martedì 22 dicembre 2015

I fratelli Stamper: una breve storia della loro influenza in Ultimate e Rare.

Chris Stamper studiava elettronica a fisica all'università di Loughborough nel 1980 ma, dall'alto delle sue ventuno primavere, cominciò a dubitare riguardo ai suoi studi e al suo futuro quando venne investito dalla febbre per i microcomputer che da lì a poco avrebbe cambiato la sua esistenza e quelle di innumerevoli coetanei. Costruì da solo un RCA CDP1802 – una rimarchevole architettura, sebbene fosse in giro ormai dal 1976 – con cui scrisse un rudimentale programma con cui gestire un sistema di semafori, e da lì fu folgorato dalla possibilità di creare “qualcosa” con cui muovere quello che accade sullo schermo. Per la cronaca, all'epoca gli home computer venduti in scatola di montaggio erano una prassi, essendo ben lontani dal divenire gli oggetti di consumo odierni. Erano roba da radioamatori o appassionati di elettronica: già il celeberrimo ZX80 veniva venduto ad ottanta sterline a tutti i volenterosi che non avevano paura di prendere in mano un saldatore e seguire complicatissime istruzioni, con un risparmio di venti sterline sul prodotto finito e pronto all'uso. 


Chris non se lo fece sfuggire, passando due anni a sviscerare la macchina da cima a fondo, guadagnando una padronanza di hardware e codice tale da conferirgli l'arrogante sicurezza di poter creare videogiochi di gran lunga superiori a quelli pubblicati dalle case dell'epoca. E poiché questo amore per l'elettronica richiedeva tempo e dedizione, il nostro abbandonò gli studi, mettendo qualche soldo da parte lavorando nel campo dei coin op, convertendo le schede di Space Invaders in Galaxian: questo lavoro si sarebbe rivelato importantissimo per il futuro dei fratelli Stamper, poiché  permise a Chris di conoscere Joel Hochberg della Coin-It Inc, un uomo che sarebbe diventato il loro contatto a stelle e strisce.  Ma per entrare nel mercato del software la volontà di Chris non era sufficiente, quindi chiamò a raccolta il fratello minore Tim, la sua fidanzata Carole Ward e l'amico John Latchbury per formare la Ashby Computers & Graphics ltd. Il nome deriva ovviamente da Ashby-de-la-Zouch, cittadina del Leicestershire dove la brigata aveva sede, per la precisione nel locale a fianco dell'edicola dei genitori dei due fratelli. I primi tempi furono duri: le bollette arrivavano ovviamente inesorabili, ma Chris riusciva a non far crollare il bilancio vendendo kit di conversione per schede arcade. 

Jetpac rimane fresco e giocabilissimo anche oggi. Nel suo remake Jetpac Refuelled per Xbox Live Arcade compare anche Robbie the Robot, il protagonista di Pssst, come bonus!
Il successo arrivò fortunatamente abbastanza in fretta nel Maggio del 1983 con il celebre Jetpac, un titolo che piazzò la bellezza di trecentomila copie in quel mercato ancora tanto acerbo. Per essere un arcade a schermo singolo, Jetpac era una corsa al punteggio rapida, impegnativa e colorata, con quell'astronauta solitario intento ad assemblare i tre stadi del suo razzo e a fare il pieno, prima di decollare per il prossimo livello, svolazzando tra nemici e piattaforme. Il classico gameplay “da sala giochi”, una qualità che Chris aveva probabilmente assorbito dal suo precedente lavoro. Ma non si trattava solo di bella grafica; Jetpac era programmato divinamente, veloce e ricco di colore in un'epoca in cui i giochi per Spectrum erano spesso annegati in un'anonima monocromia.

