sabato 23 dicembre 2023

Una breve, modesta disanima sulle origini di id Software e di Doom, ché un post all'anno questo blog in fondo se lo merita.

 

Funziona così; le dure leggi della regia e del ciak hanno tagliato tutta la mia chiacchiera su Romero durante una diretta lì sul canale Kenobisboch, messa assieme in occasione del trentennale di Doom e dell'esplorazione di MyHouse, un WAD particolarmente interessante. Ora, siccome sono in ferie e ho un attimo di tempo libero, riassumo un po' di cose con calma, ché questo blog ha addirittura saltato il suo unico post nel 2022 e bisogna tenerlo in vita almeno negli anni dispari.

John Romero, dicevamo, un uomo interessante. Negli anni Settanta frequentava lo Spanky's a Tucson, in Arizona, un locale dotato di una sala giochi notevole, buia, fumosa e con una cinquantina di flipper casinisti, affiancati a autopiste elettromagnetiche.
Che sono un po' come le arcaiche Microguida che avevamo in Italia: sai, i cassoni con lo sterzo scippato a qualche Cincquecento di passaggio e pedali con cui dirigere una biglia fino al traguardo, solo infinitamente più belli.
Tutto questo ben di Dio ovviamente passò in secondo piano con l'arrivo dei giochini elettronici, nella fattispecie Space Invaders e Targ. Era tutto un susseguirsi di alieni da abbattere a colpi di laser ma, in verità, fu l'avvento di Pac-Man a far scattare la scintilla in John.


Lo-res, ma tanto humor nel debutto di John.

 Il concetto alla base della creatura di Tohru Iwatani insegnò a John che un game designer poteva pensare fuori dagli schemi, non limitando l'atto della creazione al mero scimmiottamento di canovacci esistenti. La ricerca di una propria unicità attraverso la programmazione, in particolare, fu una strada che intraprese alla fine del decennio, durante una calda estate, quando suo fratello lo raggiunse a casa con la migliore notizia di sempre: al college c'era un'aula computer con dei videogiochi, ed erano gratis!


John e compagni inforcarono le loro bici come in un crossover tra E.T. e Goonies per mettere le mani sugli ambiti terminali, facendo una scoperta fondamente: sì, in fin dei conti si trattava di programmi piuttosto elementari rispetto agli ultimi successi visti in sala giochi, ma l'interazione potenzialmente offerta da tastiere e linguaggi di programmazione aveva spalancato la porta su un nuovo mondo.

Il meglio però era riservato al sabato mattina, quando si poteva accedere tramite preziose amicizie al titanico mainframe HP 9000 per giocare il fondamentale Colossal Cave Adventure di Will Crowther, programmatore e speleologo che ricreò - in quella che è universalmente considerata la prima avventura testuale della storia – la mappa della Mammoth Cave nel Kentucky. Fu l'ennesimo colpo di fulmine, lo spartiacque con cui comprendere la differenza che intercorre tra la grammatica dei videogiochi da casa e quella delle macchinette mangiasoldi che era solito foraggiare nella sala giochi dello Spanky's.

Questi dovevano offrire schemi di gioco immediati e facili da comprendere in cambio di qualche moneta, mentre il videogioco casalingo poteva diventare un'esperienza immensamente più profonda e immersiva


E John ci provò, a seguire questa ispirazione, creando la sua prima avventura testuale su quella pachidermica macchina. Solo che non aveva altro modo di salvare il frutto del suo lavoro se non su schede perforate, create direttamente tra le pareti domestiche. Un approccio artigianale ma laborioso, tanto che la spola continua tra casa e laboratorio a un certo punto non fu più sostenibile: colpa di quel fighissimo Apple II di cui tutti parlavano.

Basta con gli elaboratori grossi come una stanza, il nuovo “computer per tutti” era relativamente economico, a colori e permetteva di scrivere giochi nell'intimità della cameretta. Fu il motivo di un intenso lavaggio del cervello ai danni del padre che alla fine capitolò ai desideri del figlio undicenne, e mai decisione fu più determinante: dopo l'arrivo del computer, per John ci fu solo la programmazione. Un'ossessione che lo spinse a replicare i suoi arcade preferiti come Crazy Climber di Nichibutsu, ma ci volle un bel po' di tempo affinché le cose si muovessero come si deve.

