lunedì 4 novembre 2013

Uno sguardo ai beat'em up ad incontri in epoca Amiga, parte 2: prima e dopo SF2

Storico, ecco come definirei questo pezzo, senza mezze misure.

Storico perché riesco a continuare un articolo diviso in più parti, per la prima volta.

Avevamo lasciato l'Amiga alle prese con un panorama tragicomico in ambito picchiaduro ad incontri, lì negli irriverenti anni ottanta. Non era colpa sua: il genere stava maturando e le strade da percorrere apparivano piuttosto varie rispetto ai kumite di Karate Champ e derivati, da vincere con punti e atterramenti piuttosto che a suon di Fatality.
Barbarian introduceva duelli all'arma bianca e un'inedita violenza, Street Fighter metteva sul piatto mosse speciali ottenibili tramite combinazioni di comandi e tasti mentre Bruce Lee Lives (esclusiva MS-DOS) di The Software Toolworks, zitto zitto,  permetteva di creare custom combo concatenando più attacchi da richiamare con la pressione di un tasto. 
Il tutto nel 1989, peccato che lo abbiamo giocato in pochi.

Gran gioco, davvero.
Gli anni novanta, però, si aprono all'insegna della tradizione. Tornei di arti marziali da affrontare sportivamente indossando il gi della prima comunione sono il background comune a Oriental Games di MicroSyle e Budokan di Electronic Arts. Entrambi, però, permettono la possibilità di scegliere quale disciplina utilizzare; non più il solo, inflazionatissimo karate quindi. 

Oriental Games (1990) è chiaramente il più debole tra i due: dopo aver effettuato la registrazione presso la (bruttissima) segretaria nella (bruttissima) introduzione, ci troviamo di fronte alla scelta tra kung fu, kendo e kyokushinkai, lo stile di karate creato dal sensei Masutatsu Oyama, all'epoca molto popolare in America.

Certo, se il buon giorno si vede dal mattino...

La presentazione rimane su livelli piuttosto scarsi sfoggiando un solo fondale completamente immobile, a parte qualche sparuto flash, assieme a sprite piccoli e cromaticamente poveri; tuttavia le rogne più gravi si annidano nel sistema di combattimento. 
Il problema principale è il rilevamento di collisione decisamente arbitrario, che registra solo i colpi sferrati da una certa distanza, con una precisione all'ultimo pixel. In un match totalmente votato all'attacco come quello che ho appena concluso, mi sono ritrovato con NOVANTANOVE colpi a vuoto (dopo ogni incontro c'è un'apposita schermata riassuntiva) mentre cercavo di colpire il mio avversario in ogni modo possibile.  
Questo porta a combattimenti inutilmente lunghi e noiosi, mentre i due stili corpo a corpo si assomigliano parecchio l'uno con l'altro, non riuscendo a offrire una varietà di approcci degna di questo nome. 

Pessimi colori, specie negli sprite.
L'idea del comportamento dell'avversario computerizzato (aggressivo, difensivo, disperato...) è buona, anche perché muta dinamicamente durante l'incontro, ma tutto il resto è trascurabile. 
Le versioni a sedici bit permettono di modificare i controlli, abbinando le varie mosse alle direzioni del joystick a piacere, ma sugli otto bit è presente il sumo come disciplina extra, sebbene le specialità debbano essere affrontate secondo una sequenza prestabilita, senza poter scegliere da dove iniziare.