La differenza la faceva la programmazione: quando tutti smanettavano col BASIC, Chris ci dava dentro con l'olio di gomito e scriveva i suoi giochi in linguaggio macchina Z80, un vantaggio non indifferente e, sopratutto, non alla portata di tutti
. L'offensiva era iniziata, e gli Stamper non avrebbero fatto prigionieri: nello stesso anno e nel giro di appena due mesi escono Pssst, Trans Am e Cookie per completare lo squadrone dei titoli per gli Spectrum 16k privi di espansione. Sono giochi molto semplici, ma confermano la prima impressione grazie alla combinazione di immediatezza e ottima realizzazione. Ashby Computers & Graphics ltd, insomma, diventava mese dopo mese un nome da tenere d'occhio, anche se nel frattempo i suoi membri avevano cambiato il loro nome in Ultimate Play the Game, adottando il classico logo verde e celeste. 

Lunar Jetman era un gioco più complesso, ma anche parecchio più difficile. Sebbene tecnicamente notevole, non è invecchiato granché bene.
L'anno successivo arriva il momento di sfruttare la forza bruta di quei 48k vantati dall'altra faccia della popolazione spectrumiana con due giochi che faranno storia. Lunar Jetman è il seguito di Jetpac e espande considerevolmente il semplicistico schema di gioco originale. Stavolta Jetman deve far saltare in aria delle basi aliene a suon di bombe, impresa ostica poiché gli ordigni vanno trasportati al punto designato prima di essere fatti esplodere. Jetman può portarseli in giro svolazzando con il suo zaino a razzo (che stavolta ha carburante limitato) ma in questo stato deve vedersela con stormi di alieni; in alternativa può caricarli sulla sua jeep lunare, invulnerabile ma lenta e incapace di superare le buche, che dovranno essere ricoperte creando ponti, azione che ritarderà ulteriormente la detonazione della struttura nemica. È un gioco più maturo, comeplesso e difficile, che abbina all'azione arcade attimi di pianificazione indispensabili per concludere i livelli nella maniera migliore. Gli storici del videogioco amano ricordarlo come protagonista di una delle prime e più famose leggende urbane della storia del divertimento elettronico

Il rimorchio della discordia, sulle pagine di Crash.


È tutta colpa di quel maledetto rimorchio: sulla copertina del gioco e nella schermata di caricamento, la jeep di Jetman viene ritratta mentre traina un rimorchio, una rappresentazione sufficiente a incuriosire i ragazzini dell'epoca riguardo l'esistenza o meno del mezzo. Le supposizioni si trasformarono in una selvaggia caccia quando una lettera indirizzata alla redazione di Crash mostrò una schermata del gioco con jeep e traino a seguito! Col senno di poi è assai probabile che quella foto fosse uno scherzo organizzato dagli Stamper in persona, poiché negli anni che seguirono il codice del gioco venne rivoltato come un calzino, negando nel modo più assoluto la presenza del veicolo. Scherzo o no, Jetman divenne qualcosa di grosso, anche grazie al 95% riportato sulle pagine di Crash, con un incredibile punteggio pieno alla voce “Value for Money”. 

Da qui iniziò un rapporto di reciproco rispetto tra la Ultimate e la rivista
, che arrivò a dedicare una serie di dissacranti fumetti a Jetman (nelle tavole il protagonista è un idiota pasticcione che il più delle volte causa guai alla terra) scritte e disegnate da John Richardson: gli Stamper apprezzavano la redazione di Roger Kean e soci, perché assegnava voti onesti ai loro giochi, senza l'obbligo di sganciare l'obolo in inserzioni pubblicitarie. L'altro gioco è Atic Atac, un titolo incredibilmente avanti rispetto ai suoi tempi. 


Il mago, il guerriero e il servo hanno accesso a diversi passaggi nascosti.

Un'avventura arcade con un labirinto rivoluzionario se confrontato con quelli visti in giochi simili, composto da più livelli e da passaggi segreti differenti a seconda dei tre protagonisti selezionabili. Bello da vedere, frenetico da giocare e tecnicamente inattaccabile: con simili doti, il fascino di Atic Atac non poteva che ispirare una generazione. Una “vittima” illustre è Tim Child, produttore televisivo che, ammaliato dalle atmosfere di Atic Atac, ideò Knightmare, una serie televisiva di culto di Inghilterra durata ben otto serie a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. In Knightmare, un gruppo di ragazzini doveva fare lavoro di squadra per attraversare un labirinto fantasy animato grazie alla magia del blue screen. Una meraviglia di concept e tecnologia negli anni in cui Dungeon & Dragons viveva il suo boom; ironicamente il tie-in ufficiale, pubblicato da Activision ben quattro anni dopo l'illustre ispiratore, non era nemmeno lontanamente all'altezza del capolavoro degli Stamper. 

