giovedì 27 marzo 2014

Soldier on: una rassegna sugli sparatutto ad ambientazione militare. Capitolo 1: PC Engine, NES parte 1.

La nostra (mia, per lo meno) generazione è un po' reduce del Vietnam, per parafrasare Ortolani.
Tra un Rambo al cinema e un Ikari Warriors in sala giochi, abbiamo assorbito una simile dose di giungle, M16, napalm e elicotteri a volo radente sul fogliame da rendere il riflesso di quel conflitto parte del nostro DNA, così come erano stati i duelli nel selvaggio West per i nostri genitori.
I videogiochi, manco a dirlo, hanno avuto un certo peso in questa formazione proto militaristica, quindi, se vi garba, vi beccate uno speciale sui titoli militaristici di un certo spessore. Il secondo speciale arriva quando arriva, ché purtroppo ho abbondantemente perso la voglia di scrivere dopo gli eventi capitati di recente nella mia vita privata.
Tornando a bomba, occhio però, niente alieni o esseri bavosi: a casa Contra, ripassa un'altra volta Victory Road, stavolta si parla solo di rudi uomini con le gambe immerse nel fango che corrono verso l'elicottero mentre attorno scoppia l'inferno, morendo, eventualmente, in ginocchio con le braccia al cielo. "La prima vittima della guerra è l'innocenza" e tutto il resto.

PC ENGINE 

È il 1987, e la stampa britannica perde la testa per il mostriciattolo bianco della NEC. Di riflesso, l'anno successivo, toccherà anche a noi perdere il sonno al pensiero di quella scatoletta bianca dannatamente sexy in grado di offrirti la libidine di una sala giochi in una manciata di tessere grandi come schede telefoniche, ché all'epoca le carte di credito non sapevo manco come fossero fatte. Anni prima del dono dal cielo di San Salmoria e dei suoi apostoli, il PC Engine era il nostro MAME, la nostra desideratissima, inarrivabile terra promessa.

Può il paradiso essere sconquassato da raffiche di mitra binario e dirompenti granate? Avoja: nel 1989 fa la sua apparizione  Narazumono Sentō Butai Bloody Wolf, conversione di un coin-op guerrafondaio pubblicato da Data East l'anno precedente.

La visuale laterale giustifica il pulsante del salto, che a sua volta rende la navigazione dei livelli più dinamica e interessante.
Osa parecchio Bloody Wolf, non limitandosi ad una corsa forsennata verso la fine del livello a fuoco spianato, introducendo invece elementi avventurosi come la raccolta di oggetti in grado di facilitare la missione del nostro commando, da recuperare dentro scatole celate dentro camion o baracche.
Che Yoshiaki Honda abbia apprezzato metal Gear durante la creazione del suo titolo? Chi può dirlo; è innegabile che l'esplorazione sia una componente importante in Bloody Wolf (nome della versione occidentale) tanto quanto la padronanza dell'amatissimo pad NEC, qui costretto a fare gli straordinari, con il tasto select adibito al lancio delle granate mentre i pulsanti "titolari" si occupano di far saltare e sparare il nostro uomo d'azione.

A differenza del genitore a gettone, Bloody Wolf su PCE è in realtà un Lone Wolf, ma Joe Dever non c'entra: era solo uno squallido gioco di parole per dire che nella conversione è saltata la modalità per due giocatori contemporaneamente. Tristezza e disperazione da una parte, dall'altra, invece, ecco che la Data East si prodiga per creare una versione riveduta e corretta del gioco originale, con livelli più grandi, boss più impegnativi ed una resa grafica più soddisfacente, specialmente nei fondali. Certo bisogna scendere a compromessi, nella fattispecie avere lo stomaco di sopportare alcuni dei rallentamenti più letali che si siano mai visti sullo scatolotto NEC, ma il lungo livello extra che inizia subito dopo la fine del coin-op non è affatto male. Giustifica anche la mancanza della modalità cooperativa: il leader nemico con il fetish per i boomerang morde la polvere, il presidente è salvo ma, in una botta di taccagneria, l'elicottero adibito all'estrazione (pilotato dal soldato che NON scegliamo all'inizio, attenzione) non ha posti liberi e costringe il nostro soldato a diventare prigioniero di guerra!

