martedì 12 novembre 2013

Cinemaware: gli anni d'oro.

Robert "Bob" Jacob è una delle menti a cui voglio più bene nel panorama del videogioco americano.
Un uomo che, con il suo lavoro e il favorevole incrocio tra due passioni, ha creato una delle firme più conosciute e iconiche dell'epoca d'oro degli home computer a sedici bit, anticipando con successo il concetto di “film interattivo” prima che i supporti digitali divenissero la norma nell'industria del videogioco. 

lo storico logo dal 1985 al 2005
Ma per capire la portata della sua intuizione, questa deve essere contestualizzata a tecnologie e tempi: torniamo quindi indietro al 1984, anno in cui la vena imprenditoriale di Bob gli aveva permesso di riscuotere un certo successo come talent scout, vendendo giochi scritti da giovani programmatori indipendenti a compagnie importanti come Activision e Epyx.


In un'era in cui un singolo ragazzotto poteva scrivere da solo un capolavoro nella sua camera da letto, un agente come mr. Jacob aveva trovato un fiorente mercato in cui investire energie. Il suo fiuto non venne meno l'anno successivo, quando mise le mani su una delle prime versioni di Amiga; da fanatico videogiocatore quale era, trovarsi di fronte alle potenzialità della nuova macchina Commodore fu una rivelazione.
Bob era infatti  un assiduo frequentatore delle sale giochi, disilluso dalla profonda disparità tra le potenzialità di Apple II e Commodore 64 rispetto agli splendidi coin-op dell'epoca. Con la potenza del nuovo Amiga, aveva finalmente a portata di mano il mezzo per traghettare nelle case quello spettacolo audiovisivo che era solito ammirare e nutrire a suon di gettoni.

Bob Jacob, apro parentesi, sognava da sempre una carriera da regista; da qui l'idea di creare videogiochi dal forte spessore narrativo, affidandosi alle incredibili possibilità del nuovo hardware, rappresentò il naturale connubio tra le sue passioni.

Affiancato dalla moglie Phyllis, decisamente più pratica di lui sul piano economico e manageriale, Jacob radunò attorno a sé un talentuoso gruppo di creativi che condivideva la sua passione per la narrazione e i suoi ideali.

Per fare qualche nome, David Riordin aveva un background hollywoodiano, John Cutter aveva uno straordinario talento come game designer e Jim Sachs era un eccellente grafico che da solo creò tutte le schermate del primo titolo della neonata Cinemaware, ovvero il leggendario Defender of the Crown (1986).
Chi ha vissuto quegli anni ricorderà l'acerbo panorama a 16 bit: spesso e volentieri queste macchine, orfane di software ludico dedicato, facevano pigramente mostra di sé sugli scaffali dei negozi, mostrando qualche word processor e la conversione di Marble Madness, se proprio la giornata procedeva col vento in poppa.

Nulla, insomma, che potesse spingere lo smanettone anni '80 a mettere in cantina il fido Commodore 64 per effettuare il costoso upgrade.

Ma Defender of the Crown era un bestia diversa...

Forse il color cycling più famoso della storia dei sedici bit.
Bastavano le prime, splendide note della fanfara composta da Jim Cuomo per capire l'importanza del momento, e presto il passaparola tra gli appassionati e le foto sulle riviste avrebbe fatto il resto, consacrando il gioco come prima, vera killer application a 16 bit.

Bob ricorda con soddisfazione la nascita di quel monumentale titolo: l'ispirazione viene dal classico gioco da tavolo Risiko, rimpiazzando però l'esito del tiro di dado con dei minigiochi. Questo era un po' il marchio di fabbrica delle produzioni Cinemaware: giochi prevalentemente strategici dove la pianificazione veniva spezzata da sequenze arcade e schermate d'intermezzo dalla singolare bellezza, sicuramente inarrivabile per le altre softco dell'epoca.

Cosa sarebbe un film senza attori?
Dopo aver abbracciato la visione di Bob, il game designer Kellyn Beck entrò in sintonia con John Cutter per formare una squadra idonea allo scopo. Jim Sachs, ad esempio, era stato incontrato durante una collaborazione tra Master Designer Software (primo nome della Cinemaware) e Aegis Development, mentre il maestro del suono Jim Cuomo vebbe "rapito" durante un viaggio di lavoro a Los Angeles!

Quando dicevo che il software iniziale di Amiga era piuttosto scarso non scherzavo: Sachs dovette disegnare la grafica usando l'arcaico Graphicraft un pixel alla volta, perché il leggendario Deluxe Paint non era ancora uscito. Non furono solo dolori, però: lo standard ILBM (interleaved bitmap format) permetteva un color cycling dopo aver impostato due colori, rendendo possibili senza eccessivo sforzo effetti come la luce delle torce o le onde del mare sulla mappa strategica, una vera manna per i grafici dell'epoca. Cuomo realizzò il sonoro al pianoforte, e Bill Williams (vedi sotto) lo trasferì con successo su Amiga. RJ Mical impacchettò il tutto in sei settimane, sviluppando un tool chiamato Mical Game System, prevedendo il suo utilizzo anche nei titoli futuri. Per la cronaca, Mical al giorno d'oggi è responsabile di strumenti di sviluppo simili presso SONY, mentre il suo talento ha contribuito alla creazione di titoli per 3DO e Lynx.

Una piccola curiosità: per l'animazione dei cavalieri al galoppo durante i tornei, Sachs utilizzò le sequenze fotografiche di Eadweard Muybridge. Suona familiare? Va bene, le ho usate anche io per un'introduzione in flash al lavoro lustri fa, quando le pagine introduttive animate non erano ancora il male, facciamo coming out.


A mano. Pixel per pixel. Ché magari leggendolo a parte rende meglio l'idea.
Comunque, per quanto potesse essere impressionate, l'originale Defender of the Crown su Amiga è frutto del crudo bisogno di battere cassa. Un pensiero non contestabile, vista la fucina di menti dietro al progetto.

Tralasciando i ritmi di lavoro folli, con Sachs costretto a disegnare venti ore al giorno da casa, la versione originale su Amiga avrebbe potuto essere assai migliore. Il team voleva ad esempio realizzare i duelli durante i raid nei castelli nemici con una visuale in prima persona, ma alla fine si optò per i semplici omini stilizzati. Non per nulla nelle successive versioni per ST e C64 venne aggiunto un ulteriore pizzico di strategia, con la possibilità di impartire ordini alle truppe durante le battaglie, scegliendo tra opzioni come la carica (ferocius attack) dei cavalieri o l'accerchiamento (outflank) con cui ottenere un bonus in base alla leadership.

