lunedì 18 dicembre 2017

Quattro chiacchiere in amicizia sulla Sensible Software, solo perché qualcuno mi ha chiesto gentilmente di aggiornare il blog.


Jon “Jops” Hare, classe 66, inizia la sua avventura nel mondo dei videogiochi durante il 1985, quando abbandona il college per dedicarsi all'informatica assieme al compagno di scuola Chris Yates. Chris aveva trovato lavoro presso la LT Software e Jon sopperì alla sue carenze artistiche lavorando sulla grafica di Twister per Spectrum. Tra i due e la software house fu però una relazione di breve durata, quando scoprirono che questa avrebbe avidamente intascato l'80% dei profitti del gioco; decisi quindi ad intraprendere una nuova strada, realizzarono una demo tanto convincente da impressionare la Ocean con cui firmarono un contratto per la realizzazione di tre titoli in esclusiva: era nata la Sensible Software.



La demo di prima si rivelò il prototipo per l'ottimo Parallax, così chiamato in onore delle eccellenti routine di scrolling. Al codice di Chris e alla grafica di Jon si aggiunse lo strepitoso talento del musicista Martin Galway, qui degno di menzione per il mesmerizzante pezzo che accompagna lo schermo dei titoli. Parallax è uno sparatutto a scorrimento multidirezionale caratterizzato da un'insospettabile profondità: volare tra nemici e proiettili non basta a superare i livelli, ma è necessario scendere dal caccia e avventurarsi a piedi alla ricerca di scienziati a cui carpire i codici di sicurezza con cui aprire le barriere che bloccano la strada al nostro velivolo. 

Parallax è lo sparatutto per chi ama ragionare e divertirsi, in egual misura.

Questa insolita componente esplorativa, innestata in un genere ancora rigidamente ancorato agli stilemi arcade, rese il gioco un successo: celebre a tal proposito lo screen di caricamento di Insanity Fight, uno dei primi sparatutto per Amiga, che rendeva omaggio a Parallax copiandone la schermata di caricamento. 

La schermata di caricamento di Parallax...


... e quella di Insanity Fight. Familiare, no?
Ma la fama arrivò con l'onirico Wizball, premiato con un massiccio 96% nel numero 27 di Zzap!64 senza ottenere tuttavia l'ambita Medaglia d'Oro a causa del pessimo umore dell'editor Gary Penn. La trama e lo schema di gioco paiono invero frutto di una mente sotto LSD: Wizland, il regno del mago Wiz, è stato privato dei suoi colori e ridotto ad un deserto monocromatico. Traformato in un verde faccione rimbalzante, Wiz attraversa gli otto livelli di gioco distruggendo nemici e raccogliendo le gocce di colore da loro abbandonate con l'aiuto della gatta Nifta (il nome del micio di Chris, che durante la gestazione del gioco scorrazzava nell'ufficio della Sensible), anch'essa racchiusa in una sfera. Le gocce verranno poi mescolate in un calderone nel laboratorio del mago - tornato per l'occasione in forma umana - per restituire i colori a Wizland. Stramberie a parte, in realtà il progetto era nato con l'intenzione di realizzare un clone di Nemesis, incorporando delle routine di rimbalzo messe a punto da Chris. L'ispirazione dello sparatutto Konami è testimoniata ad esempio dalle formazioni d'attacco degli alieni, tuttavia da cosa nasce cosa, e il gruppo continuò mano a mano ad aggiungere idee al progetto, vedi la modalità cooperativa, relegando al secondo giocatore il compito di raccogliere le gocce di colore nei vulnerabili panni di Nifta mentre Wiz è impegnato ad uccidere gli alieni e fornire fuoco di copertura.
Wizball è un gioco che necessita pratica e impegno per essere assaporato come si deve, ma una volta presa la mano il senso di remunerazione è appagante: anche solo imparare a muoversi necessita pratica, con il faccione di Wiz che ad ogni rimbalzo assume velocità e direzione in base alla rotazione impostata mentre è in aria. Negoziare quindi tra rimbalzi (anche gli elementi dello scenario modificano la traiettoria di Wiz e devono essere considerati), agguerriti nemici e viaggi tra i vari livelli per raccogliere il colore necessario da mescolare è un'esperienza adrenalinica. Il gioco è tecnicamente tra i più impressionanti per c64, definito da un'entusiasta Martin Galway come l'apice audiovisivo della produzione ad 8 bit

Bellissimo e unico. Certo, quella Medaglia d'Oro mancata...

Lo stesso Martin, tenendo conto dell'atmosfera fuori di testa del gioco, realizzo per il game over un leggendario assolo di chitarra elettrica, potente e in grado, nelle sue intenzioni, di “svegliare” il giocatore dall'esperienza onirica della partita appena conclusa.