Knightmare fa parte della formazione di ogni ex ragazzo inglese con qualche lustro di troppo sul groppone. Avete visto schermate simile a questa su K, tutte inneggianti al futuro dei videogiochi...

...tranne per la Activision. Oh, non confondetemi il gioco con l'omonimo sparatutto a scorrimento verticale di Konami per MSX, mi raccomando.
La fama di Ultimate cresceva di pari passo con l'aura di mistero che avvolgeva i suoi membri; apparentemente riservati, non concedevano interviste o articoli esclusivi. Molto semplicemente, questo era dovuto dall'overdose di lavoro che gravava sulle spalle di una squadra tanto piccola, così indaffarata da non poter perdere tempo con l'atteggiamento da superstar che contraddistingueva buona parte dei loro colleghi.

John Richardson alle matite, ed è subito magone per le riviste inglesi di allora.

Del resto la qualità dei loro titoli forniva una sicurezza tale da  permettersi di sfidare le regole del mercato. Sabre Wulf (1984) è il primo gioco per Spectrum a sfiorare le dieci sterline, un'assurdità considerando che fino ad allora il prezzo medio si assestava attorno alle cinque e cinquanta. Il salasso aveva motivazioni economiche e psicologiche, nientemeno: visto che i ragazzotti britannici (ok, non solo loro...) piratavano come se non ci fosse un domani, gli Stamper pensavano che offrire software di qualità ad un prezzo maggiore motivasse i giovani a tenere per sé il titolo per il quale avevano rotto il salvadanaio. Saggezza o semplice paraculaggine, ai posteri il giudizio: qualunque sia la verità, questa sicuramente sarebbe andata bene anche per le altre software house, che seguirono l'esempio di Ultimate senza ripensamenti.
Da allora il prezzo dei giochi per Specrum venne inesorabilmente incrementato, con la particolarità che Sabre Wulf quelle sterline extra le meritava eccome. In un'era in cui i giochi di labirinto erano al top della loro popolarità, Crash non ebbe esitazioni a definire l'ultima fatica degli Stamper come il migliore nel suo genere.

Quel "Wulf" ve lo ritroverete contro anche in Killer Instinct.
Tutti impazzirono per Sabreman, l'eroico esploratore perso in una coloratissima giungla lunga duecentocinquantasei schermate a scomparsa, evitando pericoli alla ricerca delle quattro parti di un amuleto che gli avrebbe permesso di lasciare il labirinto. La varietà è importantissima, con un massiccio bestiario che spazia da quisquilie come ragni e serpi per arrivare al Wulf del titolo, un lupo invulnerabile, da evitare come la peste.
La cosa più incredibile dietro al successo di Sabre Wulf è che le vendite del gioco vennero graziate da una strategia di marketing particolarmente oculata da parte degli Stamper. Prima della sua pubblicazione, infatti, Ultimate aveva finito un certo Knight Lore, un gioco che, se messo sul mercato assieme al collega, ne avrebbe limitato enormemente le vendite.

Sì, Knight Lore era effettivamente fuori scala.

Utilizzava il motore che il mondo avrebbe conosciuto come Filmation Engine per raccontare la nuova avventura di Sabreman in chiave isometrica. Ant Attack di Sandy White aveva immaginato soluzioni simili nel 1983, ma Knight Lore era semplicemente un altro mondo. Era geniale, con Sabreman occupato a esplorare le stanze del castello del mago Melkhior alla ricerca dei reagenti con cui curare la sua licantropia, gentilmente trasmessa dal Wulf incontrato nel gioco precedente.

