima dell'estinzione della razza umana.
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Uno dei sottogiochi della versione Turbografx: praticamente dobbiamo salvare il minatore, inizialmente ostile, dall'assalto delle baby formiche. |
Ma, considerata la formazione cinematografica di David, egli affrontò la creazione di It Came from the Desert come se si trattasse di un film vero e proprio, con
la trama scritta nero su bianco dall'inizio alla fine con tanto di storyboard. In seguito avrebbe elaborato quali momenti potevano essere alterati ludicamente dal giocatore, mentre lo sceneggiatore Ken Melville si diede da fare per caratterizzare gli eccentrici abitanti della città, dall'alienato leader della Neptune Society agli Hellcats, la gang di bulli locale.
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La fuga dall'ospedale, indispensabile per evitare di perdere tempo prezioso ingurgitando pappine, è uno dei sottogiochi preferiti dai fan. |
Richard Levine fornì i mezzi per per trasformare le idee di David e Ken in realtà binaria, creando un rivoluzionario e abbordabile strumento con cui inserire nelle varie locazioni dialoghi, oggetti chiave (ad esempio le prove necessarie per convincere il sindaco) e uno dei sei sottogiochi. Così semplice da non necessitare la conoscenza di linguaggi di programmazione.
La cittadina può essere esplorata grazie ad una bellissima mappa, che David aveva inizialmente realizzato su carta. Magari finora non ci avete fatto caso, ma le varie locazioni prendono nome dai talenti che hanno dato il loro contributo al gioco, come nel caso del Melville Hospital, del Jacob Mining o del O'Riordan's Bar.
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It Came from the Desert fa il verso al classico del 1954 "Them!" (Assalto alla terra), a sua volta citato da Fallout 3 nella quest "Those!" |
Con It Came from the Desert la Cinemaware ha provato a percorrere nuove strade, sperimentando in modo assolutamente pionieristico per
creare un gioco con attori in carne ed ossa, combinando la tecnologia
del Blue Screen e il capiente supporto dei CD-ROM. Una simile premesse diede purtroppo vita
alla versione su CD per Turbografx,
probabilmente uno dei giochi più trash e beceri che abbia mai avuto
il dubbio piacere di provare, in parte per la recitazione infima degli
attori coinvolti ma, in special modo, per le pessime
sequenze arcade totalmente diverse da quelle originali, purtroppo di
ben altra pasta.
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Senti NEC, se proprio dovevi dimostrare le capacità del CD-ROM bastava Lords of Thunder, serio... |
Ma la gita del gioco nel paese delle console avrebbe dovuto toccare anche il Megadrive con
una versione mai pubblicata, tuttavia completa e giocabile tramite emulatore. Si tratta di uno sparatutto a scorrimento verticale sullo stile di Commando, caratterizzato da un livello di difficoltà a dir poco brutale. Ci vorranno nervi d'acciaio anche solo per far superare al protagonista Buzz (un disinfestatore di insetti al posto dell'anonimo ricercatore del gioco originale) l'assalto delle formiche all'inizio del primo livello.
La rom è stata... uh... generosamente resa disponibile per il download gratuito sul sito della Cinemaware, come leggeremo più avanti.
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Ogni tanto l'interazione con qualche personaggio interrompe il massacro. |
Wings (1990) è l'ultimo, grandissimo "film interattivo" della casa americana, espressamente desiderato da Jacob in seguito
all'indigesta lettura del gigantesco manuale di Falcon della Spectrum
Holobyte. Non a caso la documentazione di Wings
era esclusivamente
dedicata ad avvenimenti storici, senza mascherare la natura arcade
della "simulazione", che vantava un'efficace motore poligonale unito a
squisite sequenze d'azione bidimensionali, come i passaggi a volo radente contro i convogli militari nemici o i bombardamenti di obiettivi strategici.
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Le missioni di bombardamento, dove i poligoni lasciano il posto alla grafica bidimensionale. |
La storia del
conflitto viene narrata nel diario di un pilota di biplani della prima
guerra mondiale,
donando a Wings un fattore emotivo notevole: tra
le pagine sono progressivamente annotate le vittorie, la vita in
caserma e le inevitabili perdite a partire dall'ingresso nel cinquantaseiesimo squadrone durante il Marzo del 1916, sotto la guida del Colonnello Farrah.
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Il compleanno del Colonnello Farrah, annotato tra le pagine del diario. |
La guerra viene narrata pagina dopo pagina con uno stile biografico e personale; questo rende Wings un gioco
profondamente emozionante, oggi come ieri, in grado di intrattenere ad un livello
superiore.
Il tutto arricchito da una gradevole componente RPG che dona il giusto senso di progressione, tra medaglie da guadagnare e abilità del protagonista da potenziare. Il gioco venne successivamente riproposto per Game
Boy Advance con un'inedita campagna nei panni di un pilota tedesco,
permettendo quindi di vivere l'avventura dalla parte del nemico.