Jon Hare però non mandò giù il mancato riconoscimento da parte di Zzap!64, nonostante i punteggi assegnati alle varie voci fossero stati più che sufficienti per portare a casa l'ambita medaglia, quindi per un periodo ci fu una sorta di guerra fredda  tra la Sensible e Gary Penn.
Celebre l'easter egg nella schermata finale del budget game Oh No!, pubblicato dalla Silverbird nel 1988, dove le bestie salvate dal giocatore vengono inviate nella dimensione X, per essere impiegate dalla principessa locale al fine di scacciare il mavagio mostro Gary, mentre il giocatore viene ricompensato con una bella partita a Wizball! 

Il frenetico sparatutto Oh No! Ci vede impegnati nel nobile intento di salvare il nostro gregge alieno dalle incursioni nemiche.


La schermata finale, però, sottintende un messaggio un filo meno nobile...
Nello speciale The DEF Tribute to Zzap!64, pubblicato nel 2005 come allegato a Retro Gamer, Gary Penn ammise che, come in molte recensioni dell'epoca, il voto di Wizball fu influenzato dall'umore del recensore, in quel caso davvero pessimo. A suo avviso e con il senno di poi, Wizball avrebbe meritato appieno la Medaglia d'Oro, oggi come ieri. Pace fatta, quindi, e potete essere testimoni della redenzione di Gary scaricando il pdf del tributo a questo link.

Che poi Oh No! dovete giocarlo per forza: un  po' Robotron, un po' Defender, tutto surreale. 
Incomprensioni a parte, il grande successo di questi titoli fu tale che sulla confezione della nuova creazione di Jops e soci pubblicato dalla Outlaw (una sussidiaria della Palace Software) spuntava orgogliosamente lo slogan “dai creatori di Wizball e Parallax”.
L'anno era il 1987 e stiamo parlando del celebre Shoot'Em-up Construction Kit, meglio conosciuto come S.E.U.C.K. Il programma permetteva la creazione di semplici sparatutto, offrendo pratici ed intuitivi strumenti con cui creare sprite di protagonisti, nemici, fondali e gestire i loro comportamenti. Era quindi possibile fissare i pattern d'attacco dei cattivi, il loro punteggio e addirittura creare formazioni, stabilire la dimensione dei proiettili amici e nemici e modificare la grafica della schermata dei titoli. I giochi potevano essere a schermo fisso o con scorrimento verticale, a spinta o continuo, offrendo inoltre una modalità a due giocatori.


 Per comprendere i meccanismi al meglio, quattro giochi completamente editabili in ogni aspetto erano stati inclusi nel pacchetto, ovvero Slap'n'Tickle (classico sparatutto verticale a base di astronavi e alieni), Outlaw (stile Commando, ma ambientato nel West), Transputer Man (stavolta si combatte in un computer) e Celebrity Squares, forse il più interessante dal punto di vista storico, essendo firmato da Gary Penn e Gary Liddon. Il tempismo del programma era perfetto: agli antipodi degli immensi team di sviluppo odierni, nel 1987 i programmatori godevano di una propria, ben distinta personalità anche grazie al risalto offerto dalle riviste di settore, divenendo quindi vere e proprie superstar tra gli appassionati di videogiochi. Il S.E.U.C.K. consegnava nelle mani di ragazzini a digiuno di programmazione le chiavi del sogno, permettendo loro di dare vita alle loro creazioni senza imparare a menadito montagne di codice; proprio per questo motivo, ben presto software house e testate vennero inondate da demo di aspiranti designer.

E quale miglior istruttore potevano avere se non lo stesso Jon Hare? 

Zzap! pubblicò un'interessante rubrica (Guida pratica: costruire giochi) in cui Jops spiegava trucchi ed elargirva suggerimenti per sfruttare al meglio la sua creatura.  L'Italia accolse di buon grado la sfida, e sempre sul solito Zzap! venne dato spazio alle creazioni dei lettori per far conoscere alle software house del Belpaese i promettenti talenti nostrani. Fu un grande successo ma non mancarono occasionali polemiche come nel caso di Aurora e Solaria, due ottimi cloni di Xevious che inizialmente riscossero le lodi dalla redazione, solo per ricoprire successivamente il loro presunto autore di vergogna quando venne dichiarato che la loro creazione era stata opera di un programmatore professionista.

O almeno questa è la versione di Zzap!

Nel 2010, l'ottimo sito ready64.it intervista Luciano Morpurgo, il ragazzo screditato sulle pagine della rivista che approfitta dell'occasione per controbattere a sua volta l'accusa, rivendicando la paternità dei due giochi, peraltro concessi per la pubblicazione a Systems Editoriale.