Come lui, nessuno mai.
La cura deve essere creata entro quaranta giorni e quaranta notti, alternati da un apposito indicatore posto alla base dello schermo. Il loro avvicendarsi non è solo accessorio: durante la notte Sabreman cede alla licantropia e diventa più vulnerabile ai nemici. Alcuni avversari diventano addirittura più aggressivi contro il novello lupo mannaro, rendendo l'esplorazione del maniero più delicata, richiedendo una pianificazione per evitare di visitare le stanze più ostiche al momento sbagliato. La rigiocabilità è inoltre assicurata dalla mutevole posizione degli ingredienti, che cambia da partita a partita. Non solo una impressionante dimostrazione di abilità quindi, ma anche un sacco di buone idee: Knight Lore è tra i più iconici giochi per Spectrum di tutti i tempi, e ovviamente anche uno dei più imitati. L'esercito del cloni negli anni seguenti fu impressionante, ma nel marasma di tentativi più o meno riusciti è imperativo citare Batman e Head over Heels della premiata ditta Ritman & Drummond, l'apprezzatissimo La Abadìa del Crimen – basato su “Il nome della rosa” di Umberto Eco – e il poliziesco M.O.V.I.E. di Dusko Dimitrijevic, un gioco con una genesi tanto singolare all'ombra dei conflitti europei dei primi anni Ottanta da meritare un post che non realizzerò mai solo per lui.


Knight Lore - Mashiro no Okamiotoko (il castello malvagio del licantropo) è una versione del gioco per Famicom Disk System. Ha un layout della mappa differente, si svolge su più livelli e vanta nuovi oggetti.
Ultimate era ben conscia di avere sottomano la classica gallina dalle uova d'oro, e ci diede dentro sfornando una serie di giochi basati sul rivoluzionario motore, numerosi quanto impeccabili nella cura e nella realizzazione. Alien 8 (1984) era praticamente Knight Lore nello spazio mentre Nightshade, uscito l'anno successivo, migliorava la formula di base includendo lo scorrimento e una serie di edifici visitabili, al posto delle solite stanze costrette in schermate fisse, oltre alla possibilità di ruotare il punto di vista. Tutto questo grazie al Filmation 2, un'evoluzione del motore originale ad opera di Mark Betterige, enfant prodige della programmazione britannica con una carriera iniziata da adolescente presso Ultimate e culminata con la nomina a studio director nel 2007, quando gli Stamper lasciarono la Rare. Con lo pseudonimo Mark Crane scrisse Batty, leggendario clone di Arkanoid regalato in sordina da Your Sinclair prima di divenire oggetto di culto ed essere pubblicato nella linea economica di Elite.

Batty ha fatto la storia degli allegati alle riviste inglesi.

Il problema di Nightshade, tornando a bomba, era riscontrabile negli ambienti enormi e vuoti, un difetto corretto l'anno dopo con Gunfright, ambientato nel vecchio West tra saloon e cacciatori di taglie. Nei polverosi stivali dello sceriffo Quickdraw, il giocatore deve ripulire la città di Black Rock da una masnada di fuorilegge, alcuni curiosamente nominati come veri banditi di frontiera tipo Jesse James o Billy the Kid. Le pallottole con cui sfidare a duello i fuorilegge devono essere acquistate, mentre i combattimenti vengono gestiti con un sottogioco in prima persona in cui sforacchiare l'avversario grazie ad un mirino. Anche la lentezza, atavico problema del motore sin dai tempi di Knight Lore, era stata superata, concedendo allo sceriffo l'uso di un cavallo per spostarsi rapidamente, un'idea che avrebbe reso le peregrinazioni di Nightshade decisamente meno indigeste, ma oramai il mercato era saturo di derivati del Filmation e Chris e compagni decisero di cedere Ultimate alla US Gold per creare il nuovo marchio Rare.


Gunfright era molto bello, ma l'era del Filmation Engine era ormai giunta al termine.
Non prima di dare vita a uno dei più grandi miti del software ad otto bit, ovvero Mire Mare, il loro ultimo gioco, mai rilasciato e perso nelle nebbie del tempo. Lo volevano tutti, anche perché era stato abbondantemente anticipato: alla fine di Underwurde (seguito bidimensionale di Sabre Wulf uscito nel 1984, prevedibilmente schiacciato dal successo di Knight Lore) Sabreman può fuggire da un castello attraversando tre porte, ognuna anticipante una delle sue prossime avventure. Di Knight Lore ne abbiamo parlato, mentre Pentagram uscì nel 1986 sfruttando fino al limite l'originale Filmation Engine, conferendo a Sabreman – ora nelle vesti di mago - l'abilità di sparare incantesimi con cui eliminare i suoi nemici.