Colpa anche del trasloco in Inghilterra, che costrinse John ad attendere mesi in attesa che la sua amata macchina venisse spedita tramite nave
.

Nel vecchio continente nessuno masticava il codice come lui, tanto che, per non perdere l'allenamento, era solito compilare l'assembly sul quaderno, solo per effettuare rapidi raid nella sala computer e digitare il frutto della sua fatica, provando quindi su schermo quello che aveva immaginato e immortalato su carta. Il primo gioco reso noto al pubblico fu Scout Search, scritto per la rivista inCider nel 1984, una popolarissima testata dedicata al mondo dell'Apple II, forte di una tiratura che va dal Gennaio 1983 al Luglio del 1993. Scout Search trasmette immediatamente lo humor di John, incarnato in un clone di Pac-Man che ci mette nei panni di un capo scout intento a radunare le sue piccole reclute prima dell'assalto di un grizzly! 


Il tocco di classe sono le urla dei pargoli quando vengono raggiunti dal plantigrade.

L'amore tra John e le riviste continuò sulle pagine di Uptime con Bongo's Bash, ennesimo clone di Pac-Man che presentava una scimmia inseguita da orde di robote. Uptime acquistò addirittura la licenza del gioco per pubblicarlo sui suoi cover disk, un traguardo non trascurabile, ma il colpaccio arriva nel 1987 con Lethal Labyrinth, un gioco in double res che conquista subito il cuore dei fan della Mela. Altro gioco a base di labirinti, stavolta però impreziosito da un pizzico di Boulder Dash, con il protagonista Joey tutto intento a prendere a rocce in faccia alberi mostruosi e raccogliere le lettere che gli permetteranno di comporre una parola magica con cui aprire un portale per il livello successivo.

Forte della sua nuova meraviglia, Romero si mosse alla volta dell'Applefest Show di San Francisco con l'intenzione di confrontarsi con la concorrenza. Fu preceduto dalla sua fama: l'ultimo numero della rivista Nibble era ovunque, con il gioco di John in bella mostra sulla copertina, mentre i vecchi amici di Uptime (e i nuovi fan di Softdisk) desideravano a tutti costi averlo sul loro libro paga.

John tuttavia aveva le idee chiarissime, e si trovava lì con lo scopo categorico di ottenere un posto alla Origin, essendo da sempre un grande fan di Ultima. Così giocò un azzardo oramai leggendario: individuato l'unico computer su cui girava Ultima I (all'epoca il quinto episodio era la novità del momento), tirò fuori il floppy e inserì quello di Lethal Labyrinth, sotto lo sguardo incredulo degli addetti allo stand!


Lethal Labyrinth in tutto il suo splendore.

Qualche centinaio di chiamate dopo, John riuscì finalmente a trovare un lavoro nella software house dei suoi sogni, stavolta alla tastiera dell'emergente C64, lavorando sulla conversione di 2400 AD di Chuck Bueche, un gioco di ruolo fantascientifico criticato un po' da tutti, tuttavia  forte di un'illustrazione in copertina meravigliosa e tre belle miniature della Grenadier in omaggio. Tutto questo non aiutò più di tanto le vendite, tanto che, in seguito ai profitti deludenti riscossi dall'originale versione per Apple II, quella per la piattaforma Commodore venne accantonata, dirottando l'abilità di John sul bellissimo Space Rogue di Paul Neurath, il futuro fondatore di Looking Glass Studios.

Un titolo stavolta convertito per ogni piattaforma dell'epoca, dal C64 alle macchine delle meraviglie al di là dell'oceano, come FM-Towns e X68000. Il lavoro alla corte di Richard Garriott durò appena otto mesi, tempo di venire corrotto dal lato oscuro e fondare con il suo responsabile di allora la Inside Out Software, un'avventura purtroppo di breve durata. Molto meglio ricorrere agli amici, dopotutto a questo servono: Jay Wilbur, sua conoscenza ai tempi della redazione di Uptime, aveva un posto a Softdisk ed era disposto a garantire per lui


Il mediocre successo di 2400 AD fu la chiave per l'amicizia tra John e Paul Neurath.