La missione di salvataggio extra: labirintica, in una sola parola.
Quella che segue è una missione di salvataggio lunga un intero livello nei lerci parti dell'altro soldato, quello che pilota l'elicottero per intenderci, caratterizzato da un'inedita struttura aperta a scorrimento multidirezionale, alla ricerca di prigionieri di guerra e indizi sulla locazione del commilitone perduto. Bloody Wolf è un ottimo titolo, nonostante la mancanza dell'aspetto multigiocatore possa suggerire altrimenti. Poca roba è stata modificata durante il viaggio in occidente, come il crocefisso sostituito da una zampa di coniglio. Oltre a raccogliere armi extra è inoltre possibile montare sulle moto nemiche, ma al contrario dei carri armati di Guevara e Guerrilla War, queste vanno in panne con uno sputo. Oh, sono moto abbandonate in un campo di battaglia, mica Street Hawk.

Last Alert è un gioco emblematico. Sì, perché all'epoca quella schermata à la Kenshiro apparsa sulle news dal Giappone delle riviste di videogiochi occidentali non sapevo mica da dove venisse, ma era cazzutissima.

Questa qui!

Solo che, nonostante il CD-ROM alle spalle, il gioco della Laser Soft non è che convinca più di tanto a causa di un livello di difficoltà soporifero.
Guy Kazama è l'unico reduce del suo plotone e viene richiamato per dare la caccia ad un'organizzazione terroristica governata da quattro cattivi stereotipati al punto giusto. La visuale è dall'alto e lo sprite di Guy cambia a seconda del livello (con una tenuta polare nello stage innevato o la classica fascia rossa tra i capelli per i momenti più sobri) mentre lo schema di gioco alterna sostanzialmente livelli a scorrimento verticale a quelli dove l'esplorazione libera la fa da padrone, alla ricerca di prigionieri o loculi in cui piazzare bombe a tempo.

Odio questo livello. Grosso, noioso e con un sacco di prigionieri da salvare...
Ma i proiettili nemici sono lenti e Guy ha una scorta d'energia che non ne vuole sapere di scendere (nota: non sono mai morto durante la prima partita, tot anni fa, dall'inizio alla fine) oltre i livelli di guardia: addirittura  il nostro sale di grado accumulando punti, guadagnando armi extra e godendo di scorte energetiche sempre più massicce.
A questo si aggiunge il salvataggio dei progressi, parzialmente giustificato dalla lunghezza dell'avventura ma, a conti fatti, ennesimo chiodo piantato nella bara di un livello di difficoltà spaventosamente inesistente. Ci sono anche armi secondarie da racimolare e usare al momento opportuno come granate, lanciafiamme o proiettili a ricerca, tuttavia il fuoco di base è tanto efficace da farci dimenticare della loro esistenza...

La fuga à la Operation Wolf. Raggiungi l'aereo Guy!
Peccato, perché per un gioco uscito alla fine degli anni ottanta (letteralmente, viene pubblicato in Giappone il 28 Dicembre 1989) la grafica è deliziosa, con una varietà di ambientazioni e situazioni davvero notevole, dalla rincorsa di un aereo in partenza in puro stile Operation Wolf al confronto finale su una stazione spaziale, con scene d'intermezzo e dialoghi in grado di mantenere avvincente la narrazione. Si potrebbe osservare che Red Alert (il nome americano del gioco e no, non ha nulla a che fare con i Westwood) cerca di compensare con la qualità - peraltro molto buona - i limiti di uno schema di gioco rodato, ma non perfettamente affinato.