Peggio di una telenovela: la pagina in cui viene messa in dubbio la paternità dei due giochi, con motivazioni un attimo fumose.
La Sensible non lavorò solo per la Ocean e la Palace in quegli anni: la Microprose era stata fondata dal maggiore dell'aereonautica militare statunitense Bill “Wild Bill” Stealey assieme a Sid Meier;  si tratta di una realtà dedita principalmente a simulazioni e giochi strategici di altissimo livello, con un catalogo di successi davvero prestigiosi. Sotto la sua bandiera nasce Microprose Soccer, a tutti gli effetti il banco di prova del futuro Sensible Soccer. Microsoccer fu uno degli hit del Natale 1988 e la redazione italiana di Zzap! non solo lo premia con un prestigioso 95% nel globale, ma rincara addirittura la dose con un rarissimo 100% alla voce longevità. Considerando che prima di allora il massimo del calcio simulato al di fuori delle sale giochi era il letargico Match Day 2 della Ocean, la nuova creatura di Jon Hare era riuscita a fare centro in tutti i campi: grafica pulita e velocissima, tantissime opzioni per organizzare qualsiasi tipo di partita (dall'amichevole al campionato del mondo con l'obbiettivo di sconfiggere il Brasile), effetti climatici variabili con pioggia e fango, replay e un sistema di controllo semplicissimo e immediatamente fruibile con cui padroneggiare in un lampo la palla.
Rimangono celebri i famigerati “banana shot”, calci a effetto estremi che rappresentano un po' il marchio di fabbrica del gioco.

Go Go Banana shot!

A completare un'offerta già ricchissima c'è la possibilità di giocare anche il calcetto all'americana 6 contro 6 con le sue regole, accessibile tramite caricamento separato.
In seguito arrivò il turno di Amiga, la piattaforma di sviluppo preferita da Jon Hare.
Come dagli torto, del resto? L'OCS faceva gli straordinari riguardo grafica e sonoro rispetto alle vecchie piattaforme a otto bit, alleggerendo il lavoro degli sviluppatori che, in questo modo, potevano dedicarsi maggiormente alla creazione di tipologie di gioco innovative. A testimonianza di tale affermazione giunge Wizkid (1992), seguito di Wizball assolutamente pazzo e originale, uscito in un periodo in cui la creatività iniziava oramai a essere merce rara.
Descrivere lo schema di gioco è in effetti un'impresa: al comando del figlio del mago Wiz (rappresentato come il padre da un testone fluttuante, deve essere un vizio di famiglia), Kid deve liberare gli otto mondi che compongono la rinata Wizland per riscattare gli altrettanti cuccioli della gatta Nifta. Quella che potrebbe apparire come una nobile intenzione degenera presto nel bieco sfruttamento minorile, giacché i virgulti verranno usati per vogare alla volta del castello del Mago Zark, teatro dello scontro finale. Al contrario di Wizball, l'azione è ora inquadrata in schermate fisse dove Kid può eliminare i nemici  lanciandogli contro elementi del fondale, prendendoli a testate e aiutandosi occasionalmente con bislacchi bonus, tra cui un naso finto per palleggiare gli improvvisati proiettili o dentiere per afferrarli a morsi.

Che colori! Che follia!
Raccogliendo abbastanza note musicali durante i livelli si potranno comprare oggetti con cui risolvere enigmi fuori di testa nelle sezioni intermedie, quando Kid riacquista il resto del corpo trasformando a tutti gli effetti il gioco in una mini avventura dinamica completamente folle. Lo scontro finale non è da meno, con un'accesa battaglia ad Asteroid (ok, Wizteroid...) per battere l'hi-score di Zark (suca Acererak!) e assistere a una scioccante rivelazione finale!

Prima di proseguire è necessario menzionare la versione a 16 bit del S.E.U.C.K.: uscita nel 1989 e concettualmente identica a quella per c64, sarebbe passata in sordina se non fosse per l'improbabile voce di corridoio, rumoreggiata sulla britannica ST/Amiga Format, secondo la quale Barbarian 2 (uno dei blockbuster del Natale 1988) sarebbe stato creato con l'editor in questione. Non andò proprio così: alla Palace usarono una versione ad hoc del S.E.U.C.K. per creare solo ed esclusivamente la struttura dei livelli del gioco, tuttavia il polverone sollevato si rivelò una pubblicità non male, corroborato da da un'intervista in cui si accennava a un fantomatico S.E.U.C.K. 2 in grado di supportare lo scorrimento orizzontale, armi extra e addirittura piattaforme.
Parte dell'intervista a Jop e Chris Yates dove viene nominato il S.E.U.C.K. 2. Poi il buio.

Cannon Fodder esce nel 1993, inizialmente sotto una cattiva stella. Da una parte alcuni volti della stampa anglosassone lo additano come semplice clone in chiave bellica del mai troppo osannato Syndicate; dall'altra, la presenza sulla confezione e nella schermata dei titoli del papavero rosso (simbolo dei veterani della prima guerra mondiale nonchè della Royal British Legion), scatena uno scandalo ancora prima che il gioco arrivi nei negozi, facendolo precipitare dritto nel fuoco incrociato degli avvelenatissimi tabloid anglosassoni.
La Virgin Interactive, allora publisher del titolo, corse ai ripari nei limiti del possibile, eliminando il reo fiore dalla copertina e inserendo un disclaimer per specificare che il titolo non era in nessun modo legato alla  Royal British Legion. Un'altra polemica scaturì a causa della scanzonata natura del gioco, erroneamente parafrasata come mitizzazione dell'atto bellico e sufficente per far proibire le pubblicazione del gioco in Germania.
Faglielo capire, che la guerra non è mai stata tasnto divertente.
Cannon Fodder dice in realtà no alla guerra in modo nemmeno troppo sibillino, basti pensare alla cruda rappresentazione dei personaggi del gioco (la “carne da cannone” del titolo) che aspettano di entrare in azione mentre le tombe dei precedenti commilitoni costellano progressivamente la collina alle loro spalle, diventanto meri numeri mano a mano che le lapidi spuntano dopo ogni morte.