Il sumo su Spectrum.
Budokan esce nel 1989, eppure ricordo bene di averlo giocato nel 1990. Mea culpa, sarebbe dovuto apparire nello speciale scorso, ma rimediamo subito. 
Qui le discipline da scegliere sono quattro (karate, bo, nunchaku e kendo), ma il sistema di combattimento prova una strada nuova grazie al doppio indicatore della stamina e del ki. Attaccare alla cieca è il modo più facile per perdere in Budokan: saltare e colpire continuamente prosciuga la stamina, mentre il ki,  che determina la potenza del colpo, va caricato con pazienza, attendendo il momento giusto e parando l'attacco del nemico. 
Un colpo scatenato con la barra del ki ben pasciuta è in grado di dimezzare la stamina dell'aversario in un attimo
Una nota di realismo allora assolutamente rivoluzionaria, questa, che riscosse un ottimo successo, facendo guadagnare al titolo Electronic Arts delle recensioni molto positive. 
A coronare il successo contribuirono le voci digitalizzate e l'ottima grafica, con animazioni convincenti e una serie di avversari comandati dal computer ben caratterizzati, che arrivano a sfidarci con tecniche e armi inedite come tonfa e naginata.

Il mitico Goro Suzuki, più famoso per la sua abilità nell'abbuffarsi di sushi che per il suo karate. O almeno questo dice il gioco...
Occhio però, Budokan non è invecchiato benissimo: il sistema di controllo poco intuitivo, la meccanica lenta e ponderata nonché un'intelligenza artificiale sorprendentemente scaltra rischiano di prendere a calci tutte le cinture bianche che si avvicinano al gioco per la prima volta.

Nel 1991 uno sconosciuto Team 17 attira l'attenzione di stampa e giocatori con Full Contact, un gioco che non poteva essere ignorato grazie alla colonna sonora iniziale di Allister Brimble, assieme alla grafica di Rico Holmes. 
Ricorda un po' Ye Ar Kung Fu di Konami nell'animazione del salto del protagonista, ma questo picchiaduro a metà tra il videogioco e la tech demo (tiè) offre qualche buona idea come la possibilità di aumentare i parametri del nostro lottatore tra un incontro e l'altro, oltre a un calcio lento e difficile da piazzare, ma in grado di atterrare l'avversario e togliere grandi quantità di energia. La giocabilità è però deludente, con un alto grado di difficoltà dettato dalla cattivissima CPU che attacca implacabilmente già dal secondo avversario, un energumeno armato di bo in puro stile Pole, giusto per continuare il paragone con il classico Konami.
Però anche qui c'è un cane da picchiare, ovvero il famigerato Thomas the dog, da seguire nell'angolo e prendere a calci prima che riparta all'attacco in un match terribilmente tedioso e meccanico.

Ché magari i fan di Human Killing Machine rischiavano di sentirsi trascurati dopo tutta questa serietà.

Gran bei fondali, peccato che siano statici.
In quell'anno, però, avviene il Fattaccio. Con la maiuscola

Esce Street Fighter 2 e il mercato arcade viene colpito con la forza di un tatsumaki senpu kyaku.
Tutti vogliono salire sul carro dei vincitori e i cloni cominciano a fioccare nell'ambiente a gettone; quello casalingo, per riflesso, viene investito dallo stesso fervore marziale. 
 "Colpa" anche del mercato console, portatore sano d'invidia a causa della stupenda conversione del colosso Capcom su Super Famicom. Ci si mette anche la splendida ludoteca per il Neo Geo, fino ad allora piuttosto anonima, caratterizzata da affascinanti titoli come il Garou Densetsu di Takashi Nishiyama (il papà del primo Street Fighter, se non avete mai letto l'intervista su 1UP dovreste rimediare ieri) e Ryuko no Ken di Hiroshi Matsumoto, produttore di tutte le più importanti serie picchiaduristiche sul mostro SNK.

Gli amighisti quindi esigono Street Fighter 2, o quantomeno qualcosa che gli assomigli. 

Diavolo, a breve addirittura gli MS-DOS avrebbero potuto dire la loro a testa alta, forti del bellissimo One Must Fall. Puntuale come i cinepanettoni, US Gold si impossessa dei diritti per la conversione del blockbuster Capcom, tirando fuori un prevedibile fiasco nel Natale del 1992
Perché affidare la conversione del coin-op più importante dell'anno ai Creative Materials vuol dire essere masochisti
Quelli di E-Swat e Days of Thunder, per fornire un metro di paragone abbastanza deprimente.