Non che servissero raccomandazioni: il capoccia Al Vekovius era semplicemente entusiasta di poter avere John a bordo, sia per la capacità programmatoria sopraffina che per l'impagabile gavetta svolta alla prestigiosa corte di Lord British. Solo che anche qui il nostro non era poi così contento, dopo un anno trascorso a curare conversioni da sistema a sistema con deadline risicatissime. Quindi propose a Al una sua divisione dove potesse sviluppare giochi in autonomia e con le proprie regole. Davanti a una simile, educata proposta (spalleggiata dalla sottile minaccia di emigrare sotto il tetto di Lucasfilm Games) John ottenne quello che desiderava; tuttavia, anche così, qualcosa sembrava mancare.
Perché era troppo bravo, nessun programmatore raggiungeva il suo livello e, anche dentro Softdisk, non riusciva a trovare un fratello d'armi all'altezza della sua visione. 

Questo finché non capitò in redazione un giochino di tennis dalle straordinarie animazioni, una qualità che intrigò John, spingendolo alla conclusione che questo John Carmack dovesse essere un tipo per nulla male. Fece di tutto per incontrarlo, nonostante la divisione Apple II di Softdisk avesse provato già due volte a convocarlo per un colloquio senza alcun risultato, ma un semplice invito a cena riuscì a compiere il miracolo, alla faccia di tutti quei colletti bianchi. Il fatto è che il prezioso tempo di Carmack uno doveva meritarselo perché, come Romero e il suo amico Lane Roathe (collega in Softdisk) impararono, il genio del tipo che avevano davanti era davvero fuori scala.

Aveva venduto a Softdisk il gioco di ruolo Dark Designs per Apple II a quattrocento dollari, ma venne a sapere che il mercato degli MS-DOS stava esplodendo e lo stesso titolo su questa piattaforma gli avrebbe fruttato praticamente il doppio. Quindi, nonostante fosse a digiuno assoluto per quanto riguarda l'ambiente PC, ne noleggiò uno, imparò la programmazione da zero e convertì il suo virgulto, il tutto in una settimana! 


Dark Designs nella gloria della CGA in una settimana partendo da zero. Che ci vuole, quando sei John Carmack!

Rileggete dieci volte ad alta voce la frase precedente e capirete perché Romero doveva avere a tutti i costi Carmack nella sua squadra, e fortunatamente il rispetto e l'intesa nerd tra i due fu reciproco. Insieme nella stessa squadra, Carmack scrisse per John Catacombs (1989) su Apple II, il precursore del più famoso Catacomb 3D. Un clone di Gauntlet, in fin dei conti, dove però l'abbondanza di passaggi segreti e l'innovativo sistema di schivata laterale (sì, l'antenato del nostro strafe) cominciavano a manifestare dei segni distintivi che avrebbero fatto la fortuna di un certo titolo che i due avrebbero scritto in futuro. Solo che la nuova divisione, oramai corazzatissima grazie al genio combinato dei due John, era decollata lentamente e Al Vekovius aveva chiesto uno sforzo non indifferente, ovvero un nuovo volume di Softdisk con due giochi sopra, il tutto in un mese di tempo. I due la presero con filosofia: Carmack convertì Catacombs su PC in CGA, ma con dieci livelli al posto dei quindici originali, mentre Romero recuperò un gioco buttato giù l'anno prima, restaurandolo in CGA, EGA e addirittura VGA. Quel gioco era Dangerous Dave, e fece intascare a Softdisk un bel po' di soldi e fama, se non altro per la diffusione. Dieci livelli e tre modalità grafiche in un quantitativo di memoria irrisoria lo resero infatti spaventosamente popolare. 

