giovedì 30 gennaio 2014

VS. NES Parte 1

Inauguriamo oggi una nuova rubrica, perché questo blog ha una lunga e costante tradizione di articoli portati avanti con regolarità.

No, seriamente, la nuova serie VS. qualcosa è un semplicissimo diario, in cui riporterò le recenti esperienze ludiche con il software di questo o quell'altro sistema, analizzando i vari titoli che macinerò.
Questo per due motivi: in primis perché ho messo di recente le mani su un bel po' di cartucce NES e le sto finendo una dopo l'altra, con gioia e somma libidine videogiocosa, alla faccia di Sengoku Basara 4 che mi guarda dalla sala e vorrebbe un po' d'amore anche lui.
Credo che sia un buon metodo non solo per trattare e riscoprire videogiochi "vecchi", ma anche per constatarne l'effettiva validità al giorno d'oggi, ché magari non tutti superano agilmente la prova del tempo. Poi, secondo motivo, perché questo è un blog e una rubrica "da diario" credo non stoni. Per le recensioni professionali fatte da chi scrive bene recatevi qualche click più avanti.

Cercherò comunque di prendere in esame titoli meno conosciuti (= razza estinta nell'era di Wikipedia) e duri da battere, perché tutti amano una bella sfida, almeno in un mondo migliore.

File 01 - Kung Fu & Spartan X 2


Il primo videogioco che mise piede a casa mia (ammettendo che i videogiochi siano effettivamente dotati di piedi) fu Moon Patrol su Atari 2600, gentilmente collegato ad un ciclopico Mivar dal classico amico ricco (TM). Il mio genere preferito, invece, sono i picchiaduro, a incontri o a scorrimento che siano. Questo preambolo serve a ricordarmi, nel caso ci fosse bisogno, che ho un debito inestinguibile nei confronti di Takashi Nishiyama. Suo è anche Spartan X, a tutti gli effetti il papà dei giochi di lotta a scorrimento, nonché titolo dalla genesi curiosa. In Giappone nasce come videogioco vagamente ispirato della commedia con Jackie Chan "Wheels on Meals" (1984), conosciuto come "Il Mistero del Conte Lobos" da noi e, appunto, "Spartan X" nella terra dei samurai.


Spartan X / Kung Fu Master si ispira alla parte finale del film, quando Thomas, l'alter ego di Jackie , deve liberare Sylvia da una banda di criminali, facendo squadra assieme a David (Yuen Biao) e Moby (Sammo Hung). In realtà Nishiyama-san prende ispirazione anche da Game of Death (L'ultimo combattimento di Chen) con Bruce Lee per quanto riguarda il concetto della torre da scalare a suon di combattimenti, un piano alla volta. Il boss del terzo piano è un gigante di colore in grado di dimezzare l'energia di Thomas con un colpo, strizzata d'occhio, forse, al personaggio di Kareem Abdul-Jabbar in Game of Death.

Nel coin-op è più longilineo.


O forse ricalca semplicemente la stereotipata caratterizzazione degli yankee agli occhi dei giapponesi di allora, chi può dirlo.



La versione NES, che durante la stesura di questo articolo ho giocato e finito più volte, è a conti fatti l'adattamento migliore per i sistemi casalinghi. Programmata da Nintendo e rinominata semplicemente "Kung Fu" in America e Europa, vanta un dettaglio grafico ottimo, pur non raggiungendo la definizione e le dimensioni degli sprite originali.
La sola presenza di un joypad con due tasti, però, è un punto a favore ENORME rispetto a quanto offerto dagli adattamenti per home computer, costretti a convivere con i classici joystick monopulsante della tristezza (TM). Nella blocchettosa versione per C64, ad esempio, è necessario usare la barra spaziatrice per alternare pugni e calci.
Brutta cosa, specie se ci aggiungi una realizzazione tecnica altalenante, con la versione per Spectrum come fanalino di coda e una vera rivelazione, invece, su Atari 2600. Su questo sistema tra l'altro, Kung Fu Master rappresenta l'ultimo gioco commerciale, pubblicato nel 1987 dall'Activision.

Su C64 invece è un culturista californiano in visita a Legoland. Sfortunatamente il celebre cheat mode (shift + g) funziona solo al primo livello, impedendomi di impallinarlo...
Ci sono cinque piani da affrontare per salvare Sylvia, con il gioco che inizia d'accapo dopo aver sconfitto l'ultimo boss. Ho completato il gioco tre vole di fila prima di averne abbastanza: c'è una buona varietà di nemici e trappole da evitare, ma l'azione sostanzialmente non va oltre il combattimento continuo.
Nella versione postuma per Game Boy (che ho trovato tra le cartucce di mia moglie, pensa te...) uscita nel 1990, è invece presente una robusta componente platform, specialmente nei livelli avanzati. Anche se condivide il nome del titolo originale, si tratta di un seguito vero e proprio con ambientazioni e nemici inediti, compreso un energumeno armato di motosega con tanto di maschera à la Jason, come vuole il contratto sindacale. Thomas ha una nuova mossa, ovvero una capriola sul posto particolarmente utile contro i boss, oltre a poter recuperare drink energetici, ovviamente assenti nel coin-op originale o nella versione NES.
La vecchia scuola è sempre una severa maestra di vita.

Le cover giapponesi del Game Boy... E che gli vuoi dire?