Avete presente il calcio volante di Ken? è lo stesso fotogramma della spazzata media. Si parlava di tagli alle animazioni...
Quattro dischetti da cambiare come un deejay in berserk non sono il miglior biglietto da visita ma, una volta caricato, il gioco delude confermando le basse aspettative. 
Animazioni brutalmente tagliate e una palette cromatica decisamente povera sono solo la punta dell'iceberg per una conversione orfana della fluidità dell'originale; a peggiorare le cose arriva lo spauracchio di tutte le conversioni arcade per gli home computer dell'epoca, ovvero i joystick con un solo pulsante di fuoco.  
Uno standard assolutamente inadeguato per offrire un'alternativa accettabile ai sei pulsanti apprezzati in sala giochi, ma per lo meno i Creative Materials ci hanno provato, offrendo addirittura quattro diverse configurazioni che permettevano di sfruttare, oltre al canonico joystick, i pad a due tasti, la sola tastiera e un ibrido tra questa e il joystick

Gli hitbox sono arrangiati in modo disastroso quindi, fluidità a parte,  il gioco semplicemente non si gioca come l'originale, senza mezzi termini. Per lo meno i tagli concedono qualche involontaria risata, come ad esempio nel caso della proiezione con il calcio di Ken: l'accozzaglia di sprite gira su sé stessa peggio che in un R-360. I fondali sono animati, ma anche loro perdono diversi particolari, come ad esempio lo stage di Chun Li, su Amiga privo di ciclisti.

Sono brutti momenti, ma il Team 17 arriva in soccorso del popolo amighista. O almeno così vorrebbero tutti. 

Body Blows, beh, blows per davvero

Non è nemmeno colpa sua, quantomeno non del tutto: arriva sul mercato dopo essere stato pompato all'inverosimile dalla stampa per circa un anno e le aspettative che trova al traguardo sono troppo alte. 
Hype a parte, diciamo che i veri appassionati del genere ritenevano Body Blows spazzatura già nel 1993, tuttavia le recensioni delle testate pagat specializzate hanno favorito la diffusione del gioco, tanto che la creatura di Martyn Brown e compagni si è tolta il lusso di seguire il "trattamento Capcom", tornando sugli schermi a sedici bit con nuove versioni, ma ci arriviamo tra un attimo. 

In Body Blows non ci sono le proiezioni, alcune mosse speciali vengono caricate tenendo premuto il pulsante à la R-Type, i personaggi sono derivativi e ridicoli mentre la CPU è aggressiva e demente al punto giusto, tutta indaffarata a sparare tecniche a ripetizione anche lontano dal giocatore. 
Spesso per vincere contro il computer basta spegnere il cervello, utilizzando a raffica mosse con una portata decente (di solito la combinazione fuoco più joystick in alto genera un bel calcione adatto allo scopo) per accogliere dolorosamente l'avversario. I fondali sono inispirati ma per lo meno vantano qualche animazione qua e là, mentre Allister Brimble al sonoro rimane una garanzia; peccato che il suo talento sia al servizio di personaggi carismatici come una scatola di fagioli, come ad esempio il ninja di nome Ninja (...) che, da perfetto adepto delle ombre, esclama "ninja!" ogni volta che effettua una mossa speciale. 

Ninja, se proprio devo esprimere un parere.

Yitu è praticamente Andy Bogard, mentre Nik pare aver svaligiato il guardaroba di Terry...
E come un vero guerriero ombra, nel 1994 Body Blows si moltiplica! 
Esce il seguito Body Blows Galactic con il roster parzialmente sostituito da alieni di ogni forma, compresi un bizzarro essere formato da coni fluttuanti, un robot e uno sgorbio a cavallo di un dinosauro. 
Rimangono i due fratelli Nik e Dan assieme al pugile Junior; stessa solfa, ma c'è un apprezzabile miglioramento per quanto riguarda la grafica, specialmente in alcuni fondali piuttosto ispirati.