Non tutti i giochi Ultimate escono col buco: Underwurlde unisce comandi macchinosi a un numero di nemici soverchiante, risultando in un esercizio di frustrazione piuttosto indigesto.
Il terzo gioco, Mire Mare, non vide mai la luce e nel corso degli anni si sono alternate leggende metropolitane sulla sua presunta esistenza, come l'intervista con un sedicente ex impiegato della Ultimate. Costui dichiarava che il gioco era pronto ancora prima di Gunfright, ma la sua uscita venne impedita Chris Stamper in persona, stizzito dalla politica di US Gold che, desiderosa di soldi facili, era interessata a ripubblicare a prezzo economico il catalogo Ultimate tramite la sua sottoetichetta Kixx. Mire Mare sarebbe stato il canto del cigno degli Stamper, l'addio al mondo degli otto bit prima di andare avanti: secondo l'uomo del mistero, dunque, Chris non voleva che il gioco venisse liquidato in una linea economica, e mentì ai capoccia di US Gold sul suo stato di completamento.

Jarrod bentley firma questo mockup di Mire Mare in occasione di uno speciale su Retro Gamer. Secondo ricerche e interviste a ex membri di Ultimate Play the Game, sarebbe dovuto essere assai simile a Sabrewulf, ma con scrolling al posto delle schermate a scomparsa.

Siamo nel regno delle congetture, ovviamente: personalmente trovo improbabile che gli Stamper avessero deciso di buttare via mesi di lavoro su un attesissimo capolavoro annunciato per pura ideologia, specie considerando i guadagni assicurati che il gioco avrebbe indubbiamente portato nelle loro tasche.
Chiaramente nell'era digitale si è scatenata una vera caccia all'uomo, sia per scoprire il nome del collaboratore misterioso che per racimolare indizi sulla presunta esistenza di una qualsiasi versione finale di Mire Mare. Tagliando corto, una foto dello staff Ultimate pubblicata sul numero di Marzo 1988 della versione inglese di TGM e il successivo confronto con alcuni “veri” collaboratori degli Stamper, marchiò la storia come falsa, non senza un importante anedotto. Nel 2004 la Rare pubblicò un titolo chiamato Sabre Wulf per Gameboy Advance. Un platform adorabile che avremo giocato in tre, colmo di riferimenti alla tradizione Ultimate anni Ottanta, ma non è questo il punto. Trevor Attwood era il programmatore principale del gioco e ci rivela che, in un primo momento, il gioco doveva chiamarsi proprio Mire Mare! Fu una sua idea: con un passato da  Spectrumiano convinto, voleva cogliere al balzo l'opportunità di vedere quel mitico nome finalmente sugli scaffali, riscuotendo anche il consenso di Tim e Chris.
Purtroppo il reparto marketing bocciò la proposta, poiché da una parte Mire Mare sarebbe stato un nome indigesto per i non anglofoni, dall'altra la squadra voleva rendere Sabreman un personaggio riconoscibile al pari di Sonic o Mario, e il nome del gioco doveva in qualche modo richiamare quello del protagonista. Non finì bene, e i giovani ricorderanno probabilmente il povero Sabreman per un cameo in Banjo Tooie per Nintendo 64, senza contare la cancellazione di Sabreman Stampede per Xbox.

Non vedremo mai Sabreman Stampede, peccato.

E il Commodore 64? Chris e Tim amavano lo Spectrum, relegando a altri lo sviluppo di titoli esclusivi per altre piattaforma. Dave e Bob Thomas scrissero quindi la quadrilogia di avventure arcade dedicate all'avventuriero Sir Arthur Pendragon: The Staff of Karnath (1984), Entombed (1985), Blackwyche (1985) e Dragon Skulle (1985). Si tratta di giochi in pseudo isometria caratterizzati da una grafica colorata ma pixellosa, penalizzate da uno scorrimento fluido ma lento, che inizia a fare il suo dovere quando Arthur è pericolosamente prossimo al bordo dello schermo, con il rischio di incappare in nemici vaganti. Hanno avuto un successo modesto, e rappresentano un tassello dell'avventura di Ultimate Play the Game che la storia e i giocatori amano mettere in secondo piano.
 