Nonostante le ostilità, il gioco diventa un grandissimo, duraturo successo in grado di toccare un enorme numero di piattaforme, dallo sfortunato Jaguar di Atari al leggendario Archimedes di Acorn, non trascurando piattaforme insospettabili come il Game Boy Color.

E' un gioco immediato, che tuttavia nasconde una progressiva complessità mettendo il giocatore di fronte a una variegata selezione di missioni che spaziano dall'eliminazione del nemico alla distruzione di obiettivi strategici; con una visuale dall'alto e un intuitivo controllo tramite mouse, è possibile comandare ed eventualmente dividere il plotone con facilità. I nostri uomini hanno a disposizione un mitra con colpi infiniti ed una manciata di granate, ma andando avanti nuove armi e veicoli saranno disponibili, ampliando quindi le possibilità per far fronte a situazioni sempre nuove, spesso generate dal superbo level design. Il lisergico schema di gioco rese Cannon Fodder - come già detto - un titolo richiestissimo a distanza di anni, spingendo a mettere in cantiere conversioni anche per PlayStation 2 e PSP. Sfortunatemente la pessima gestione del marchio da parte di Codemasters in seguito all'acquisizione della Sensible Software risultò nella cancellazione dei progetti.

Davvero alla portata di tutti.
Mega Lo Mania (1991) è uno strategico in tempo reale dinamico, colorato e accessibile a tutti. Con i suoi scontri ambientati in un arcipelago di 10 isole caratterizzate da diverse epoche e relative unità militari, il gioco trova il suo punto di forza nell'immediatezza, non trascurando comunque una buona dose di profondità.
I comandanti più scaltri potranno quindi stringere alleanze con le altre fazioni al fine di schiacciare i nemici comuni,  mentre i più abili daranno prova della loro capacità strategica schierando meno guerrieri sul campo di battaglia (ogni mappa ne garantisce 100) per usare le "riserve" durante gli scontri più impegnativi. Proprio in virtù della sua accessibilità, Mega Lo Mania trovò terreno fertile sulle console a sedici bit; addirittura attraversò l'oceano per venire pubblicato in Giappone su Super Famicom, sebbene nelle silicee lande della versione per la macchina Nintendo gli eccentrici ritratti dei quattro leader subirono un restyling grafico.

I ritratti nel gioco originale...

... e su Super Famicom.
La grande passione di jon Hare per il calcio (se può interessare, si reputa un buon giocatore nei ruoli di portiere e difensore) sfociò in Sensible Soccer, probabilmente il gioco più famoso della Software House, vantando un gran numero di seguiti e data disk. Vera e propria icona della cultura popolare degli anni Novanta, la sua gestazione è nata proprio mentre Jops e compagni lavoravano a Mega Lo Mania, impegnando le pause in feroci scontri su Kick Off 2. Non a caso per Jops i personaggi di Sensible Soccer non sono altro che i guerrieri di Mega Lo Mania in completo sportivo! Degna di nota la fenomenale cura per i dettagli: nonostante il look fumettoso, centinaia di team erano stati accuratamente ricreati, con i tratti somatici dei singoli omini puntualmente al loro posto. I calciatori di colore, caucasici o biondi si trovano fedelmente riprodotti in una manciata di pixel: quella che al giorno d'oggi può apparire come una banalità, si rivelò all'epoca una vera e propria rivoluzione, giacché una tale cura nella ricostruzione dell'universo calcistico non si era mai vista prima.

L'intera Sensible Software e il publisher Renegade pullulavano di fan sfegatati dello sport in questione, una condizione ideale che permise al gioco di trasformarsi nel  sogno di ogni appassionato di calcio digitale e non, grazie a una collaborazione corale. Lo sviluppo di Sensible Soccer divenne quindi un processo iterativo, caratterizzato da avide sessioni di playtest seguite da successive modifiche al codice.

In quest'ottica vinse senza mezzi termini il costruttivo contributo di tutte le persone coinvolte, accomunate da una solida cultura sportiva.

Altro che cartellini gailli!
Proprio per questo l'accoglienza della stampa fu entusiasta, ma non inaspettata per Jops, convinto in partenza che il suo gioco fosse un vincitore nato. Le versioni successive raffinarono il tutto, con l'apice toccato da Sensible World of Soccer, un titolo che offriva la possibilità di gestire il calciomercato, ampliando nel frattempo l'offerta di team e giocatori: 24.000 calciatori divisi in 1.500 squadre, con due aiutanti stipendiati solo per effettuare le dovute ricerche durante la gestazione del gioco!