L'arrivo di Deluxe Paint agevolò non poco la conversione delle schermate per il Commodore 64
Lo pseudo seguito uscito su CD32  (1993) è più che altro un Defender of the Crown 1.2, con l'obiettivo finale modificato: ora al giocatore viene chiesto di racimolare il riscatto per liberare Re Riccardo, piuttosto che tenersi il trono per sé, dopo aver riunito l'Inghilterra.
Jim Sachs si occupò quasi completamente del gioco, commissionato dalla Commodore sull'orlo della bancarotta. Non solo grafica come ai vecchi tempi quindi, ma si diede da fare per reclutare doppiatori con cui registrare l'audio in cinque diverse lingue, e riscrisse ogni singola riga di codice con The Director, un linguaggio simile al Basic orientato alle animazioni.

Una delle poche schermate nuove di zecca per Defender of the Crown II
Un altro elemento ricorrente nella produzione Cinemaware, riprendendo il discorso, è la corsa contro il tempo: sia che si tratti di racimolare il lunarium in Rocket Ranger che di ammassare un'invincibile armata in Defender of the Crown, il giocatore è sempre spinto a compiere scelte efficaci per non sprecare nemmeno un turno. Tutto il resto è “semplicemente” magia Hollywoodiana rinchiusa in una manciata di floppy disk: Jacob ricorda la scena d'amore in seguito al salvataggio della dama in DOTC con affetto, descrivendola come un clichè cinematografico che voleva implementare nel suo primo gioco a tutti i costi.
I giochi della Cinemaware erano del resto basati su riconoscibili canovacci cinematografici e, se per il primo successo la fonte d'ispirazione va trovata nei film di cappa e spada con Errol Flynn, per S.D.I., uscito nello stesso anno, si pesca a piene mani nel regno delle space drama e degli spy movie, come Moonraker (Operazione spazio - 1979) e From Russia with Love (Dalla Russia con amore - 1963).

Da non confondere con l'omonimo, misconosciuto clone di Missile Command targato SEGA, eh!

Questo qui.

S.D.I. (Strategic Defence Initiative, il controverso programma di scudo stellare, uno dei tanti simboli della guerra fredda) narra una storia d'amore proibita tra il comandante di una stazione spaziale americana e la sua controparte femminile sovietica.
Nel 2017 sia gli Stati Uniti che una sopravvissuta Unione Sovietica dispongono ognuno del proprio sistema S.D.I., ma un partito rivoluzionario russo sorto da una cellula del KGB minaccia il già delicatissimo equilibrio tra le due superpotenze. In seguito alla cattura di basi militari, i cattivi sono pronti a far piovere missili nucleari dal cielo se il Kremlino non capitolerà e l'America non smantellerà il suo programma S.D.I.
Il protagonista McCormick dovrà gestire i dodici satelliti antimissile e combattere in prima persona alla guida del suo caccia stellare F-59 contro le forze nemiche, in un titolo focalizzato principalmente sugli scontri spaziali con un motore poligonale discretamente fluido per i tempi, almeno su Amiga.

Su ST si avverte qualche incertezza, mentre in questa versione, per qualche motivo, i laser del F-59 sono monocromatici. Meglio che su MS-DOS, poco ma sicuro, con la scheda CGA che la fa da padrone e i paesaggi ridotti a tristissime distese in wireframe.

"The screen burns with forbidden passion and global war", come recita lo slogan in copertina.

L'anno successivo esce The king of Chicago, stavolta ispirato alle pellicole a base di gangster e mitragliatrici Thompson.

Bob sceglie per questo progetto Dough Sharp, un ex insegnante di cui anni prima aveva commercializzato un titolo per C64, ChipWits.
Un gioco da recuperare ad ogni costo: con un sistema di programmazione ad icone, un robot viene istruito per superare labirinti di crescente difficoltà. Un po' come il LEGO Mindstorm, ma senza mattoncini. Volete provarlo senza cercare una copia su Ebay, magari con una veste aggiornata? Pronti!

Geniale.
Dough crea la versione originale del gioco per Machintosh su schermo monocromatico, digitalizzando modellini di argilla per i volti dei protagonisti con risultati quantomeno bizzarri. Un passo avanti sulla strada del film interattivo, ma le conversioni per gli altri formati a 16 bit modificarono sostanzialmente la grafica, a favore di un look più canonico e “digeribile”.


La recensione di The King of Chicago nella sua forma originale, su un numero di MACazine risalente al 1987

Ambientato nell'era del proibizionismo in seguito all'arresto di Al Capone, The King of Chicago mette il giocatore nei panni di un giovane gangster intenzionato a diventare il nuovo re della malavita a discapito delle altre famiglie, dopo aver scavalcato il proprio mentore. Tra azioni criminali da pianificare, sequenze d'azione e l'ormai immancabile love story da portare avanti, il gioco ricevette un'ottima accoglienza da parte della critica.

La nuova veste del gioco su Amiga. Molto meglio.

 Nel 1987 è la volta di Sinbad and the Throne of the Falcon. Essendo Jacob un fan dei vecchi film di Sinbad, realizzare un gioco con questa ambientazione sarebbe stato un tributo necessario. Al timone del progetto c'è il compianto Bill Williams (ci ha lasciati nel 1998), un uomo straordinario  in grado da solo di ricoprire i molteplici ruoli di programmatore, designer e grafico. Forse a causa di questo sovraccarico di lavoro la versione Amiga risulta graficamente la peggiore del gruppo, assolutamente non all'altezza della precedente produzione Cinemaware.

Ma proprio una cosa indegna.
Una completa opera di correzione venne effettuata per la conversione sugli altri sistemi, con un occhio di riguardo per quanto riguarda il C64, computer affermatissimo negli stati uniti: con una grafica tirata a lucido e sequenze arcade parzialmente reimmaginate, la versione ad 8 bit surclassa in ogni campo l'originale e viene premiata con un massiccio 95% sul nostrano Zzap!

Un po' Douglas Fairbanks, un po' VIC-II: Sinbad è un gran figo sul C64.

L'unico rammarico è dovuto alla proibitiva difficoltà: Sinbad ha solo una vita e fallire una sequenza arcade sancisce il game over. Un po' poco per cercare di salvare il sultano dalla maledizione che lo ha tramutato in falco, lottando contro terremoti, ciclopi e gli emissari del Principe Nero.

Il problema può però essere parzialmente aggirato chiedendo al genio della lampada una possibilità extra.