Al netto dei giochi da confezionare a tempo di record, questo nuovo gruppo andava alla grande, e John riceveva montagne di lettere dai fan. Uno, in particolare, sembrava amare oltre ogni limite Pyramids of Egypt, ennesimo titolo creato inizialmente in ambiente Apple II e poi tragrettato su DOS. È un gioco di labirinti dove Mike l'esploratore deve sgraffignare tutte le gemme presenti su schermo per rivelare la porta per il livello successivo, guardandosi nel frattempo da trabocchetti e cobra, quest'ultimi suscettibili al fuoco che il protagonista può appiccare in determinate zone. Il convintissimo fan non era altri che Scott Miller di Apogee, che John riconobbe da un'inserzione su una rivista! 


Non vi trasmette vibrazioni stile Tutankham di Konami?

Scott desiderava ardentemente una versione di Pyramids of Egypt per la sua compagnia con una valanga di livelli nuovi di zecca, tanto da trasformarlo in una trilogia shareware. John lo bullizzò brutalmente asserendo che quel gioco era mero retrogaming di fronte alle meraviglie che la sua squadra stava sfornando, vedi ad esempio Slordax (1991), uno sparatutto a scorrimento verticale con una fluidità impressionante che offriva la rivoluzionaria possibilità di aumentare la velocità dello scorrimento.

Del resto Carmack stava sperimentando come un matto con delle routine di scrolling, raggiungendo un livello mai visto prima su PC. E infatti le console rappresentavano un interessante punto di arrivo dato che un NES era sempre presente negli uffici di Softdisk, ché Romero doveva giocare a Super Mario Bros. 3 ininterrottamente e non aveva tempo da perdere.

 

Il prodigioso Slordax. No, non é un Pokémon.

Una sera Tom Hall, che tra l'altro si era dedicato alla creazione dei livelli di Catacombs, incontrò Carmack e rimase folgorato dal suo lavoro, tanto che pensò di tentare l'impossibile, con la notte giovane e nessuno intenzionato ad andare a dormire.

In sette ore circa i due ricrearono il primo livello di Super Mario Bros 3 con Dangerous Dave come personaggio principale, e caricarono tutto su un dischetto amorevolmente depositatato sulla scrivania di Romero, con l'etichetta “Run me”
.

Certo, non c'erano nemici e i blocchi non potevano essere rotti, ma il risultato era assolutamente incredibili: la demo era chiamata Dangerous Dave in Copyright Infringement e Romero decise seduta stante che tutti e tre stavano sprecando tempo in Softdisk, compiendo il primo passo sulla strada che li avrebbe condotti alla nascita di id Software. Scott Miller ricevette nella cassetta delle lettere una copia di Dangerous Dave in Copyright Infringement e la prese con moderazione, promettendo ai tre ragazzi duemila dollaroni da pagare istantaneamente in cambio di qualche riga di testo che descrivesse il loro prossimo progetto.

Tom Hall immaginò dunque la storia su un ragazzino chiamato Commander Keen destinato a salvare l'universo, una che Scott adorò fin dall'inizio. Da lì la giornata lavorativa tipo del gruppo divenne rovente: durante il giorno i ragazzi si dedicavano a Softdisk, ma fino a notte fonda erano tutti dediti al loro nuovo, segretissimo progetto che gli avrebbe fruttato il 35% dei diritti da parte di Apogee. La fiducia di Scott pagò, dato che il gioco incassò oltre 30.000 dollari solo durante il primo mese, nel Dicembre del 1990. Billy Blaze è un ragazzino che, dopo aver indossato l'elmetto da football americano del fratello, assume l'identità segreta dell'eroe cosmico Commander Keen, possibilmente mentre papà e mamma sono fuori casa e la babysitter ronfa della grossa, in una serie di videogiochi entrata a ragione nell'immaginario degli utenti MS-DOS di quegli anni. Tom Hall, come già detto, è il creatore del mondo in cui Keen vive le sue avventure, mentre le routine di scorrimento multi direzionale scritte e affinate da Carmack garantiscono una fluidità in perfetto stile console, in sei episodi ufficiali completati da un buffo spin-off onirico. 


Il pogo stick più famoso dei videogiochi. Crepa d'invidia, Zio Paperone!