Pensate di conoscere tutti i giochi della Sensible Software? Che ne dite di Sensible Train Spotting allora? È il loro ultimo, delirante gioco per Amiga, pubblicato come allegato nel numero 53 di Amiga Power.
Jon Hare adesso è rappresentante del BAFTA (British Academy of Film and Television Arts), impegnato nel riconoscere il valore del videogioco e nella preservazione dei classici del passato, ma trova comunque il tempo per allietare i suoi fan: durante l'evento R3play tenutosi nel 2010 a Blackpool, Jops ha suonato la chitarra nella SID cover band Stuck In D'80s assieme ai grandissimi Ben Daglish e Mark knight, regalando alla folla entusiasta pezzi come War has never been so much fun o il tema di Monty on the Run.


Tra l'altro, Hare ha sfidato in quell'occasione anche il vincitore del torneo del giorno di Sensible Soccer, perdendo con un sonoro 6-0 ma dimostrandosi tutto sommato soddisfatto, considerata la sua sconfitta per 7-0 contro il precedente sfidante!

Christmas with the yours, Amiga what you want

Premessa: non amo particolarmente il Natale, principalmente perché Dicembre, negli anni, mi ha portato via troppe cose importanti. Però ogni tanto capita un piccolo miracolo; nella fattispecie, un uomo assai più saggio di me è riuscito a restituirmi la voglia di videogiocare con un semplice calendario dell'avvento, incatenandomi nuovamente al COMMODOROUGH SIXTY-FOUROUGH durante ogni momento libero. Poiché l'amato otto bit mi pare al sicuro nelle sue mani, ho deciso di scrivere un paio di righe sulla genesi di Amiga, approfondendo e rielaborando un mio articolo scritto inizialmente un bel po' di tempo fa.

Kerry Kaplan e Jay Miner stavano facendo la storia quando si sentirono al telefono nel 1982, riguardo una singolare proposta d’affari. Un gruppo di investitori, costituito da un magnate del petrolio e alcuni dentisti, desiderava spendere sette milioni di dollari nella creazione di una società di videogiochi. Il periodo era ottimo, con la golden age delle sale giochi che mieteva montange monetine al bar e  - di riflesso - pacchi di banconote a casa, dove le console cercavano di riproporre tra le pareti domestiche un simile fervore digitale. Kerry e Jay erano davvero le persone ideali per il succosissimo investimento: il primo aveva salutato Atari per fondare Activision assieme a David Crane, Bob Whitehead e Alan Millar, dopo la storica sparata di Ray Kassar per cui i programmatori erano importanti quanto gli addetti alla catena di montaggio, mentre il secondo era la mente dietro il 2600, desideroso di lavorare con le ultime tecnologie come il performante Motorola 68000, ritenuto però eccessivamente dispendioso dalla casa di Bushnell. 

E se va bene a Andy...
I due quindi decidono di creare una nuova console dopo aver provato il NES al CES dello stesso anno, rimanendo poco impressionati dalla semplice architettura a otto bit. Il piano di battaglia sarebbe stato portato avanti grazie ai loro rispettivi punti di forza: Miner si sarebbe occupato dell’hardware, mentre il genio del software Kaplan avrebbe scritto i giochi per la nuova macchina, conoscendone già a menadito caratteristiche e scorciatoie. Viene quindi fondata a Santa Clara in California la Hi-Toro, una nuova compagnia i cui ranghi verranno rinforzati dall'energico David Morse, allora responsabile marketing della Tonka. Bisognava però far presa sul mercato, far conoscere la nuova azienda per fomentare l’hype in modo che il nuovo prodotto arrivi sul mercato nerboruto e agguerrito, e per questo Jay ebbe la pessima idea di chiedere a Kerry un'udienza con Nolan Bushnell in persona, per coinvolgerlo nel progetto sfruttando suo innegabile know-how. 
Da lì il disastro: in perfetto stile Palpatine, Bushnell seduce al lato oscuro Kerry, assicurandogli che lavorando direttamente con lui i guadagni sarebbero stati molto maggiori. Solo per perdere interesse nel progetto poco dopo, lasciando l’ex fondatore di Activision senza lavoro. 
Miner non si perde d’animo e, anzi, parte in quarta e pensa in grande: perché limitarsi a una console, quando un personal computer avrebbe offerto infinite possibilità in più? Una decisione saggia che cozza contro la cocciuta inesperienza dei suoi investitori; nessuno però avrebbe potuto prevedere la crisi del mercato americano nel 1983, un crollo dell’impero videoludico tale da rendere la parola "console" tabù nella terra di John Wayne. Prima del crollo, però, anche Miner aveva dimostrato una certa cocciutaggine, promettendo sì una console ai suoi mecenati, progettandola però con porte di espansione, in modo da trasformarla in un computer più in là, grazie ad appositi accessori. Un’idea che comunque godeva di una certa popolarità, basti pensare al Keyboard Component dell’Intellivision e alla visione della stessa Mattel, che sin dall’inizio pubblicizzava la sua console come molto più di un semplice giocattolo, la base per un home computer dalle grandi prestazioni e dal prezzo ridotto. Nel frattempo la Hi-Toro cambia nome in Amiga, perché la parola Toro a quanto pare è presa da un’azienda di prodotti per il giardinaggio giapponese.