NES

Oh, le cose si fanno interessanti: sul colosso Nintendo l'odore del napalm infesta il silicio alla grande, una roba che mi costringe a tagliare in due l'elenco.
Partiamo da Platoon, vi va? Lo so, può sembrare un titolo strano, eccessivamente disorientante all'inizio per l'utente console medio, abituato a massacri militareschi di ben più immediata fruizione.
Il titolo Sunsoft ti butta invece nel mezzo di una labirintica e monotona giungla sotto l'assedio di vietcong invasati e senza la minima idea di dove andare e, sopratutto, cosa fare. Ma è un gioco importante, perché rappresenta un significativo spartiacque con il passato.

Prima del 1987 realizzare un tie-in voleva dire aspettare l'uscita del film e decidere in base alla popolarità se valeva la pena spendere i soldi in diritti, sperando di arrivare sugli scaffali in contemporanea all'arrivo della pellicola nel mercato home video. Ma quell'anno alla Ocean intuirono il potenziale del film di Oliver Stone, impossessandosi dei diritti MONDIALI prima del suo debutto sul grande schermo. Diavolo di Jon Woods.
Una mossa così vincente che Sunsoft dovette rivolgersi alla casa di Manchester per poter sviluppare il suo adattamento su Nintendo, finendo con il convertire il gioco inizialmente realizzato sui computer a otto bit, con tanto di riedizione della colonna sonora di Jonathan Dunn

Uguale-uguale-uguale.
Da allora, complice anche il successo di Robocop e relativi diritti ceduti a Data East, Ocean divenne tanto importante da convincere le case cinematografiche del potenziale lucrativo nascosto sotto il rinato mercato videoludico, tanto da concedere i diritti per le loro pellicole in largo anticipo, in modo da permettere la pubblicazione dei tie-in in contemporanea con l'uscita in sala dei film a cui si ispiravano!
Però oh, avete ragione sulla scarsa accessibilità del gioco: era frutto di quella struttura multievento che sarebbe diventata marchio di fabbrica degli adattamenti griffati Ocean, offrendo varietà rispetto ai fallimentari modelli di fiaschi come Knight Rider o Highlander.
Che poi la casa di Manchester aveva questa fissazione di offrire livelli iniziali indigesti, in grado di scacciare via potenziali acquirenti sul nascere, vedi The Vindicator.

Con un primo livello così, chi ha bisogno di nemici?
Tornando a Platoon, sono presenti quattro sezioni con stili di gioco completamente diverse, dal dedalo del primo livello alla ricerca di esplosivi con cui far saltare un ponte strategico a una sezione in prima persona, assolutamente avanti rispetto ai suoi tempi, giù nel complesso di gallerie dei vietcong.
Su NES il gioco è bene o male identico, un filo più lento e facile rispetto alla versione originale; c'è da dire che se Platoon offriva un rapporto qualità-prezzo a prova di bomba su c64 per diciottomila lire, lo stesso non si poteva dire su NES, con il costo delle cartucce considerevolmente più alto. 

Per diciottomila lire ti portavi a casa il gioco, una foto del plotone, un poster e un'audiocassetta con Tracks of my Tears di Smokey Robinson, la colonna sonora del film. È sempre festa negli anni Ottanta...

La SNK era attivissima su NES, presentando le conversioni di Ikari Warriors, Guevara e Ikari 3, oltre a Great Tank, il padre di tutta la tradizione militaristica di Shin Nihon Kikaku.
Più o meno, dai: è la versione home rivista e corretta di T.N.K.III, primo titolo SNK a usare lo stick rotante che avrebbe fatto la fortuna di Ikari Warriors e soci, nonché il primo gioco a vantare la presenza di Ralf Jones (Paul nelle versioni occidentali), tra l'altro durante la seconda guerra mondiale, come puntualmente dichiara il titolo della versione occidentale.


A questo punto spunta un altro di quei paradossi temporali cari alla SNK, tipo il giovane Geese in Ryuko 2: quanto diavolo dovrebbe essere vecchio Ralph?!

Alla faccia della conversione diretta del gioco originale su computer a otto bit, appassionante come un flacone di antidepressivi, mediocre nella grafica e atroce nel sistema di controllo, con un guazzabuglio tra joystick e tastiera che ti raccomando, guarda.