E Softdisk? Al Vekovius ce l'aveva messa tutta: ridotto con le spalle al muro dopo aver scoperto la qualità e gli incassi di Commander Keen, provò a creare un'etichetta dedicata a questi nuovi sviluppatori superstar indirizzata agli utenti di fascia superiore, ma ma l'amministrazione intepretò una simile mossa come una sorta di favoritismo e non se ne fece nulla.
Quindi, esaurite le risorse, minacciò di portare Romero, Carmack e Hall in tribunale se lo avessero abbandonato di punto in bianco, e si accordarono con l'obbligo di tirare fuori un gioco per Softdisk ogni due mesi, mentre la loro tecnologia veniva studiata da un nuovo team interno. 

Nel frattempo John era rimasto in contatto con Paul Neurath e, verso la fine del 1990, riuscì a intuire qualcosa riguardo il suo nuovo, rivoluzionario progetto. Paul non si poteva sbottonare più di tanto, ma per lo meno la fiducia nutrita nei confronti di John gli fece confessare la tecnologia in ballo: texture mapping. 

Spalmare un'immagine su una superficie per donarle identità all'interno di un ambiente tridimensionale, un'idea anni luce avanti rispetto ai “semplici” poligoni solidi ma spogli che solo qualche mese prima erano sufficienti a far apparire giochi come Carrier Command o Starglider II pura fantascienza

Carmack, interpellato, accettò la sfida, asserendo di poter creare qualcosa di simile, ma prima bisognava concludere la parentesi Softdisk. L'ultimo gioco sviluppato per loro fu Catacombs 3-D (1992), terzo capitolo del Gauntlet sotto steroidi che aveva segnato il debutto di Carmack dream team di Romero. Dopo un secondo capitolo a metà tra il seguito e il semplice data disk, questo terzo episodio presentava routine di texture mapping ancora acerbe ma comunque spettacolari, specie se inquadrate in un titolo che può essere considerato il capostipite del genere FPS. 

Ovviamente non c'erano canne mozze o BFG 9000, ma incantesimi con cui il mago Petton avrebbe potuto fare piazza pulita degli sgherri fedeli al lich Nemesis. Nonostante ci sia solamente un'arma (palle di fuoco infinite ma caricabili in proiettili più potenti), le buone idee abbondano: ci sono passaggi segreti, una bussola permette di orientarsi nei labirinti e gli oggetti raccolti - tra cui potenti incantesimi usa e getta - possono essere adoperati al momento opportuno.
Sarà stato anche un riempitivo, ma Catacombs 3-D è un'importante pietra miliare del software su MS-DOS, una a cui Softdisk avrebbe destinato in futuro parecchie attenzioni. 


Sotto il tetto della Apogee di Scott Miller le routine ideate per il terzo Catacombs vennero sviluppate, prendendo nel contempo ispirazione dal rivoluzionario capolavoro di Silas Warner per Apple II, Castle Wolfenstein. Solo che la Muse Software era fallita nel 1994 e Silas non era rintracciabile in nessun modo: avrebbero potuto ideare un nome nuovo, ma i ragazzi si erano impuntati.

Diavolo, Castle Wolfenstein suonava davvero troppo bene per lasciarsi scoraggiare per così poco!

Alla fine si venne a sapere che i diritti della produzione di Muse Software era capitati nelle mani di una donna di Baltimora, per motivi che non ci è dato sapere; la trattativa fa rapida, e da lì nacque Wolfenstein 3D. Con ben dieci succosi livelli distribuiti come shareware, il gioco non poteva presentare un biglietto da visita migliore, e divenne un fenomeno di culto in brevissimo tempo, arrivando a incassare nel primo mese l'incredibile somma di 240.000 dollari, sgretolando con cattiveria ogni record di vendita conosciuto dalle parti di Apogee, senza neppure tenere conto di Spear of Destiny, la successiva versione retail.
Il segreto di Wolfenstein? Secondo Romero l'azione veloce e distruttiva.

Nel frattempo, il misterioso gioco di Neurath si rivelò essere Ultima Underworld, un capolavoro senza tempo, contraddistinto però  dal ritmo lento e ponderato che ogni gioco di ruolo che si rispetti impone. Per Wolfenstein 3D, i ragazzi di idSoftware puntarono agli antipodi, eliminando le texture da soffitto e pavimento per far schizzare l'azione in maniera frenetica e adrenalinica e far girare il gioco dignitosamente anche su computer più modesti.