Mindwalker, il PRIMO gioco commerciale per Amiga, porta la firma di Bill Williams. Rispetto.

Lo stesso anno il brainstorming tra Jacob e John Cutter crea The Three Stooges, primo gioco della Cinemaware su licenza.

Gli “Stooges” del titolo, in Italia noti come “I tre marmittoni”, sono Larry, Curly e Moe, un leggendario trio di comici estremamente famoso in America a partire dagli anni 30. Bob desiderava assolutamente utilizzare materiale originale e Cutter ebbe l'idea di creare un gioco da tavolo, dove a determinate caselle corrispondevano sottogiochi ispirati a vere scene dei film degli Stooge.

Adorabile sin dalla presentazione.
Lo scopo è racimolare 5000 dollari per salvare l'orfanotrofio di un'anziana vedova dalla confisca ad opera di un malvagio banchiere, ma incassare una maggiore quantità di denaro alla fine del gioco sbloccherà finali alternativi, con la struttura restaurata e il matrimonio tra i tre protagonisti e le figlie della donna. I sottogiochi sono vari e straordinariamente caratterizzati da sprite riconoscibilissimi e uso di schermate e audio digitalizzato.

Come già detto si rifanno a scene realmente apparse nelle pellicole originali: si va dalla battaglia a torte in faccia ad un bizzarro incontro di boxe dove è necessario procurare una radio nei panni di Larry, affinché la musica faccia infuriare Curly sul ring prima che il suo avversario lo metta KO. Il gioco fu uno dei maggiori successi della casa americana, arrivando ad essere riproposto nel 2002 su PSX e Gameboy Advance dalla “rinata” Cinemaware Corporation.


Con il violino rotto, tocca a Larry trovare un sostituto per far arrabbiare Curly...

...come una radio, possibilmente prima che il compare venga steso sul ring!

Prima e durante gli anni in cui il Programma Apollo si dava da fare per spedire l'uomo sulla luna, personaggi come Flash Gordon, Buck Rogers e Rocket Robin Hood godevano di un riconoscibile fascino nella cultura popolare a stelle e strisce. Tra questi Commando Cody era particolarmente amato da Bob Jacob: protagonista di due serie televisive negli anni cinquanta, rappresenta lo stereotipo del rocketman, il supereroe che solca il cielo con uno zaino a razzo, simbolo di quella fantascienza un po' ingenua portata in auge da King of the Rocketmen, seminale capolavoro della Republic Pictures nel 1949.

Commando Cody nella sua prima apparizione.
Bob si rivolse direttamente a loro per ottenere la licenza del personaggio, tornando a casa, però, con un pugno di mosche: Steven Spielberg in persona ne aveva acquisito i diritti, sebbene fino ai giorni nostri rimangono utilizzati. Non scoraggiato, Jacob provò ad interpellare Dave Stevens, eccezionale fumettista conosciuto principalmente per la serie a fumetti The Rocketeer, sgargiante affresco dell'epopea degli uomini razzo di cui parlavamo prima. Sfortunatamente, per la seconda volta Cinemaware era arrivata tardi: in questo caso un colosso come la Disney Pictures si era accaparrata gli agognati diritti per realizzarne un film omonimo, uscito nel 1991.

Purtroppo anche Dave Stevens ci ha lasciato. Era il 2008.
A tal proposito Lloyd Levin, il produttore di The Rocketeer, ammise che la scena dello zeppelin nazista, assolutamente assente nel fumetto originale, era stata ispirata proprio da Rocket Ranger (1988), probabilmente il titolo più apprezzato da Bob Jacob in persona, poiché miscela ideale di tutto quello che  la Cinemaware doveva rappresentare.

I lettori di TGM più anziani lo ricorderanno sicuramente, essendo il primo gioco a riscuotere un impressionate 99% sul terzo numero della rivista nel Novembre 1988, assieme al controverso Menace dei DMA.

Un deposito di lunarium nascosto nelle rovine sudamericane!

In un secondo conflitto mondiale alternativo, i nazisti sono sul punto di vincere la guerra grazie al Lunarium, un minerale estratto sul nostro satellite in grado di trasformare gli uomini in zombie senza cervello. Nei panni del Rocket Ranger, il giocatore dovrà sventare la minaccia dell'asse gestendo una rete di spionaggio con cui setacciare il globo alla ricerca di indizi che lo porteranno a costruire un missile, volare sulla luna e infine scoprire il segreto dietro l'inarrivabile tecnologia tedesca, il tutto prendendo a pugni orde di crucchi o abbattendo squadroni di stuka con una pistola al lunarium, indossando nel frattempo un futuristico zaino a razzo.

Anche stavolta delle eccellenti sequenze arcade si alternano a schermate e sequenze animate di sicuro effetto: grandioso il game over con la svastika calata sulla Casa Bianca, o l'intro che narra l'avanzata nazista in un'opprimente monocromia.

La versione tedesca del gioco sostituiva i nazisti con alieni, un po' come su NES.
Per contrastare l'allora nascente problema della pirateria a 16 bit, il gioco includeva nella confezione dei codici difficili da fotocopiare per ottenere il quantitativo esatto di Lunarium da caricare nel serbatoio del jetpack per volare tra due destinazioni; in Italia vennero pubblicati tra le pagine della rivista Videogame & Computer World in uno dei momenti più imbarazzanti della stampa videoludica di allora.

La versione Amiga è la migliore, ma è doveroso menzionare la postuma versione Nes, pubblicata dalla Kemko: bruttissima e trascurabile se non fosse per la trama, che rimpiazza i nazisti con un popolo di invasori alieni eliminando ovviamente le svastike dalle schermate originali. Curiosamente la pubblicità americana del gioco, apparsa sulle riviste di settore, parla di una "evil master race", mostrando un Rocket Ranger in versione Flash Gordon inseguito da un velivolo pilotato da quello che sembra un trio di nazisti in uniforme.


Come la mettiamo allora?
Rocket Ranger è apparso anche in un'omonima miniserie edita nel 1991 dalla Adventure, una divisione della Malibu Comics. Sfortunatamente la sesta e ultima parte non venne mai pubblicata.



Con Lords of the Rising Sun (1989) Cinemaware torna indietro nel tempo, raggiungendo il Giappone del dodicesimo secolo in un titolo che deve parecchio alla formula originale di Defender of the Crown.
Lo shogun Yorimasa è morto, lasciado dietro di sé un titolo vacante e un paese sprofondato nella guerra civile, tra bande di ronin senza padrone e signorotti locali che aspirano militarmente al potere assoluto. Il giocatore può scegliere se impersonare Yorimoto o Yoshitsune, due fratelli desiderosi di riunire il Sol Levante sotto un unico stendardo.