Il gioco dove devi ballare la rumba tra joystick e tastiera solo per sparare in diagonale...

Su NES c'è una spruzzata di profondità in più, con comunicazioni via radio e la gestione degli attributi (a lunga distanza, perforanti, esplosivi e fuoco rapido) dei proiettili del piccolo carro armato, ma nulla che possa risultare tanto alienante da distogliere il giocatore dall'azione vera e propria. Un gioiellino firmato Eikichi Kawasaki, una delle leggende viventi di SNK, ora in pensione ma mente dietro una lunga serie di giochi di successo, nonché responsabile della rinascita dell'attuale SNK Playmore.

Ikari Warriors, invece, è una pila sterco. Sviluppata da Micronids, più che una conversione è un simulatore di calvario: i protagonisti si muovono lentamente, gli sprite sfarfallano che è un piacere, gli extra, come un picchiatore postatomico armato di clava à la Mad Max, fanno pena e il lungo mega livello presente in sala giochi è stato diviso in quattro stage lunghi e brutti come il debito, con uno dei boss finali più patetici della storia dei videogiochi.

Gli stai davanti fermo e lanci le granate = profit.

L'ultimo livello, tra l'altro, vanta una palette cromatica talmente sotto acido e brutta che, se ci arrivi volendoti proprio male, tipo ti bussano alla porta Jeff Minter e Tony Crowter solo per darti del drogato e portarti in comunità.


Ovini psichedelici ovunque.
Per par condicio Ikari 3 è parecchio meglio, migliore del coin op originale e delle TERRIFICANTI, sparute conversioni per home computer come quella per C64, un incubo blocchettoso scritto nel 1990 in un momento di scazzo totale, verso la fine dell'era a otto bit.


"Uccidimi..." ndC64.

Ikari 3 su NES va capito e amato, perché l'inizio può lasciare spiazzati a causa dell'insensato pulsante del calcio ,che fa esibire il nostro rude commando in una piroetta sul posto stille ballerina del Bolshoi.


"I've had the time of my life..."
Meglio focalizzarsi su pugno e calci volanti in questo atipico picchiaduro con visuale dall'alto, ben più accessibile rispetto a quanto visto in sala giochi.
Quello che viene sacrificato sul fonte grafico viene quindi restituito con gli interessi dalla giocabilità finalmente godibile, forte di un livello di sfida finalmente slegato dalle abitudini mangia gettoni del fratello maggiore. I livelli sono reimmaginati con alcune gustose varianti, come una sgambata subacquea con pinne, fucile e occhiali dove il gioco si trasforma in uno sparatutto a scorrimento verticale, nonché nemici nuovi di zecca, tra cui gli obbligatori ninja e boss inediti.


 Meglio del coin op. Non ci voleva molto.

Guevara/Guerrilla War come conversione ha tutto, specie se paragonata agli orrori usciti sui computer a otto bit nel Natale del 1988. Ci sono livelli extra davvero spassosi, tra cui uno stage bonus su carrelli da miniera in cui salvare i prigionieri con un lazo mentre il NES fa gli straordinari, abbinando all'alta velocità dell'instabile veicolo alcuni affascinanti effetti di rotazione, e alcuni nemici nemici piuttosto curiosi come una coppia di ricorrenti bestioni di fine livello, che hanno la pessima abitudine di afferrare Che e Fidel (dai, la storia originale di Guevara/Guerrilla War la conoscete) e scagliarli per lo schermo, a volte direttamente al livello successivo, senza troppi convenevoli.


Uno degli stage extra esclusivi su NES.

È anche bello tosto, ma la possibilità di continuare all'infinito toglie un po' di mordente alla sfida, purtroppo. A conti fatti si tratta anche stavolta di un miglioramento rispetto all'originale, e i livelli in più offrono una sfida gradevole al contrario di quanto accade in Ikari Warriors, dove l'overdose di contenuti trasforma il tutto in una brutale tortura.