Assaggia questo piombo rovente, feccia nazista!


PC a parte, Wolfenstein 3D sarebbe stato pubblicato su un'infinità di altre piattaforme, non senza qualche cambiamento strada facendo. Ricordiamo ad esempio la sua incarnazione sull'Atari Jaguar, con grafica migliorata e due armi nuove o quasi, ovvero il lanciafiamme e il bazooka, che funzionano praticamente come il plasma gun e il lanciarazzi di Doom. La presenza della svastica e dei riferimenti al nazismo costò la confisca di questa incarnazione in Germania, dove le rigide leggi riguardo particolari elementi della Seconda Guerra Mondiale giustificarono una censuratissima versione per Super Nintendo, con sangue e riferimenti storici eliminati. Una cartuccia invero piuttosto importante, come apprenderemo tra qualche riga.

Concediamo nel frattempo un po' di attenzione a Tom Cruise: immaginatelo entrare in una sala da biliardo, smargiasso come pochi. Con una mano regge una valigia, mentre sul volto sfoggia il sorriso strafottente delle grandi occasioni. Un energumeno con un cappello da cowboy gli chiede cosa ci sia in quel bagaglio, inconsapevole che presto la sua presunta padronanza del tavolo verde verrà fatta a pezzi dall'innaturale abilità di Vincent Lauria. Tom mostra dunque il contenuto, che si rivela essere una stecca da biliardo personalizzata, rispondendo “Un amico!”.



Questo nel doppiaggio italiano del memorabile Il Colore dei Soldi di Martin Scorsese, perché originariamente la replica è un secco “Doom”. Una scena gonfia di spacconeria e sicurezza, al punto da influenzare John Carmack riguardo il nome del gioco che lui e i suoi soci stavano sviluppando, lì nel sancta sanctorum di id Software. La strada era tracciata perché, lavorando sulla conversione di Wolfenstein 3D per Super Nintendo, Carmack aveva scoperto una routine che avrebbe agevolato lo sviluppo del seguito spirituale della loro fortunata creatura ammazza nazisti. Fondamentale fu lo studio del diagramma di partizione binaria dello spazio (BSP Tree) ideata da Bruce Nailer – fino ad allora utilizzato esclusivamente per la modellazione 3D, non certo per i videogiochi – che suggerì l'intuizione di nascondere i poligoni non inquadrati dal giocatore, rendendo tutto immensamente più veloce. L'ambientazione della futura, malefica progenie rimase per un po' fumosa: si parlava addirittura di mettere le mani sulla licenza del film Aliens, ma id decise invece di fare di testa sua, ispirandosi a una campagna di Advanced Dungeon & Dragons creata da Carmack, andata in malora per colpa di Romero che pensò bellamente di spalancare i cancelli dell'inferno sul piano materiale in cambio di una daikatana (uh!) magica e di un anello incantato. Una scelta coraggiosa insomma, che avrebbe giustificato la scrittura della bibbia.

The Doom Bible: è questo il nome del documento vergato dal game designer Tom Hall nel 1992, contenente le linee guida che avrebbero definito il loro futuro capolavoro. A onor del vero, Romero e Carmack erano però concentrati sul motore grafico e sullo sviluppo delle varie mappe, tanto che buona parte delle idee abbozzate nel manoscritto vennero scartate in virtù di un approccio più diretto e istintivo. Per questo motivo elementi come Buddy (un compagno marine che avrebbe dovuto lasciare dietro di sé numerosi log con cui far procedere la narrazione) vennero messi da parte, considerati da Romero una distrazione nei confronti del fulmineo schema di gioco da lui anelato, mentre altri furono “riciclati” nei modi più disparati. È il caso dell'Unmaker, una potente arma formata da pulsanti organi demoniaci, riproposta in seguito al posto dell'iconico BFG 9000 nella versione di Doom per Nintendo 64


E sei subito a casa!