Per foraggiare lo sviluppo della belva (che, ricordiamo, è il balocco personale di Miner, costruita attorno al suo desiderio di usare le ultime tecnologie) una divisione di Amiga produce videogiochi per il sempreverde 2600, oltre alla celebre Joyboard, praticamente l’antesignano del Wii Balance Board di Nintendo! Si tratta di una piattaforma che permette di spostare il peso a destra e sinistra: l’unico gioco che la sfrutta è Mogul Maniac, uno slalom presentato in televisione dalla bellissima sciatrice professionista Suzanne Chafee, tra l’altro compreso nella confezione. 

Die Zukunft!
Quindi il crash arriva puntuale, scoraggiando gli investitori che a questo punto abbracciano la visione computeristica di Miner. Il nostro crea un progetto chiamato Lorraine, una mostruosità ottenuta collegando diverse PCB portate coralmente in vita dal tanto desiderato 68000 assieme a tre chip dedicati, Agnus, Paula e Denise. Questa sarebbe stata la prima generazione del chip set (OCS, Original Chip Set), prima di evolversi in ECS e AGA. In breve, Agnus è il coordinatore dell’intero chipset, Denise genera le temporizzazioni video ed è a capo delle varie modalità video di Amiga, mentre Paula si occupa del sonoro, con quattro canali Pulse-Code Modulation a otto bit in DMA. 

Una squadra di fuoriclasse al silicio che avrebbe alleggerito di molto il lavoro del processore e della RAM. Il sistema operativo sarebbe stato anch’esso un pezzo da novanta, e per questo viene coinvolto RJ Mical, un ex ingegnere alla corte di Williams dove aveva contribuito (tra le altre cose) alla creazione di Sinistar assieme alla leggenda vivente Noah Flastein. Il Workbench sarebbe stato uno dei primi sistemi operativi a base di icone e interfaccia grafica assieme al Desktop di Macintosh e al mitico Xerox Alto, il primo computer dotato di interfaccia GUI e mouse, addirittura nel 1973! Un sistema operativo, quindi, intuitivo e alla portata di tutti, alla faccia del DOS. La macchina viene presentata a una folla allibita durante il CES del 1984 grazie a Boing Ball, una demo scritta nottetempo da Mical e Dale Luck dove una sfera a scacchi rossi deambula per lo schermo in maniera convincente, con un eco che rimbomba a ogni rimbalzo mentre il Workbench continua a lavorare in multitasking sullo sfondo. 

Jeff Minter ha recentemente omaggiato la divina sfera, annoverandola tra gli ostacoli dello sparatutto Polybius.
Si tratta di un momento fondamentale nella storia dell’informatica, tanto che il pubblico non poteva concepire che tale spettacolo fosse il frutto di un computer, aggirandosi guardingo per lo stand di Amiga, alla ricerca di collegamenti a qualche fantomatico videoregistratore!
Questa prova di forza cattura l’attenzione di Atari, in realtà interessata maggiormente all’OCS sviluppato da Jay Miner, offrendosi di comprare una considerevole quota di azioni, nella fattispecie un milione a tre dollari l’una; proprio quello che ci voleva per mettere il prototipo in produzione e cominciare a fare soldi. Atari però era un’azienda molto brava nel fare affari redditizi (vi rimando alla storia di Epyx), quindi concesse cinquecentomila dollari a Amiga sapendo in anticipo che Miner, Mical e compagni non sarebbero stati in grado di restituirli, forzando la società in un debito impossibile da estinguere, riducendo quindi il prezzo di ogni singola azione a meno di un dollaro. E la nostra storia sarebbe prematuramente giunta la termine: Atari avrebbe usato l’OCS per chissà quale progetto fallimentare (perdonatemi amici Atariani, ma Amiga è sacra e mi rende poco oggettivo) e noi non avremmo potuto giocare a Rocket Ranger, tuttavia la realtà andò diversamente grazie all’entrata in gioco di Commodore, una compagnia che stava cavalcando l’onda del successo diVic 20 e Commodore 64, cercando un nuovo progetto con cui portare avanti la sua dinastia. 
Commodore quindi arriva come un imperatore bellissimo e carismatico, pagando un milione di dollari ai satanassi di Atari (ok, questa è l’ultima, giuro), ovvero il doppio del debito di Amiga. Una somma che liberò Miner dall’incubo e da tutte le clausole imposte da Atari, acquisendo la totalità delle azioni e permettendo la commercializzazione del computer. La formazione di PCB venne ridotta a un case fornito di monitor e mouse, dando vita finalmente all’Amiga 1000. Sapevate che all’interno del suo case c’è la firma a rilievo di Jay Miner, con sotto l’impronta della zampa del suo cane Mitchy?  