La bellissima mappa di Yamato. Doug Barnett è stato un po' una cometa nella storia di Cinemaware, ma aveva classe.

Il primo è un guerriero provetto; scegliendolo dovremo smanettare con tutti i sottogiochi, mentre il secondo è un genio militare e ci permetterà di concentrarci sulla parte strategica. Per vincere è necessario conquistare i quattordici castelli sparsi sulla mappa strategica, lottando alla testa delle nostre truppe e gestendo attentamente stanchezza e morale dei guerrieri. Se ci si sente particolarmente scaltri è possibile inviare dei ninja per assassinare i nemici, ma nel caso venissimo scoperti l'unica alternativa sarebbe il seppuku.

Qualcuno c'ha pensato prima di noi, assoldando un assassino per ucciderci. Qui bisogna deflettere gli shuriken abbastanza a lungo da permettere ad un samurai di eliminare il ninja .
I sottogiochi non sono numerosi, ma hanno il loro fascino. I combattimenti campali sono particolarmente apprezzabili, decisamente più appaganti di quelli di Defender of the Crown. In caso di vittoria è particolarmente gustosa la possibilità di inseguire a cavallo il generale nemico e trucidarlo durante la sua ritirata.

Altro che i numeri e gli omini stilizzati di Defender of the Crown.
Sembra una versione ante litteram di Shogun Total War, e in effetti è così: Mike Simpson di Creative Assembly ha ammesso nel documentario The Total War Story che la serie Total War deve molto ai samurai di Cinemaware.

Il gioco vide la luce anche su CD-I e Turbografx CD, stranamente saltando l'Atari ST. Una versione per Commodore 64 venne annunciata sulle pagine di Ace, ma non uscì mai.

Sembra Tafazzi, ma è un assassino ninja nella versione CD-I
Il gioco è sostanzialmente lo stesso, fatta eccezione per l'aspetto grafico, con l'uso di attori e fondali digitalizzati per la macchina Commodore e un restyling grafico totale sulla piattaforma NEC.

In foto, il sottogioco in cui inseguire il generale nemico su Turbografx sembra quasi un livello di Tenchi wo Kurao.
It Came from the Desert (1989) rappresenta un primato, essendo il primo gioco Cinemaware a necessitare dell'espansione di memoria per il buon vecchio Amiga 500. È stato anche l'unico titolo della softco americana a ricevere un seguito/data disk (Antheads) che continuava le vicenda immediatamente dopo il finale del primo capitolo.

Il fantastico parlato dell'introduzione giustificherebbe da solo l'acquisto dell'espansione.
Stavolta l'apporto di Jacob è limitato, essendo il gioco figlio di David Riordan, ex creativo al soldo di Lucasfilm. Durante una ricerca presso il MIT, rimase affascinato dal concetto di narrazione interattiva applicata ai laser disc, e contattò Bob via posta, dopo essere stato stregato da Defender of the Crown. I due si incontrarono e David espresse subito il desiderio di creare un'avventura di fantascienza in perfetto stile anni cinquanta, con insettoni giganti e bellissime donne in pericolo.
E così fu: il gioco è ambientato nella fittizia cittadina di Lizard Breath e cala il giocatore nei polverosi panni di un ricercatore, coinvolto suo malgrado in una lotta contro il tempo per racimolare le prove dell'esistenza delle formiche giganti (mutate in seguito ad un meteorite) da presentare allo scettico sindaco in sole due settimane; in seguito sarà possibile mobilitare l'esercito e organizzare la resistenza prima dell'estinzione della razza umana.

Uno dei sottogiochi della versione Turbografx: praticamente dobbiamo salvare il minatore, inizialmente ostile, dall'assalto delle baby formiche.
Ma, considerata la formazione cinematografica di David, egli affrontò la creazione di It Came from the Desert come se si trattasse di un film vero e proprio, con la trama scritta nero su bianco dall'inizio alla fine con tanto di storyboard. In seguito avrebbe elaborato quali momenti potevano essere alterati ludicamente dal giocatore, mentre lo sceneggiatore Ken Melville si diede da fare per caratterizzare gli eccentrici abitanti della città, dall'alienato leader della Neptune Society agli Hellcats, la gang di bulli locale.

La fuga dall'ospedale, indispensabile per evitare di perdere tempo prezioso ingurgitando pappine, è uno dei sottogiochi preferiti dai fan.
Richard Levine fornì i mezzi per per trasformare le idee di David e Ken in realtà binaria, creando un rivoluzionario e abbordabile strumento con cui inserire nelle varie locazioni dialoghi, oggetti chiave (ad esempio le prove necessarie per convincere il sindaco) e uno dei sei sottogiochi. Così semplice da non necessitare la conoscenza di linguaggi di programmazione.

La cittadina può essere esplorata grazie ad una bellissima mappa, che David aveva inizialmente realizzato su carta. Magari finora non ci avete fatto caso, ma le varie locazioni prendono nome dai talenti che hanno dato il loro contributo al gioco, come nel caso del Melville Hospital, del Jacob Mining o del O'Riordan's Bar.

It Came from the Desert fa il verso al classico del 1954 "Them!" (Assalto alla terra), a sua volta citato da Fallout 3 nella quest "Those!"

Con It Came from the Desert la Cinemaware ha provato a percorrere nuove strade, sperimentando in modo assolutamente pionieristico per creare un gioco con attori in carne ed ossa, combinando la tecnologia del Blue Screen e il capiente supporto dei CD-ROM. Una simile premesse diede purtroppo vita alla versione su CD per Turbografx, probabilmente uno dei giochi più trash e beceri che abbia mai avuto il dubbio piacere di provare, in parte per la recitazione infima degli attori coinvolti ma, in special modo, per le pessime sequenze arcade totalmente diverse da quelle originali, purtroppo di ben altra pasta.

Senti NEC, se proprio dovevi dimostrare le capacità del CD-ROM bastava Lords of Thunder, serio...
Ma la gita del gioco nel paese delle console avrebbe dovuto toccare anche il Megadrive con una versione mai pubblicata, tuttavia completa e giocabile tramite emulatore. Si tratta di uno sparatutto a scorrimento verticale sullo stile di Commando, caratterizzato da un livello di difficoltà a dir poco brutale. Ci vorranno nervi d'acciaio anche solo per far superare al protagonista Buzz (un disinfestatore di insetti al posto dell'anonimo ricercatore del gioco originale) l'assalto delle formiche all'inizio del primo livello.  