Non aiutarono i dissapori che Carmack nutriva nei confronti di Tom, tanto che quest'ultimo venne messo da parte a favore di Sandy Peterson, un veterano che aveva lavorato a lungo assieme al leggendario Sid Meier su importanti classici quali Pirates! e Sword of the Samurai, oltre a vantare un curriculum di tutto rispetto nel mondo dei giochi da tavolo, conquistato militando presso prestigiose realtà come Games Workshop e Avalon Hill. 

Certamente tra i meriti della bibbia va annoverato il sonoro, visto che anche i più trascurati particolari risultarono fondamentali nel creare la giusta atmosfera per il musicista Bob Prince. Un'ispirazione fondamentale, giacché Bob non lavorava negli uffici di id: egli inviava i file audio a John Romero, che li compilava e li rispediva al mittente in numerose build del gioco. A questo punto Bob valutava la bontà della sincronizzazione tra l'azione su schermo e il suo operato, correggendo il tiro ove necessario.

Sandy si mise al lavoro realizzando mappe, un compito fino ad allora relegato alla diabolica materia grigia di John Romero: se quest'ultimo aveva scritto livelli capaci di mandare su di giri le scorte corporee di adrenalina, i diciannove stage creati da Sandy erano più cervellotici, e richiedevano un uso oculato dei bonus forniti per evitare che il gioco diventasse ancora più duro. Pareva tutto giusto, tranne il momento storico: la stampa specializzata (e i lettori, di conseguenza) stava impazzendo per la rivoluzione argentata portata dai nuovi giochi su CD-ROM come Myst e The 7th Guest, una sorta di nuova frontiera videoludica capace di rendere in partenza obsoleto il gioco che id Software stava creando con tanto amore.
Quindi il business manager di id, Jay Wilbur, fece una mossa che praticamente nessuno si sarebbe aspettato, ringalluzzito dalla matematica sicurezza del successo di Doom.
Il gioco doveva divenire famoso presso un pubblico ammaliato da full motion video e altre bislacche promesse, quindi visitò i più importanti distributori americani, da Babbage's a Blockbuster, concedendo gratuitamente la distribuzione dell'episodio shareware, senza volere un centesimo in diritti d'autore
.

L'obiettivo era quello di usare la capillare rete di distribuzione a disposizione di simili colossi come cassa di risonanza per creare hype, una mossa che svegliò dall'incanto anche l'imbambolata stampa specializzata, ben conscia che qualcosa di veramente grosso si sarebbe mosso a breve. Quindi, con un colpo di reni poderoso che portò anche ad abolire l'uso delle vite (retaggio di Wolfenstein) e a bilanciare al meglio le armi, Doom si presentò in forma al suo appuntamento col destino, il dieci Dicembre 1993.


L'Unmaker viene recuperato in Doom 64

Il server di id, invece, non se la passò altrettanto bene, andando giù come un birillo quando oltre ottomila persone si accalcarono per scaricare il gioco, e le monumentali attese sulla rete di AoL per iniziare il download con connessioni antidiluviane appartengono di diritto alla storia dei videogiochi. I mesi successivi furono puro e distillato caos, perché Doom aveva cambiato nel giro di poche ore il mondo dei videogiochi, facendo diventare il termine deathmatch di dominio pubblico e presentando una base istallata assolutamente incredibile. Al di là dell'esplosiva azione e della sacrosanta violenza, parte del successo è dovuto all'iconografia dei singoli elementi, saggiamente ponderati

Gli iconici mostri erano stati scolpiti nell'argilla dalle mani di Adrian Carmack e successivamente sostituiti da versioni in lattice create da Greg Punchatz, il figlio di Don, inventore del logo stesso di Doom. Immediatamente riconoscibili, prendevano ispirazione dal lato prettamente nerd di id come nel caso del Cacodemone, ricalcato sulla testa dell'Astral Dreadnought disegnato da Jeff Easley per la copertina della prima edizione del Manuale dei Piani di AD&D, targata 1987. 


Separati alla nascita.