In realtà Spartan X vanta un altro seguito, stavolta esclusivo per Famicom e relegato al suolo nipponico, chiamato poco originalmente Spartan X 2. Ho giocato e finito anche lui in questa sessione, ma è stata una delusione. Il problema è l'incredibile facilità, anche al livello più "arduo". Colpa dell'abbondanza di vite e bonus energetici, ma anche della scarsa aggressività di nemici e boss, con i loro schemi di attacco risibili. L'ambientazione riprende gli stereotipi dei picchiaduro anni Novanta, rispolverando grandi classici come una sana scazzottata in metropolitana, ma si permette assurdità di un certo calibro, come il combattimento su un aereo in volo.

NEL SENSO CHE SI FA A BOTTE SULLA CARLINGA DELL'AEREO, MENTRE È IN VOLO.

No, vabbè...

Quel livello, poi, vanta come boss un domatore armato di frusta che manda all'attacco un gorilla, prima di scendere personalmente in campo. Ho dovuto rileggere la precedente frase più volte, lo ammetto.

Irem aveva intenzione di importare Spartan X 2 in occidente, ma non se ne fece più nulla, come testimonia questa pubblicità.

File 02 - Shatterhand


Shatterhand è il classico gioco che avrei evitato come il debito se mi fossi trovato faccia a faccia con la confezione, magari da soli in un vicolo buio.

"Ti prego, prendi il portafogli ma lasciami andare!"
Ma poi, coprendola con un panno nero e inserendo la cartuccia nel NES, prestando attenzione a chiudere lo sportellino prima di aprire gli occhi, non puoi non innamorarti del gioco. Creato da Natsume, pubblicato in occidente da Jaleco, con un protagonista che abbatte muri e sconfigge cyborg giganteschi a pugni indossando occhiali scuri... C'è tutto, c'è davvero tutto.

Essendo un eroe badass solitario in missione per salvare il mondo, Shatterhand è costretto a recuperare denaro picchiando i nemici, da spendere su apposite piataforme-negozio per potenziarsi o riguadagnare l'energia.

Shatterhand è un platform duro come il suo protagonista, con cinque livelli da affrontare prima di sbloccare uno degli stage finali più odiosi dell'epoca NES.
Lungo, difficile e con un solo checkpoint da guadagnare tramite il doveroso esborso di sudore, sangue e bestemmie assortite, un traguardo che raggiungi a denti stretti dopo aver attraversato passaggi impegnativi inframmezzati da combattimenti contro alcuni dei boss di fine livello già abbattuti, una solida tradizione di quegli anni.
Ma che soddisfazione poi mandare al tappeto il nemico finale, una di quelle che tu, videogiocatore rammollito, dovresti provare per sentirti un vero maschio alpha: Shatterhand, dopo averlo sconfitto, si prende pure il piacere di piazzargli tre sganassoni sul torace prima della sequenza finale. Come dicevo prima, c'è tutto.

Il momento della bestemmia videoludica: questo boss in divisa mi ricorda un po' il primo avversario di Human Killing Machine. La mia immaginazione a volte è deleteria.
Shatterhand oltre a saltare e tirare pugni non fa molto all'inizio, ma può raccogliere dei simboli alpha / beta  disseminati in appositi container, come nemmeno in Side Arms.

Tre simboli gli permetteranno di guadagnare un droide orbitante in grado di fornire preziosa potenza di fuoco extra. Ce ne sono otto con attacchi differenti: spade per affondi corpo a corpo, proiettili rimbalzanti, laser e anche un lanciafiamme da usare tenendo premuto il pulsante di attacco, sacrificando i dirompenti pugni del tostissimo protagonista in cambio di una lingua di fuoco continua.

In posa da adorabile tamarro, Shatterhand può scegliere quale dei cinque stage iniziali affrontare prima del tremendo finale.
I droidi hanno anche altri utilizzi: possono assorbire gli attacchi provenienti dall'alto e sollevare da terra Shatterhand, facendolo levitare alla volta di piattaforme difficili da raggiungere. In casi estremi possono essere scagliati contro il nemico in una botta di gratitudine notevole, causando danni ingenti ma sacrificandone la resistenza. Il "lancio dello stronzo" di Fantozzi, ma in versione robotica.

Due cose bellissime in una sola schermata: il droide samurai e Shatterhand potenziato. Che è uguale allo Shatterhand normale, ma indossa una casacca rossa.

Se riesce a ottenere per due volte di seguito lo stesso droide, Shatterhand guadagna un esoscheletro con tanto di attacco a distanza per un tempo limitato, resistente ai colpi e strategicamente apprezzabilissimo quando si tratta di combattere contro gli avversari di fine livello.
Bellissimi: si va dal classico ninja armato di katana, ninpo e tanta agilità ad uno spettro fluttuante in grado di invertire la gravità, fino ad arrivare al leader dei nemici, tostissimo e - ah! - anche lui dotato del suo personale droide da guardia. 
Sullo sfondo un level design ben studiato, impegnativo e caratterizzato da un'apprezzabile varietà, alternando alle classiche piattaforme idee come sezioni sommerse o a gravità invertita.

Ho amato finire Shatterhand. L'unico problema è che ho dovuto attendere il fine settimana, per affrontare lo stage finale con tutto il tempo necessario. Forse mi sono rammollito anche io, dopotutto.

Differenze principalmente cosmetiche nella versione nipponica.
Gli amici giapponesi chiamano Shatterhand Tokkyuu Shirei Solbrain, nel senso che lì il gioco è lo spin-off di una serie tokusatsu. L'esperienza è sostanzialmente identica, a parte un livello (il sottomarino di Shatterhand diventa un luna park in Solbrain) e l'aspetto dello sprite principale, dei droidi orbitanti e delle monete con cui comprare potenziamenti, energia e vite extra, nella versione giapponese rimpiazzate da schede con la lettera "P".