La rom è stata... uh... generosamente resa disponibile per il download gratuito sul sito della Cinemaware, come leggeremo più avanti.


Ogni tanto l'interazione con qualche personaggio interrompe il massacro.

Wings (1990) è l'ultimo, grandissimo "film interattivo" della casa americana, espressamente desiderato da Jacob in seguito all'indigesta lettura del gigantesco manuale di Falcon della Spectrum Holobyte. Non a caso la documentazione di Wings era esclusivamente dedicata ad avvenimenti storici, senza mascherare la natura arcade della "simulazione", che vantava un'efficace motore poligonale unito a squisite sequenze d'azione bidimensionali, come i passaggi a volo radente contro i convogli militari nemici o i bombardamenti di obiettivi strategici.

Le missioni di bombardamento, dove i poligoni lasciano il posto alla grafica bidimensionale.
La storia del conflitto viene narrata nel diario di un pilota di biplani della prima guerra mondiale, donando a Wings un fattore emotivo notevole: tra le pagine sono progressivamente annotate le vittorie, la vita in caserma e le inevitabili perdite a partire dall'ingresso nel cinquantaseiesimo squadrone durante il Marzo del 1916, sotto la guida del Colonnello Farrah.

Il compleanno del Colonnello Farrah, annotato tra le pagine del diario.
La guerra viene narrata pagina dopo pagina con uno stile biografico e personale; questo rende Wings un gioco profondamente emozionante, oggi come ieri, in grado di intrattenere ad un livello superiore.

Il tutto arricchito da una gradevole componente RPG che dona il giusto senso di progressione, tra medaglie da guadagnare e abilità del protagonista da potenziare. Il gioco venne successivamente riproposto per Game Boy Advance con un'inedita campagna nei panni di un pilota tedesco, permettendo quindi di vivere l'avventura dalla parte del nemico.

Arriverà il momento di fare i conti col Barone Rosso, evitando le sue mitragliatrici nell'ambiente vettoriale in terza persona, mentre lo sprite del suo Fokker rimane in primo piano.
Se il grande schermo aveva ispirato la totalità della produzione Cinemaware “classica”, il sontuoso spettacolo dello sport visto in televisione fu la scintilla dietro alla serie TV Sports. Si tratta di simulazioni sportive giocabili ed estremamente curate, combinando anche stavolta una realizzazione tecnica esemplare con tutte quelle chicche alle quali la Cinemaware ci aveva abituato: dai commentatori prima della partita agli stacchetti con le cheerleader, dalle interviste tra le azioni di gioco alle pubblicità di fantomatici sponsor.

Bob Jacob si dichiarò deluso dalla versione DOS di TV Sports Football. Vagli a spiegare che alla EGA era difficile chiedere di più...
L'unica pecca è l'assenza delle squadre ufficiali, sebbene i nomi di team e giocatori possano essere editati e salvati. Football (1988) e Basketball (1990) hanno fatto incetta di recensioni lusinghiere, avvantaggiati dal roseo periodo in cui sono stati pubblicati, ovvero quando la softco era al top del suo leggendario team creativo. 

Non si chiama Tv Sports Basketball per nulla...
Simile sorte infatti non toccò ai postumi Boxing e Baseball, usciti in seguito alla bancarotta della Cinemaware, pubblicati solo in Europa e sviluppati principalmente per il PC che, nel frattempo, era divenuto la macchina da gioco per eccellenza, scalzando l'Amiga dal suo trono.

TV Sports Hockey, addirittura,  uscì solo ed esclusivamente per Turbografx nel 1991, entrando in diretta competizione con NHL di Electronic Arts su Megadrive.

Troppo poco, troppo tardi.
Un confronto impari, concluso nell'unico modo possibile.

In effetti la scelta di entrare nel mercato console in quegli anni era dettata dal bisogno di battere cassa per foraggiare la società: la console Nec venne scelta poiché SEGA of America rifiutò la somma richiesta da Jacob per sviluppare software per il Megadrive.

Il corpulento reporter Don Badden ricorda nel nome e nelle fattezze una famosa leggenda della NFL...
Purtroppo l'hardware del Turbografx cominciava a mostrare qualche anno di troppo; come se la competizione contro il Megadrive non fosse sufficiente, l'arrivo del Super Nintendo in America fu il colpo finale. Nel 1991 un serioso editoriale di Stefano Gallarini su TGM diede l'annuncio della morte della Cinemaware, puntando il dito contro la pirateria.

Si tratta in realtà solo di uno dei motivi: un altro si nasconde nella sottoetichetta Spotlight Software, nata con lo scopo di pubblicare software europeo in America. Quella che potrebbe sembrare una buona fonte di introiti si rivelò un'arma a doppio taglio: localizzazione di giochi e manuali, debug e scelte sbagliate gravarono pesantemente sulle finanze e sul nome della società.

Federation of Free Traders venne pubblicato da Spotlight Software. La versione ST fu ferocemente criticata nelle recensioni, gettando cattiva luce sulla successiva uscita su Amiga, stavolta rivista e corretta.
Un altro motivo fu la tremenda versione Turbografx CD di It Came from the Desert, sviluppata in seguito ad un accordo con la NEC, che in cambio avrebbe acquistato il 20% della compagnia.  

Fu una tragedia, con il gioco che succhiava fondi a livelli pazzeschi, arrivando a costare lo sproposito di SETTECENTOMILA DOLLARI. Venne concluso da David Riordan in fretta e furia, ma il livello infimo della produzione non permise di recuperare l'investimento.

Nel 2000 la compagnia è risorta ad opera di Lars Batista e Sean Vesce con il nome Cinemaware Inc., non riuscendo però a rendere onore allo storico marchio, limitandosi a riproporre i classici del passato aggiornati graficamente ("Digitally Remastered") in un mercato oramai abituato a ben altro. Oltre a questi figurano nello scarso catalogo edizioni portatili di alcune vecchie glorie, come il già citato Wings per GBA. L'unico titolo completamente originale fu Robin Hood: Defender of the Crown (2003), in ogni caso eccessivamente legato alle obsolete meccaniche dell'antenato.

Se puo' servire a qualcosa, a me era piaciuto.
La chicca per i nostalgici erano sicuramente le immagini dei giochi da scaricare sul nuovo sito della storica softco nella sezione The Vault, da giocare legalmente tramite emulatore, oltre agli .exe delle versioni MS-DOS. Nel 1995 lo storico marchio è stato riscattato dalla eGames, mantenendo Lars Batista nell'organico.