"The latest in the long chain of Arthur Pendragon adventures is yet another disappointment" asseriva Rignall nella recensione su Zzap!64, con un duro 49% come globale.

Creato il marchio Rare e affidato quel che resta della gloriosa Ultimate alla US Gold, Chris e Tim cominciarono a volgere lo sguardo alle macchine da gioco che spopolavano al di là dell'oceano. In realtà non si trattava di una decisione dell'ultimo momento: i due avevano iniziato a smanettare con il NES già nel 1983, ponendo le basi per il loro futuro con grande lungimiranza. Grazie al background di Chris, storicamente legato alle macchine a gettone, la Rare divenne la prima partner occidentale di Nintendo, facendo subito parlare di sé con il velocissimo Slalom. Arcade corsistico con gli sci ai piedi, Slalom è concettualmente semplice ma fluido e veloce: una sorta di Buggy Boy tra le nevi che riuscì ad impressionare favorevolmente Nintendo e convincerla ad annoverare la ditta di Chris e Tim nell'elitario circuito dei suoi sviluppatori. Furono anni straordinariamente impegnativi: per chi era ancora legato ai computer ad otto bit poteva sembrare che i maghi della Ultimate fossero scomparsi nel nulla dal giorno alla notte, ma in realtà erano dediti a sfornare a ruota decine di titoli da far pubblicare a aziende americane e continuare ad impressionare la dirigenza di Nintendo, con circa diciassette titoli nel solo 1989 in confronto ai sei giochi l'anno che erano solito sviluppare quando erano rivolti al solo mercato a otto bit

Slalom, assieme ad altri ventinove giochi, ve lo potete giocare nella Rare Replay, bellissima compilation per XBox One.
Ovviamente in un simile mare di software era comprensibile la presenza di qualche titolo spiccatamente commerciale da dare in pasto all'affamatissimo mercato americano negli anni in cui Nintendo era sinonimo di videogioco, un po' come lo era stato Atari prima del grande crash del 1983. Ben vengano quindi tie-in cinematografici e televisivi come The Wheel of Fortune o Who Framed Roger Rabbit (entrambi del 1989), se tutta la gavetta doveva servire a aprire le porte ad un futuro radioso. Che poi non è il caso di generalizzare: nel marasma di giochi prodotti a raffica c'erano anche titoloni iconici che consolidarono Rare come uno degli sviluppatori più importanti, validi e influenti per l'ascesa del colosso giapponese in occidente, come testimonia la stampa in tessuto che tuttora fa bella mostra di sé nel quartiere generale della software house inglese, nonostante l'abbandono della ditta da parte dei fondatori Chris e Tim. 

È bellissima, raffigurante un'onda simile alla celebre Kanagawa oki nami ura di Hokusai, con un volo di gru e il monte Fuji sullo sfondo. In basso, il terreno diventa pixelloso in un arcobaleno di colori  che si amalgama a celebri elementi dell'iconografia videoludica, come gli alieni di Space Invaders. Si tratta di un dono da parte del leggendario Hiroshi Yamauchi in persona, di cui, purtroppo, al momento non riesco a trovarvi una foto da pubblicare in questo post. 