BAU! n.d.Mitchy
Sappiate anche che il computer venne presentato per la prima volta il 23 Luglio 1985 al Lincoln Center di New York in pompa magna, coinvolgendo nella presentazione Andy Warhol e Debbie Harry dei Blondie.
Qualche mese dopo Amiga raggiunge dunque i negozi, senza riuscire a convincere il pubblico. Pubblicità poco d’impatto? Mancanza di un software in grado di rendere l’acquisto imprescindibile? Il prezzo di 1295 dollari era buono: non basso, ma inferiore a quello di un MAC o un IBM, e le caratteristiche erano al loro posto, note agli addetti ai lavori, ma non all’uomo della strada.
A queste suopposizioni va sommato il - presunto - poco incisivo marketing di Commodore, rea di aver slittato di ben sei mesi la commercializzazione della macchina nel mercato europeo. Perché? Beh, un ingegnere particolarmente inalberato verso la scarsa capacità commerciale dell’azienda nascose un messaggio segreto nella ROM del computer: premendo otto tasti all'inserimento di un  dischetto, appariva il colorito messaggio “we have made the Amiga, they fucked it up”. 


Che, col senno di poi, si rivelò una bravata controproducente, dato che Commodore prese il tempo dovuto per sostituire le ROM incriminate, eliminando il messaggio nel Workbench 1.3 e causando il famigerato ritardo. Il problema principale era comunque dovuto alla mancanza di una vera e propria killer application, un software in grado mostrare i muscoli di una macchina che non aveva ancora convinto lo smanettone del 1986 a spedire in cantina l’amato Commodore 64. Poi arrivarono le fanfare, i cavalieri, l’arme e gli amori di Defender of the Crown (1986), e improvvisamente Amiga si tramutò nel principe degli home computer. 
Robert Jacob aveva messo assieme un dream team con Jim Cuomo e Bill Williams agli strumenti, Jim Sachs ai pennelli e il solito, onnipotente RJ Mical alla programmazione, una formazione che non poteva sbagliare, colpendo e affondando il cuore degli smanettoni di cui sopra con precisione chirurgica. Solo, il prezzo di 1.300 dollari circa che l’Amiga 1000 chiedeva era sì popolare per una macchina da lavoro in grado di dare la birra a Macintosh e IBM e compatibili, tuttavia ancora troppo salato per il ragazzino che importunava i genitori per avere il nuovo super computer della morte, specie se possedeva già un "obsoleto" otto bit. 

L'inizio di un'era per molti. Un debito nei confronti del mio amico David che non verrà mai estinto.
Quindi Commodore decise di creare un modello più popolare nel prezzo e nelle dimensioni, dando alla luce il fortunatissimo Amiga 500, la variante più venduta di tutta la scuderia. Zitto zitto, il punto di forza era il modulatore TV che slegava l’acquirente dal bisogno di portare a casa un ingombrante e costoso monitor, permettendo di godersi le meraviglie della nuova macchina anche sul televisore.
Il tutto al prezzo di settecento dollari circa, una somma che qualificava Amiga come un affare coi fiocchi per il professionista alla ricerca dello stato dell’arte informatica, ma anche come un regalo di Natale possibilissimo per il ragazzino che sognava di notte il blockbuster Cinemaware, possibilmente dotato di una pagella priva di insufficienze.
La macchina stavolta venne creata direttamente da Commodore, con tanti saluti alla squadra originale di Jay Miner, quella lì che si divertiva a scrivere volgarità nelle ROM dei computer. La competizione, del resto, sarebbe stata un comune denominatore nella storia dello sviluppo di Amiga, con squadre interne a Commodore che avrebbero alternato e confrontato prototipi durante feroci brainstorming, cercando di prevalere in nome del prestigio aziendale e dello sporco denaro, che male non fa. 
Ovviamente Commodore aveva capito che senza software la macchina non avrebbe fatto molta strada, nemmeno dopo il recente lifting, e venne (indirettamente?) aiutata dalla Electronic Arts del vulcanico Trip Hawkins.
Magari è difficile da credere al giorno d'oggi, ma prima di trasformarsi nell'Imperdo del Male con le maiuscole di rito, Electronic Arts era un marchio che scaldava il cuore se avvistato su una confezione, merito anche dell'intuizione di Trip, che voleva trasformare i suoi sviluppatori in riconoscibili rockstar del codice; un po’ come David Crane e la cricca di Activision insomma, ma con più soldi. 

Più che un videogioco, Pinball Contruction Set si presentava sugli scaffali come se si trattasse dell'ultimo album di Bill Budge. La Electronic Arts dei vecchi tempi era qualcosa di stilisticamente inarrivabile.
La software house, dicevamo, commercializza nel Novembre del 1985 il Deluxe Paint, cambiando per sempre il modo di fare grafica con il computer, gettando le basi per la creazione dei videogiochi su Amiga negli anni a venire. Un programma potente e semplice da usare, che schiacciava senza sforzo il già arcaico Graphicraft, sviluppato da Island Graphics Corporation agli albori del sedici bit Commodore. Fu una rivoluzione che scoperchiò il vaso di Pandora, spronando decine di talentuosi programmatori  a dare il massimo sulla nuova macchina e creando leggende come i Bitmap Brothers o la Bullfrog. 