Nota: una versione estremamente basilare di questo articolo venne pubblicata circa dieci anni fa sul forum di TGM. Era brutta, breve e da cancellare col fuoco, tuttavia doveva essere il primo pezzo per il mio sito di retrogaming che non realizzai mai. Una edizione successiva, rivista e corretta, la scrissi per la Time Machine, tuttavia i limiti editoriali non mi permisero di espandere il testo come avrei voluto, anche spezzettandolo a dovere. Sì, anche sulle pagine di The Games Machine vado in crisi quando si parla di articoli in più parti, pace. La propongo qui nella sua versione definitiva per la prima volta, per festeggiare la recente pubblicazione di Rocket Ranger su Android e il lancio della pagina Kickstarter per il remake di Wings.

lunedì 4 novembre 2013

Uno sguardo ai beat'em up ad incontri in epoca Amiga, parte 2: prima e dopo SF2

Storico, ecco come definirei questo pezzo, senza mezze misure.

Storico perché riesco a continuare un articolo diviso in più parti, per la prima volta.

Avevamo lasciato l'Amiga alle prese con un panorama tragicomico in ambito picchiaduro ad incontri, lì negli irriverenti anni ottanta. Non era colpa sua: il genere stava maturando e le strade da percorrere apparivano piuttosto varie rispetto ai kumite di Karate Champ e derivati, da vincere con punti e atterramenti piuttosto che a suon di Fatality.
Barbarian introduceva duelli all'arma bianca e un'inedita violenza, Street Fighter metteva sul piatto mosse speciali ottenibili tramite combinazioni di comandi e tasti mentre Bruce Lee Lives (esclusiva MS-DOS) di The Software Toolworks, zitto zitto,  permetteva di creare custom combo concatenando più attacchi da richiamare con la pressione di un tasto. 
Il tutto nel 1989, peccato che lo abbiamo giocato in pochi.

Gran gioco, davvero.
Gli anni novanta, però, si aprono all'insegna della tradizione. Tornei di arti marziali da affrontare sportivamente indossando il gi della prima comunione sono il background comune a Oriental Games di MicroSyle e Budokan di Electronic Arts. Entrambi, però, permettono la possibilità di scegliere quale disciplina utilizzare; non più il solo, inflazionatissimo karate quindi. 

Oriental Games (1990) è chiaramente il più debole tra i due: dopo aver effettuato la registrazione presso la (bruttissima) segretaria nella (bruttissima) introduzione, ci troviamo di fronte alla scelta tra kung fu, kendo e kyokushinkai, lo stile di karate creato dal sensei Masutatsu Oyama, all'epoca molto popolare in America.

Certo, se il buon giorno si vede dal mattino...

La presentazione rimane su livelli piuttosto scarsi sfoggiando un solo fondale completamente immobile, a parte qualche sparuto flash, assieme a sprite piccoli e cromaticamente poveri; tuttavia le rogne più gravi si annidano nel sistema di combattimento. 
Il problema principale è il rilevamento di collisione decisamente arbitrario, che registra solo i colpi sferrati da una certa distanza, con una precisione all'ultimo pixel. In un match totalmente votato all'attacco come quello che ho appena concluso, mi sono ritrovato con NOVANTANOVE colpi a vuoto (dopo ogni incontro c'è un'apposita schermata riassuntiva) mentre cercavo di colpire il mio avversario in ogni modo possibile.  
Questo porta a combattimenti inutilmente lunghi e noiosi, mentre i due stili corpo a corpo si assomigliano parecchio l'uno con l'altro, non riuscendo a offrire una varietà di approcci degna di questo nome. 

Pessimi colori, specie negli sprite.
L'idea del comportamento dell'avversario computerizzato (aggressivo, difensivo, disperato...) è buona, anche perché muta dinamicamente durante l'incontro, ma tutto il resto è trascurabile. 
Le versioni a sedici bit permettono di modificare i controlli, abbinando le varie mosse alle direzioni del joystick a piacere, ma sugli otto bit è presente il sumo come disciplina extra, sebbene le specialità debbano essere affrontate secondo una sequenza prestabilita, senza poter scegliere da dove iniziare.

Il sumo su Spectrum.
Budokan esce nel 1989, eppure ricordo bene di averlo giocato nel 1990. Mea culpa, sarebbe dovuto apparire nello speciale scorso, ma rimediamo subito. 
Qui le discipline da scegliere sono quattro (karate, bo, nunchaku e kendo), ma il sistema di combattimento prova una strada nuova grazie al doppio indicatore della stamina e del ki. Attaccare alla cieca è il modo più facile per perdere in Budokan: saltare e colpire continuamente prosciuga la stamina, mentre il ki,  che determina la potenza del colpo, va caricato con pazienza, attendendo il momento giusto e parando l'attacco del nemico. 
Un colpo scatenato con la barra del ki ben pasciuta è in grado di dimezzare la stamina dell'aversario in un attimo
Una nota di realismo allora assolutamente rivoluzionaria, questa, che riscosse un ottimo successo, facendo guadagnare al titolo Electronic Arts delle recensioni molto positive. 
A coronare il successo contribuirono le voci digitalizzate e l'ottima grafica, con animazioni convincenti e una serie di avversari comandati dal computer ben caratterizzati, che arrivano a sfidarci con tecniche e armi inedite come tonfa e naginata.

Il mitico Goro Suzuki, più famoso per la sua abilità nell'abbuffarsi di sushi che per il suo karate. O almeno questo dice il gioco...
Occhio però, Budokan non è invecchiato benissimo: il sistema di controllo poco intuitivo, la meccanica lenta e ponderata nonché un'intelligenza artificiale sorprendentemente scaltra rischiano di prendere a calci tutte le cinture bianche che si avvicinano al gioco per la prima volta.

Nel 1991 uno sconosciuto Team 17 attira l'attenzione di stampa e giocatori con Full Contact, un gioco che non poteva essere ignorato grazie alla colonna sonora iniziale di Allister Brimble, assieme alla grafica di Rico Holmes. 
Ricorda un po' Ye Ar Kung Fu di Konami nell'animazione del salto del protagonista, ma questo picchiaduro a metà tra il videogioco e la tech demo (tiè) offre qualche buona idea come la possibilità di aumentare i parametri del nostro lottatore tra un incontro e l'altro, oltre a un calcio lento e difficile da piazzare, ma in grado di atterrare l'avversario e togliere grandi quantità di energia. La giocabilità è però deludente, con un alto grado di difficoltà dettato dalla cattivissima CPU che attacca implacabilmente già dal secondo avversario, un energumeno armato di bo in puro stile Pole, giusto per continuare il paragone con il classico Konami.
Però anche qui c'è un cane da picchiare, ovvero il famigerato Thomas the dog, da seguire nell'angolo e prendere a calci prima che riparta all'attacco in un match terribilmente tedioso e meccanico.