Ovviamente nell'epoca dell'MS-DOS non tutti potevano permettersi un costoso computer per godere il gioco del momento, quindi Doom venne convertito sulla stragrande maggioranza delle piattaforme dell'epoca, seppure con un numero variabile di compromessi. Che si parli della mancata colonna sonora della versione Jaguar o della finestra di gioco lilipuziana di quella per 32X, Doom era destinato ad apparire ovunque, anche sul nuovissimo sistema operativo di Microsoft.

Parliamo della storia dell'informatica, come narrato dal giornalista David Kushner nell'ormai classico libro Masters of Doom: durante la Microsoft Developer Conference del 1995, un Bill Gates armato di fucile a pompa e spolverino d'ordinanza entra letteralmente in gioco durante quella che sembra una normalissima demo dell'onnipresente capolavoro di id, rivolgendosi al suo pubblico per dichiarare che Windows 95 sarebbe divenuta la piattaforma definitiva per i videogiochi grazie alla flessibilità delle Direct X, dando vita a una nuova era per il gioco su PC.



Nel 1994 arriva Doom II, e il poliedrico American mcGee si unisce alla squadra per sfornare quello che – secondo il parere di John Romero – è stato il gioco più “semplice” mai creato da id. Si trattava in fondo di un corposo more of the same, composto da una trentina di livelli e una manciata di nuovi nemici: la ricetta ideale per un pubblico affamato di demoni e motoseghe. Tuttavia vanno considerati alcuni particolari degni di nota: in primis la modalità di vendita che abbandona la strada dello shareware a favore della distribuzione diretta grazie a un accordo stretto col distributore GT Interactive. Non possiamo poi dimenticare un corroborato deathmatch, che permetteva a quattro giocatori di sfidarsi in un bagno di sangue. Tutto però sparisce come neve al sole di fronte al nuovo fucile a doppia canna, l'arma più amata da Romero e, a detta sua, uno dei più importanti contributi al genere dei FPS!

L'arma dei campioni! Ehi, ma da dove spunta quel tipo?!

Esagerazioni a parte, l'uscita di Doom II corrisponde a una vera e propria esplosione di contenuti amatoriali, diffusi dalla maturità della rete e dal proliferare di comunità composte da indiavolatissimi modder. Sono gli anni della diffusione dei cosiddetti WAD (Where's All the Data?, ovvero pacchetti contenenti tutti i file necessari per modificare l'aspetto del gioco) e Doom viene rivoltato come un calzino, mutando aspetto a seconda delle fantasie dei novelli sviluppatori.

Tra i WAD più famosi è importante ricordare Eternal Doom, un'opera corale composta da 32 enormi livelli e una tostissima colonna sonora nuova di zecca pubblicata nel 1996, un traguardo talmente professionale che molti dei membri del cosiddetto Team Eternal lavorano da anni nell'industria dei videogiochi.

O lo stesso Sigil, un regalo da parte di John Romero per festeggiare il venticinquesimo compleanno della sua creatura, composto da nove cattivissimi livelli a tema prettamente demoniaco che iniziano proprio dove finisce il gioco originale e seguito cinque anni dopo (ovvero una manciata di giorni fa) dal secondo capitolo, un Sigil 2 ancora più tosto e machiavellico, se possibile!

Il primo Sigil. Fate pratica, ché il nuovo capitolo è ancora più difficile!


Il boom dei WAD si era rivelata una salubre pubblicità gratuita per una id che voleva compiere il nuovo passo in avanti, ben conscia che i nuovi giochi come Duke Nukem 3D o Star Wars: Dark Forces stavano rendendo l'immortale Doom un pelo meno interessante sotto il profilo tecnologico. 

L'alba di Quake era dunque prossima, ma il vecchio campione si concesse un'ultima comparsa in The Ultimate Doom, una sorta di raccolta contenente tutto quello che era stato sfornato da id Software fino a quel momento, compreso un nuovo episodio chiamato Thy Flesh Consumed. Si tratta principalmente di un compromesso, creato per far contenta una GT Interactive decisamente poco propensa a dire addio alla sanguinaria gallina dalle uova d'oro. Del resto, una volta corrotti dal male è davvero arduo liberarsi dalla tentazione.