Tipo questo.
Segue a ruota la versione AGA del primo titolo: più fluida, con fondali ridisegnati, velocità di gioco selezionabile e un'AI più docile. È un gioco sicuramente più godibile rispetto all'originale, ma non ancora degno di impensierire la concorrenza su console. 
Incomprensibile la modifica relativa alle mosse da caricare con la pressione del pulsante, ora soggette al riempimento di una barra che aumenta mano a mano che vengono usate. 

Sarà stata un'idea per simulare una sorta di affaticamento del lottatore? 

E allora perché le altre mosse speciali possono essere usate ad oltranza senza restrizioni? 

Ah boh, a questo non so rispondere.

Stesso fondale della foto precedente, ma nella versione AGA.
E per finire il CD32 si becca Ultimate Body Blows, minestrone riscaldato con tutti i personaggi della saga, alieni e non. Con venti personaggi (dieci dal primo gioco e altrettanti dal Galactic) può sembrare un'offerta allettante, ma si tratta purtroppo del classico caso di quantità a discapito della qualità. 
I problemi della serie non vengono affrontati e risolti, perdendo quindi l'ultima occasione di risollevare il picchiaduro Team 17 dalla mediocrità. 

Trovare una didascalia per quello che accade in questa foto è troppo anche per me...

Il gioco sarebbe uscito anche per DOS e potete scaricarlo da GOG.com, nel caso le vostre tendenze masochistiche abbiano il sopravvento.

Se la cavò decisamente meglio la Probe con le conversioni dei primi due Mortal Kombat. Usciti rispettivamente nel 1993 e nel 1994, entrambi sfruttano i controller a due pulsanti, sebbene il confronto con lo scomodo layout a cinque tasti visto in sala giochi costringa a qualche sessione di pratica prima di avere la meglio sulla coriacea CPU. 
Il primo occupa due dischetti e si concede qualche compromesso sul fronte grafico, come i fondali completamente immobili (ma la strega che si staglia contro la luna nel livello The Pit riesce comunque a fare una comparsa) e un numero di colori su schermo sicuramente inferiore rispetto a quelli sfoggiati dalla scheda Midway Y Unit; ciononostante il risultato è assolutamente vincente, anche grazie all'accompagnamento sonoro del solito, impeccabile Brimble. 

Come nota di colore spicca alla programmazione il mitico Gary Liddon, superstar di Zzap!64 reduce dalla mancata pubblicazione del suo Tyger Tyger.

Un lavoro ben fatto.
Tre dischetti per il secondo episodio, ancora più fedele all'originale. I fotogrammi di animazione sono sensibilmente aumentati, così come l'uso del colore. Ed Lawrence di CU Amiga si esalta, consacrando il lavoro di Probe come migliore conversione in assoluto dell'arcade Midway con un altisonante 95%. Opinioni a parte, il risultato è davvero sbalorditivo nonostante la difficoltà particolarmente punitiva, invero più impegnativa di quella incontrata in sala giochi. La cattivissima CPU di Mortal Kombat 2 su Amiga comincia infatti a picchiare durissimo già dal primo match, ma la pratica aiuta.

Toasty!

Facciamo una pausa? Parliamo di Bangkok Knights, picchiaduro della System 3 uscito nel 1989. Ok, anche questo doveva andare nello scorso speciale, ma mi è tornato in mente ora e ci vuole un altro gioco brutto per spezzare la cronaca.