Se dalle parti di Commodore la situazione iniziava ingranare, altrettanto non si poteva dire per quel che restava di Hi-Toro in seguito alla decisione di spostare gli uffici da Los Gatos in Pennsylvania, un evento che causò un’emorragia di menti. Lo stesso RJ Mical trovò asilo presso Cinemaware come già detto, ma anche Jay Miner abbandonò la leggenda che aveva creato con le sue mani, mantenendo tuttavia una posizione di consulente all’interno di Commodore. Amiga era diventata il nuovo paradiso per quei bedroom coder che si erano fatti le ossa sugli otto bit. Non c’era bisogno di kit di sviluppo, licenze o costose cartucce; gli sviluppatori erano liberi di scrivere quello che volevano in totale libertà, dando libero sfogo alla loro creatività grazie a potenzialità nettamente superiori rispetto a quanto sperimentato sulle vecchie piattaforme. 

Nel frattempo l’Amiga 2000, controparte di fascia superiore di Amiga 500, spopolava alla grande nell’industria televisiva grazie a potenza e versatilità, qualità ottenute grazie alle numerose porte di espansione che la resero un indispensabile strumento nella realizzazione di serie culto come Babylon 5. 


Una sorte sfortunatamente non condivisa da buona parte dei modelli successivi come l’Amiga 1500 o il CDTV, troppo avanti rispetto ai tempi anche nel 1991, con la sua sfrontata propensione alla multimedialità in un mercato che non era assolutamente pronto per una simile rivoluzione.
Bisognava muoversi: Windows 3.1 era alle porte, i prezzi dei sistemi MS-DOS stavano calando e i nuovi modelli di Amiga (come il compatto ma sostanzialmente inutile A600) non offrivano nulla di innovativo rispetto all’architettura originale ideata anni prima da Miner. 
Almeno fino all’arrivo di Amiga 1200 nel 1992, commercializzata assieme al muscoloso fratello dedicato alle aziende, Amiga 4000. La nuova generazione apriva le danze con lo strepitoso AGA (Advanced Graphic Architecture) che permetteva giochi dedicati dotati di grafica eccellente, assieme a una boccata d’aria fresca per una demoscene che oramai conosceva l’ECS da cima a fondo. Sfortunatamente ma la mancanza di un lettore CD-ROM rappresentò per molti una mancanza imperdonabile, chiudendo in partenza una porta sul futuro. 

La perfezione, o quasi.
A onor del vero, Commodore continuò a lavorare su nuove iterazioni, arrivando a sviluppare un fantomatico chipset chiamato Hombre per un’ancora più elusiva piattaforma di ultima generazione chiamata CD64, ma la bancarotta dell’azienda nel 1994 troncò le speranze sul nascere, senza dar tempo alla dirigenza di metabolizzare il tiepidissimo debutto nel 1993 di Amiga CD32 (banalmente,  un Amiga 1200 senza tastiera e con un lettore CD-ROM), la loro prima console a sedici bit nonché seguito spirituale di quel disastro chiamato Commodore 64 Games System.   
Amiga però era dura a morire, con programmatori che continuavano a sviluppare software per la gigantesca base installata e con la tedesca Escom che, dopo aver messo le mani sulla salma di Commodore per quattordici milioni di dollari, continuò a commercializzare Amiga 1200 assieme a una versione tower di A4000.
Nel futuro del marchio, Escom vedeva nuove possibilità, decisa a concedere il nome Amiga per la creazione di diversi modelli di home computer, un po’ come era successo per i compatibili IBM, arrivando anche a considerare lo sviluppo di una nuovissima generazione incarnata nel prototipo chiamato Walker (1996), un’Amiga 1200 con CPU di più potente, capacità multimediali e uno sguardo rivolto all’espansione del sistema. 

Walker, il tostapane che hai sempre desiderato.
Purtroppo vennero realizzati solo alcuni prototipi dato che sia Escom che la divisione Amiga Technologies andarono incontro all’ennesima bancarotta, per giunta durante lo stesso anno. 

Da allora il destino del marchio è fumoso, avvolto in una serie di acquisizioni che non hanno nulla a che vedere con il romantico ricordo di un passato glorioso. Amiga è stato il re di un’era, frutto del sogno e del lavoro di Jay Miner e RJ Mical tra tutti, innovativo, possente e in grado di spalancare le porte del regno a sedici bit per un esercito di talentuosi sviluppatori e, ovviamente, videogiocatori sbalorditi, che hanno vissuto il passaggio da Spectrum e C64 come l’ingresso in una vera e propria età dell’oro videoludica. Lunga vita al re.