Ché magari i fan di Human Killing Machine rischiavano di sentirsi trascurati dopo tutta questa serietà.

Gran bei fondali, peccato che siano statici.
In quell'anno, però, avviene il Fattaccio. Con la maiuscola

Esce Street Fighter 2 e il mercato arcade viene colpito con la forza di un tatsumaki senpu kyaku.
Tutti vogliono salire sul carro dei vincitori e i cloni cominciano a fioccare nell'ambiente a gettone; quello casalingo, per riflesso, viene investito dallo stesso fervore marziale. 
 "Colpa" anche del mercato console, portatore sano d'invidia a causa della stupenda conversione del colosso Capcom su Super Famicom. Ci si mette anche la splendida ludoteca per il Neo Geo, fino ad allora piuttosto anonima, caratterizzata da affascinanti titoli come il Garou Densetsu di Takashi Nishiyama (il papà del primo Street Fighter, se non avete mai letto l'intervista su 1UP dovreste rimediare ieri) e Ryuko no Ken di Hiroshi Matsumoto, produttore di tutte le più importanti serie picchiaduristiche sul mostro SNK.

Gli amighisti quindi esigono Street Fighter 2, o quantomeno qualcosa che gli assomigli. 

Diavolo, a breve addirittura gli MS-DOS avrebbero potuto dire la loro a testa alta, forti del bellissimo One Must Fall. Puntuale come i cinepanettoni, US Gold si impossessa dei diritti per la conversione del blockbuster Capcom, tirando fuori un prevedibile fiasco nel Natale del 1992
Perché affidare la conversione del coin-op più importante dell'anno ai Creative Materials vuol dire essere masochisti
Quelli di E-Swat e Days of Thunder, per fornire un metro di paragone abbastanza deprimente.

Avete presente il calcio volante di Ken? è lo stesso fotogramma della spazzata media. Si parlava di tagli alle animazioni...
Quattro dischetti da cambiare come un deejay in berserk non sono il miglior biglietto da visita ma, una volta caricato, il gioco delude confermando le basse aspettative. 
Animazioni brutalmente tagliate e una palette cromatica decisamente povera sono solo la punta dell'iceberg per una conversione orfana della fluidità dell'originale; a peggiorare le cose arriva lo spauracchio di tutte le conversioni arcade per gli home computer dell'epoca, ovvero i joystick con un solo pulsante di fuoco.  
Uno standard assolutamente inadeguato per offrire un'alternativa accettabile ai sei pulsanti apprezzati in sala giochi, ma per lo meno i Creative Materials ci hanno provato, offrendo addirittura quattro diverse configurazioni che permettevano di sfruttare, oltre al canonico joystick, i pad a due tasti, la sola tastiera e un ibrido tra questa e il joystick

Gli hitbox sono arrangiati in modo disastroso quindi, fluidità a parte,  il gioco semplicemente non si gioca come l'originale, senza mezzi termini. Per lo meno i tagli concedono qualche involontaria risata, come ad esempio nel caso della proiezione con il calcio di Ken: l'accozzaglia di sprite gira su sé stessa peggio che in un R-360. I fondali sono animati, ma anche loro perdono diversi particolari, come ad esempio lo stage di Chun Li, su Amiga privo di ciclisti.

Sono brutti momenti, ma il Team 17 arriva in soccorso del popolo amighista. O almeno così vorrebbero tutti. 

Body Blows, beh, blows per davvero

Non è nemmeno colpa sua, quantomeno non del tutto: arriva sul mercato dopo essere stato pompato all'inverosimile dalla stampa per circa un anno e le aspettative che trova al traguardo sono troppo alte. 
Hype a parte, diciamo che i veri appassionati del genere ritenevano Body Blows spazzatura già nel 1993, tuttavia le recensioni delle testate pagat specializzate hanno favorito la diffusione del gioco, tanto che la creatura di Martyn Brown e compagni si è tolta il lusso di seguire il "trattamento Capcom", tornando sugli schermi a sedici bit con nuove versioni, ma ci arriviamo tra un attimo. 

In Body Blows non ci sono le proiezioni, alcune mosse speciali vengono caricate tenendo premuto il pulsante à la R-Type, i personaggi sono derivativi e ridicoli mentre la CPU è aggressiva e demente al punto giusto, tutta indaffarata a sparare tecniche a ripetizione anche lontano dal giocatore. 
Spesso per vincere contro il computer basta spegnere il cervello, utilizzando a raffica mosse con una portata decente (di solito la combinazione fuoco più joystick in alto genera un bel calcione adatto allo scopo) per accogliere dolorosamente l'avversario. I fondali sono inispirati ma per lo meno vantano qualche animazione qua e là, mentre Allister Brimble al sonoro rimane una garanzia; peccato che il suo talento sia al servizio di personaggi carismatici come una scatola di fagioli, come ad esempio il ninja di nome Ninja (...) che, da perfetto adepto delle ombre, esclama "ninja!" ogni volta che effettua una mossa speciale. 

Ninja, se proprio devo esprimere un parere.

Yitu è praticamente Andy Bogard, mentre Nik pare aver svaligiato il guardaroba di Terry...
E come un vero guerriero ombra, nel 1994 Body Blows si moltiplica! 
Esce il seguito Body Blows Galactic con il roster parzialmente sostituito da alieni di ogni forma, compresi un bizzarro essere formato da coni fluttuanti, un robot e uno sgorbio a cavallo di un dinosauro. 
Rimangono i due fratelli Nik e Dan assieme al pugile Junior; stessa solfa, ma c'è un apprezzabile miglioramento per quanto riguarda la grafica, specialmente in alcuni fondali piuttosto ispirati.

Tipo questo.
Segue a ruota la versione AGA del primo titolo: più fluida, con fondali ridisegnati, velocità di gioco selezionabile e un'AI più docile. È un gioco sicuramente più godibile rispetto all'originale, ma non ancora degno di impensierire la concorrenza su console. 
Incomprensibile la modifica relativa alle mosse da caricare con la pressione del pulsante, ora soggette al riempimento di una barra che aumenta mano a mano che vengono usate. 