Tornando ai videogiochi, tra i titoli NES più influenti creati da Rare va citato RC Pro-Am (1998), gioco di guida isometrico al comando di automobili radiocomandate tra salti, nitro e salutari missili con cui impallinare gli antagonisti. Fu il primo vero hit Rare sulla macchina Nintendo, nonché uno dei primi esempi di giochi di corsa competitivi che univano guida a combattimenti. L'anno dopo è il turno di Cobra Triangle, un po' il successore spirituale in chiave fluviale che espandeva considerevolmente la varietà delle missioni, unendo alla classiche competizioni contro natanti avversari sortite di salvataggio e combattimenti contro giganteschi serpenti marini. Anche Jetman fece capolino nel siliceo universo delle cartucce NES con Solar Jetman: Hunt for The Golden Warpship (1990), con un character design che ossequiosamente pescava a piene mani dai fumetti apparsi  anni prima sulle pagine di Crash Magazine. In realtà il gioco è incentrato sulla guida di una scassatissima navetta da recupero in un impegnativo clone di Thrust, dove Jetman passa al comando del giocatore solo quando il velivolo viene fatto a pezzi, quel tanto che basta per tornare alla base e mettersi ai comandi di un nuovo mezzo. 

The Pit, la base per Digger T. Rock.
Un gioco caratterizzato da una genesi interessante è Digger T. Rock (1990), una specie di Boulder Dash sotto steroidi con un piccolo minatore intento a cercare l'ingresso per la fantomatica città perduta. L'intento di Tim era quello di creare una versione aggiornata di The Pit, un videogioco da bar del 1982 creato in Inghilterra da Andy Walker e distribuito in seguito da Centuri e Taito, rispettivamente in America e Giappone. Andy lavorò a contatto con gli Stamper, focalizzandosi sui punti di forza di The Pit  al fine di reimmaginare l'esperienza per una nuova generazione di giocatori. In quest'ottica Digger ha a disposizione uno stretto limite di tempo per raccogliere i diamanti una volta spalancata la porta per il livello successivo, così come in The Pit lo Zonker (un gigantesco carro armato) demoliva la montagna un po' alla volta, facendosi strada verso il disco volante del giocatore e fungendo da timer. 

Digger T. Rock lo ricordo con affetto sulle pagine di Mean Machines, ma molti lo avranno conosciuto solo in seguito alla sua inclusione in Rare Replay. Meglio tardi che mai.
Il bonus game di Digger T. Rock è un'altra citazione, con il piccolo archeologo intento a raccogliere tesori in una stanza pericolante con il rischio di venire schiacciato da un momento all'altro: è un riferimento alla grotta con i diamanti e il soffitto cadente nella parte bassa del livello di The Pit. Tutto bellissimo, tranne quando Andy scoprì che c'erano bisogno di due versioni del gioco, PAL e NTSC, ma questa è un'altra storia.


Batracomiomachia a go-go in Battletoads.
Ma probabilmente il titolo più famoso dell'era NES è Battletoads (1991), impegnativo picchiaduro a scorrimento nato sull'onda del successo delle Teenage Mutant Ninja Turtles. Battletoads divenne un grande successo, generando un seguito su Super Nintendo (Battletoads in Battlemaniacs, 1993), un coin-op pubblicato nel 1994 assieme a Electronic Arts e, addirittura, un crossover con i personaggi di Double Dragon (1993). Per essere un gioco nato su piattaforma Nintendo, Battletoads e buona parte dei suoi seguiti videro la luce su un sacco di altri sistemi, compresi i rivali Megadrive, Game Gear e Master System di SEGA, nonché su Amiga grazie a Mindscape. Addirittura, una versione per l'otto bit SEGA di Battlemaniacs venne pubblicato “a tradimento” da Tec Toy in Brazile, paese dove il Master System era diffusissimo. 

I brasiliani, apro e chiudo parentesi, per motivi politici erano costretti a vivere in una sorta di riserva naturale di tecnologia obsoleta, dalle auto ai sistemi informatici. Con la caduta del regime, SEGA si fece avanti importando il Master System nel 1989, evento epocale per i ragazzini locali, abituati a giocare con l'Atari 2600. Il tutto quattro anni prima che Nintendo considerasse di commercializzare i suoi prodotti da quelle parti. Questa versione di Battlemaniacs, dicevamo, venne recensito dalla stampa anglosassone ma mai pubblicato in Europa, solo per arrivare in Brasile con qualche magagna tecnica, ma sostanzialmente giocabile dall'inizio alla fine. 