O potevamo anche ignorarlo eh, tanto è orrendo. È la conversione dell'omonimo titolo per C64, premiato da Zzap!64 principalmente per le generose dimensioni degli sprite, qualità molto meno impressionante in questo ambito, considerata la potenza di Amiga. 
Due dischetti e otto combattimenti contro altrettanti brutti ceffi per diventare il campione incontrastato di muay thai sono i numeri di questo picchiaduro. Questi e UNA sola mossa necessaria per raggiungere i titoli di coda, dopo aver costretto l'avversario in un angolo. Bangkok Knights ha diversi problemi, CPU penosa a parte. I personaggi possono muoversi liberamente nell'area di gioco ma, a seconda del fondale e della posizione, possono rimanere incastrati contro la parete di una grotta o trovarsi a menare colpi all'aria uno di fronte all'altro,  senza danneggiarsi minimamente. 

E con questo abbiamo toccato il fondo. Domani chiudo il blog, sono depresso.
System 3 investì in un team di novellini per questa conversione, e si vede; l'unico elemento valido è il buon Dave Lowe, un uomo che avrebbe dato il suo apporto a titoli di indubbio valore come Carrier Command, Elite 2, Formula One Grand Prix e i due Starglider. Oltre a robaccia come le conversione di Altered Beast e Power Drift, ma io non ho detto niente.

Niente, Probe a parte, ci vogliono gli italiani per salvare la situazione. Nel 1995 Shadow Fighter (le iniziali sono le stesse di Street Fighter come vuole rimarcare Fabio Capone durante un'intervista apparsa sulla versione italiana di Retro Gamer) arriva come un fulmine a ciel sereno grazie all'etichetta Gremlin, ed è un successo tutto tricolore, frutto del lavoro di Fabio Capone, Domenico Barba e dei ragazzi del NA.P.S. Team. 

Qualcuno continua a ravanare tra i vecchi abiti di Terry...
Ha tutto: velocità, proiezioni, un buon numero di personaggi (ben diciotto) e un'apprezzabile sensazione di volenza, accentuata dal sangue che sporca il ring in perfetto stile Mortal Kombat. Gli avversari computerizzati sono scaltri e propongono una sfida apprezzabile, specie ai livelli di difficoltà normal e hard, indispensabili per giocare con il roster completo e per assistere alle sequenze finali. 
Come per Body Blows, il sistema di controllo si affida ai classici joystick a tasto singolo risultando però più diretto e familiare, affidandosi a collaudate movenze a base di mezzelune per effettuare gli attacchi speciali al posto delle folli idee partorite dal Team 17. Sebbene lo stile grafico non sia eccezionale, la presentazione è comunque eccellente grazie anche allo sbalorditivo effetto prospettico del pavimento. 

Shadow Figther sarebbe tornato su AGA e CD32, ma le migliorie si sarebbero limitate al lato cosmetico e sonoro.

Peccato per la (le?) futura espansione, annunciata direttamente sulla confezione del gioco; prometteva otto nuovi personaggi, ma il mercato Amiga cominciava a scricchiolare...

Mannaggia, già mi mancano quegli otto personaggi...
Concluderemo la retrospettiva nella terza parte, dove esamineremo l'ottimo Fighting Spirit, probabilmente il mio picchiaduro preferito su Amiga, e anche qui si tratta di un trionfo tricolore. 
E già che ci siamo seguirà una veloce carrellata dei peggiori disastri, roba che il Retrocrap di Tagliaferri era al confronto la finale di Miss Universo. 

Con un paio di aborti tutti italiani, ché mica si puo' vincere sempre.

4 commenti:

  1. Se penso a quanto giocai con SF2 e BB su Amiga, ho pure una cassetta con il sonoro registrato. .___.
    Tutta colpa di SF2 per C64, era il mio metro di paragone dei picchiaduro, in quel periodo.

    "NINJA'!" Con l'accento sulla A.

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  2. Piacevolissimo come sempre. Sulla didascalia di Body Blows sono morto.

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  3. Bring back Retrocrap! Detto questo ringraziamenti a scroscio per tutti, principalmente per aver letto tutto il malloppone!

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