Sarà stata un'idea per simulare una sorta di affaticamento del lottatore? 

E allora perché le altre mosse speciali possono essere usate ad oltranza senza restrizioni? 

Ah boh, a questo non so rispondere.

Stesso fondale della foto precedente, ma nella versione AGA.
E per finire il CD32 si becca Ultimate Body Blows, minestrone riscaldato con tutti i personaggi della saga, alieni e non. Con venti personaggi (dieci dal primo gioco e altrettanti dal Galactic) può sembrare un'offerta allettante, ma si tratta purtroppo del classico caso di quantità a discapito della qualità. 
I problemi della serie non vengono affrontati e risolti, perdendo quindi l'ultima occasione di risollevare il picchiaduro Team 17 dalla mediocrità. 

Trovare una didascalia per quello che accade in questa foto è troppo anche per me...

Il gioco sarebbe uscito anche per DOS e potete scaricarlo da GOG.com, nel caso le vostre tendenze masochistiche abbiano il sopravvento.

Se la cavò decisamente meglio la Probe con le conversioni dei primi due Mortal Kombat. Usciti rispettivamente nel 1993 e nel 1994, entrambi sfruttano i controller a due pulsanti, sebbene il confronto con lo scomodo layout a cinque tasti visto in sala giochi costringa a qualche sessione di pratica prima di avere la meglio sulla coriacea CPU. 
Il primo occupa due dischetti e si concede qualche compromesso sul fronte grafico, come i fondali completamente immobili (ma la strega che si staglia contro la luna nel livello The Pit riesce comunque a fare una comparsa) e un numero di colori su schermo sicuramente inferiore rispetto a quelli sfoggiati dalla scheda Midway Y Unit; ciononostante il risultato è assolutamente vincente, anche grazie all'accompagnamento sonoro del solito, impeccabile Brimble. 

Come nota di colore spicca alla programmazione il mitico Gary Liddon, superstar di Zzap!64 reduce dalla mancata pubblicazione del suo Tyger Tyger.

Un lavoro ben fatto.
Tre dischetti per il secondo episodio, ancora più fedele all'originale. I fotogrammi di animazione sono sensibilmente aumentati, così come l'uso del colore. Ed Lawrence di CU Amiga si esalta, consacrando il lavoro di Probe come migliore conversione in assoluto dell'arcade Midway con un altisonante 95%. Opinioni a parte, il risultato è davvero sbalorditivo nonostante la difficoltà particolarmente punitiva, invero più impegnativa di quella incontrata in sala giochi. La cattivissima CPU di Mortal Kombat 2 su Amiga comincia infatti a picchiare durissimo già dal primo match, ma la pratica aiuta.

Toasty!

Facciamo una pausa? Parliamo di Bangkok Knights, picchiaduro della System 3 uscito nel 1989. Ok, anche questo doveva andare nello scorso speciale, ma mi è tornato in mente ora e ci vuole un altro gioco brutto per spezzare la cronaca.

O potevamo anche ignorarlo eh, tanto è orrendo. È la conversione dell'omonimo titolo per C64, premiato da Zzap!64 principalmente per le generose dimensioni degli sprite, qualità molto meno impressionante in questo ambito, considerata la potenza di Amiga. 
Due dischetti e otto combattimenti contro altrettanti brutti ceffi per diventare il campione incontrastato di muay thai sono i numeri di questo picchiaduro. Questi e UNA sola mossa necessaria per raggiungere i titoli di coda, dopo aver costretto l'avversario in un angolo. Bangkok Knights ha diversi problemi, CPU penosa a parte. I personaggi possono muoversi liberamente nell'area di gioco ma, a seconda del fondale e della posizione, possono rimanere incastrati contro la parete di una grotta o trovarsi a menare colpi all'aria uno di fronte all'altro,  senza danneggiarsi minimamente. 

E con questo abbiamo toccato il fondo. Domani chiudo il blog, sono depresso.
System 3 investì in un team di novellini per questa conversione, e si vede; l'unico elemento valido è il buon Dave Lowe, un uomo che avrebbe dato il suo apporto a titoli di indubbio valore come Carrier Command, Elite 2, Formula One Grand Prix e i due Starglider. Oltre a robaccia come le conversione di Altered Beast e Power Drift, ma io non ho detto niente.

Niente, Probe a parte, ci vogliono gli italiani per salvare la situazione. Nel 1995 Shadow Fighter (le iniziali sono le stesse di Street Fighter come vuole rimarcare Fabio Capone durante un'intervista apparsa sulla versione italiana di Retro Gamer) arriva come un fulmine a ciel sereno grazie all'etichetta Gremlin, ed è un successo tutto tricolore, frutto del lavoro di Fabio Capone, Domenico Barba e dei ragazzi del NA.P.S. Team. 

Qualcuno continua a ravanare tra i vecchi abiti di Terry...
Ha tutto: velocità, proiezioni, un buon numero di personaggi (ben diciotto) e un'apprezzabile sensazione di volenza, accentuata dal sangue che sporca il ring in perfetto stile Mortal Kombat. Gli avversari computerizzati sono scaltri e propongono una sfida apprezzabile, specie ai livelli di difficoltà normal e hard, indispensabili per giocare con il roster completo e per assistere alle sequenze finali. 
Come per Body Blows, il sistema di controllo si affida ai classici joystick a tasto singolo risultando però più diretto e familiare, affidandosi a collaudate movenze a base di mezzelune per effettuare gli attacchi speciali al posto delle folli idee partorite dal Team 17. Sebbene lo stile grafico non sia eccezionale, la presentazione è comunque eccellente grazie anche allo sbalorditivo effetto prospettico del pavimento. 

Shadow Figther sarebbe tornato su AGA e CD32, ma le migliorie si sarebbero limitate al lato cosmetico e sonoro.

Peccato per la (le?) futura espansione, annunciata direttamente sulla confezione del gioco; prometteva otto nuovi personaggi, ma il mercato Amiga cominciava a scricchiolare...

Mannaggia, già mi mancano quegli otto personaggi...
Concluderemo la retrospettiva nella terza parte, dove esamineremo l'ottimo Fighting Spirit, probabilmente il mio picchiaduro preferito su Amiga, e anche qui si tratta di un trionfo tricolore. 
E già che ci siamo seguirà una veloce carrellata dei peggiori disastri, roba che il Retrocrap di Tagliaferri era al confronto la finale di Miss Universo. 

Con un paio di aborti tutti italiani, ché mica si puo' vincere sempre.