I Battletoads rimangono un'icona del passato Rare richiestissima: i tre rosponi sono apparsi come boss extra in Shovel Knight su Xbox One, mentre Rash tornerà alla grande nella terza stagone di Killer Instinct!
Rare fece però il salto di qualità su Super Nintendo, quando la battaglia contro l'appeal “maturo” del Megadrive (considerate ad esempio il sangue nel primo Mortal Kombat o le simulazioni sportive di Electronic Arts) cominciava ad avere un esito incerto. Chris Stamper e soci si stavano scervellando alla ricerca di un modo per trasferire la grafica delle piattaforme Silicon Graphics su Super Nintendo, quando ricevettero una visita da parte di Genyo Takeda, mandato a controllare la situazione al di là dell'oceano dallo stesso Yamauchi. Gli Stamper lo fecero giocare ad una sperimentale simulazione di pugilato, e Takeda-San, colpito, chiese se la cosa poteva essere replicata su Super Nintendo.

Non si impressiona tutti i giorni il capo della divisione R&D di Nintendo, quindi Chris mise sotto torchio due ingegneri per replicare sul sedici bit, in meno di due giorni, la grafica sfoggiata da quella demo, e questo bastò a garantire carta bianca per realizzare una killer application in grado di far vincere a Nintendo la guerra contro SEGA. Bisognava trovare un'icona, però: Mario era intoccabile, ma Donkey Kong era caduto nel dimenticatoio da anni, complice, forse, il letale insuccesso dello spin-off Donkey Kong Jr. Math. Da qui nacque Donkey Kong Country (1994), cementando nei secoli la fama di Rare come sviluppatore extrairdinaire per Nintendo: quando le inevitabili interviste iniziarono a venire pubblicate in seguito allo stupore riscosso da quel gioco graficamente tanto incredibile, tutti quelli che avevano perso le notti giocando a Knight Lore su Spectrum capirono che fine avessero fatto i vecchi amici della Ultimate, e fu un po' come tornare a casa. 


Notevole, vero? Ai vertici SEGA prese una sincope durante la sua presentazione, tanto da dover ideare a tutti i costi un titolo con una grafica simile. Ne uscì quella zozzeria di X-Perts, spin-off di Eternal Champions con Shadow Yamoto come protagonista.
Fu un successo in grado non solo di tenere a bada SEGA, ma anche di mantenere alto l'interesse verso il Super NES durante un periodo di transizione, quando il Jaguar di Atari e il 3DO di Panasonic cominciavano a minacciare il mercato a sedici bit. A che pro spendere soldi per un nuovo sistema, quando la “vecchia” generazione era ancora in grado di tirare fuori uno spettacolo simile? Da allora il look dello scimmione, con la sua iconica cravatta rossa, sarebbe diventato lo standard per tutte le future apparizioni. Merito di Tim Stamper, talentuoso disegnatore nonché responsabile dell'aspetto delle Battletoads. Seguirono ben due seguiti a sedici bit (Diddy's Kong Quest nel 1995 e Dixie kong's Double Trouble l'anno seguente) con rispettive conversioni postume su Game Boy Advance, oltre ad una versione del primo episodio su Game Boy, tecnicamente al limite del miracoloso. Miyamoto lavorò a contatto con gli Stamper per assicurare che l'avventura dello scimmione vantasse una giocabilità e un feel il più possibile “da Nintendo”, arrivando a imbastire una corrispondenza quotidiana con Tim Stamper. Il risultato è tuttora motivo di dibattito: Donkey Kong Country faceva sì cadere la mascella, ma  la giocabilità non era al livello dei migliori platform Nintendo. 
Nel vecchio continente se ne accorse per prima la bellissima Super Play, rivista inglese dedicata al sedici bit Nintendo famosa per esprimere giudizi diretti senza troppi peli sulla lingua, che mostrò subito la delusione nei confronti del titolo più atteso del 1994, il tutto mentre le testate nostrane lo esaltavano come il miglior gioco di piattaforme di sempre. Rare sarebbe diventata sempre più grande, facendo la fortuna di Nintendo con successi come Goldeneye e Killer Instinct, solo per venire acquistata da Microsoft nel Settembre del 2002. Cinque anni dopo Chris e Tim hanno lasciato la compagnia, alla ricerca di nuove opportunità.