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Arriverà il momento di fare i conti col Barone Rosso, evitando le sue mitragliatrici nell'ambiente vettoriale in terza persona, mentre lo sprite del suo Fokker rimane in primo piano. |
Se il
grande schermo aveva ispirato la totalità della produzione
Cinemaware “classica”, il sontuoso spettacolo dello sport visto
in televisione fu la scintilla dietro alla serie TV Sports. Si
tratta di simulazioni sportive giocabili ed estremamente curate,
combinando anche stavolta una realizzazione tecnica esemplare con
tutte quelle chicche alle quali la Cinemaware ci aveva abituato: dai
commentatori prima della partita agli stacchetti con le cheerleader,
dalle interviste tra le azioni di gioco alle pubblicità di
fantomatici sponsor.
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Bob Jacob si dichiarò deluso dalla versione DOS di TV Sports Football. Vagli a spiegare che alla EGA era difficile chiedere di più... |
L'unica pecca è l'assenza delle squadre
ufficiali, sebbene i nomi di team e giocatori possano essere editati e
salvati. Football (1988) e Basketball (1990) hanno fatto incetta di
recensioni lusinghiere, avvantaggiati dal roseo periodo in cui sono
stati pubblicati, ovvero quando la softco era al top del suo
leggendario team creativo.
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Non si chiama Tv Sports Basketball per nulla... |
Simile sorte infatti non toccò ai postumi
Boxing e Baseball, usciti in seguito alla bancarotta della
Cinemaware, pubblicati solo in Europa e sviluppati principalmente per
il PC che, nel frattempo, era divenuto la macchina da gioco per
eccellenza, scalzando l'Amiga dal suo trono.
TV Sports
Hockey, addirittura,
uscì solo ed esclusivamente per Turbografx nel 1991, entrando
in diretta competizione con NHL di Electronic Arts su Megadrive.
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Troppo poco, troppo tardi. |
Un confronto impari, concluso nell'unico modo possibile.
In effetti la
scelta di entrare nel mercato console in quegli anni
era dettata dal
bisogno di battere cassa per foraggiare la società: la console Nec
venne scelta poiché SEGA of America rifiutò la somma richiesta da
Jacob per sviluppare software per il Megadrive.
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Il corpulento reporter Don Badden ricorda nel nome e nelle fattezze una famosa leggenda della NFL... |
Purtroppo l'hardware
del Turbografx cominciava a mostrare qualche anno di troppo; come se la competizione contro il Megadrive non fosse sufficiente, l'arrivo del Super Nintendo in America fu il colpo finale.
Nel 1991 un serioso editoriale di
Stefano Gallarini su TGM diede l'annuncio della morte della
Cinemaware, puntando il dito contro la pirateria.
Si tratta in realtà solo di uno
dei motivi: un altro si nasconde nella sottoetichetta
Spotlight
Software, nata con lo scopo di pubblicare software europeo in America. Quella che potrebbe sembrare una buona fonte di introiti si rivelò un'arma a doppio taglio: localizzazione di giochi e
manuali,
debug e scelte sbagliate gravarono pesantemente sulle
finanze e sul nome della società.
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Federation of Free Traders venne pubblicato da Spotlight Software. La versione ST fu ferocemente criticata nelle recensioni, gettando cattiva luce sulla successiva uscita su Amiga, stavolta rivista e corretta. |
Un altro motivo fu la tremenda versione Turbografx CD di It Came from the Desert, sviluppata in seguito ad un accordo con la NEC, che in cambio avrebbe acquistato il 20% della compagnia.
Fu una tragedia, con il gioco che succhiava fondi a livelli pazzeschi, arrivando a costare lo sproposito di SETTECENTOMILA DOLLARI. Venne concluso da David Riordan in fretta e furia, ma il livello infimo della produzione non permise di recuperare l'investimento.
Nel 2000 la compagnia è risorta
ad opera di Lars Batista e Sean Vesce con il nome Cinemaware
Inc., non riuscendo però a rendere onore allo storico marchio,
limitandosi a riproporre i classici del passato aggiornati
graficamente ("Digitally Remastered") in un mercato oramai abituato a ben altro. Oltre a questi figurano nello scarso catalogo edizioni portatili di alcune vecchie glorie, come il già citato Wings per GBA. L'unico
titolo completamente originale fu Robin Hood: Defender of the Crown (2003),
in ogni caso eccessivamente legato alle obsolete meccaniche dell'antenato.
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Se puo' servire a qualcosa, a me era piaciuto. |
La chicca per i nostalgici erano sicuramente le immagini dei giochi da scaricare sul nuovo sito della storica softco nella sezione The Vault, da giocare legalmente tramite emulatore, oltre agli .exe delle versioni MS-DOS. Nel 1995 lo storico marchio è stato riscattato dalla eGames, mantenendo Lars Batista nell'organico.
Nota: una versione estremamente basilare di questo articolo venne pubblicata circa dieci anni fa sul forum di TGM. Era brutta, breve e da cancellare col fuoco, tuttavia doveva essere il primo pezzo per il mio sito di retrogaming che non realizzai mai. Una edizione successiva, rivista e corretta, la scrissi per la Time Machine, tuttavia i limiti editoriali non mi permisero di espandere il testo come avrei voluto, anche spezzettandolo a dovere. Sì, anche sulle pagine di The Games Machine vado in crisi quando si parla di articoli in più parti, pace. La propongo qui nella sua versione definitiva per la prima volta, per festeggiare la recente pubblicazione di Rocket Ranger su Android e il lancio della pagina Kickstarter per il remake di Wings.