lunedì 29 settembre 2014

Once weren't rincoglioniti. A.K.A. le origini del Mac gaming.

A volte capitano brutte cose, tipo perdere un Sabato mattina accompagnando un (oramai ex) amico alla ricerca del nuovo iPhone. Sono spettacoli orrendi nonché degradanti, ma per lo meno mi permettono di passare a prenotare Forza Horizon 2 e di scrivere qualche riga sull'origine del videogioco su Mac.

Steve Jobs ha avuto fama di essere un uomo complicato da trattare. E se lo dice una leggenda come Nolan Bushnell, c'è da crederci. 
In una intervista al fondatore di Atari, Jobs viene ricordato come una testa calda con poca propensione per il gioco di squadra. Bushnell, in quel periodo, stava concettualizzando Breakout, maturando l'intuizione che una versione single player di Pong sarebbe stata infallibile, e nominò project manager il vulcanico Al Alcorn che, a sua volta, affidò a Jobs il compito di realizzarne un prototipo.  
Questa sarebbe stata l'unica alternativa al licenziamento, ricorda Nolan
Dopo aver incoscientemente annunciato di poter realizzare il prototipo in soli quattro giorni, trovò il deus ex machina per uscire da una simile situazione nel Grande mago di Woz.

Steve Wozniak, genio dell'informatica assolutamente unico nel suo genere nonché amico di Jobs, lavorava allora per la Hewlett-Packard. Portò a termine il lavoro senza dormire per quattro notti di seguito e senza aver idea di come funzionasse questo fantomatico Breakout, plasmando la primordiale argilla del videoludo solo attenendosi alla descrizione di Jobs
Sebbene il suo prototipo venne successivamente accantonato, poiché considerato inadatto per la produzione di massa dagli ingegneri della Atari, tutto ciò che venne creato, ponderato ed ottimizzato durante la creazione di Breakout venne riutilizzato come base per l'Apple II. 

Avrò scritto centinaia di migliaia di caratteri grazie all'influenza di questo computer sulle pagine di The Games Machine, parlando di una marea di game designer (basti ricordare Jordan Mechner che sviluppa Karateka e Prince of Persia originariamente per tale piattaforma) che hanno trovato il veicolo ideale per la loro immaginazione nell'accessibilità di Apple II, quindi stringo: il suo contributo all'informatica di consumo è assolutamente fondamentale, assieme al Tandy TRS-80 e al Commodore PET 2001, tutti e tre usciti nel 1977 e considerati la sacra “trinità”, i “Big Three” dell'alba degli 8 bit. Basti ricordare che l'apporto di Jobs fu radicale nel marketing della nuova macchina: egli desiderava renderla un oggetto cool, qualcosa che chiunque avrebbe voluto possedere, non solamente i nerd che popolavano gli Homebrew Computer Club

Le scatole portasigari dove le circuiterie dei computer amatoriali venivano frettolosamente contenuti dovevano diventare un brutto, rozzo ricordo, e si ispirò ai case dalle linee snelle e graffianti (per lo meno per l'epoca...) tipiche dei calcolatori della Hewlett-Packard. I computer dovevano trovarsi al loro posto assieme all'arredamento di casa, e per questo anche le semplici viti dovevano scomparire dall'estetica della nuova macchina

Possiamo quindi concludere che uno dei cavalli di battaglia della moderna Apple, ossia l'esasperata ricerca per il look dei propri prodotti, può essere ricondotta alla genesi di Apple II, computer, a sua volta, nato grazie al lavoro dietro Breakout, uno dei più classici tra i videogiochi
Tale estetismo venne portato all'ennesima potenza nello storico spot che annunciava, durante il Superbowl del 1984, la nascita del Macintosh. Una pubblicità visibile come easter egg nel cinema del primo livello della versione Mac di Duke Nukem 3d

David Graham è voce e volto del Grande Fratello nello storico spot.

Diretto da un Ridley Scott fresco dal successo di Blade Runner, il breve filmato vede una società distopica dipinta con tinte cupe, dove persone prive di volontà e personalità ascoltano rassegnate il discorso di un supervisore che inneggia alla conformità dei singoli elementi. Un chiaro riferimento alla novella di George Orwell “1984” ma, mentre il Grande Fratello proclama il suo discorso, un'eroina senza nome dai colori sgargianti e con una maglietta raffigurante una versione astratta e cubista del Mac entra in scena, lanciando un martello contro il monitor dal quale il dittatore pronuncia il suo monologo, distruggendolo. 
Segue la celebre frase finale che pubblicizza la data di uscita del Macintosh, annunciando che il 1984 non sarebbe stato come “1984″

Al di là del valore artistico, la réclame rappresentava una dichiarazione di guerra nei confronti dell'allora onnipresente IBM, e c'è da dire che il nuovo computer della Mela si presentava davvero bene, quasi bello come Anya Major, la bionda protagonista dello spot.  

Tutto merito di quell'incredibile GUI, corredata da quel sexy quanto inusuale marchingegno chiamato mouse

L'ispirazione venne dallo Xerox Alto, il primo computer a vantare quello che oggigiorno chiamiamo desktop, assieme a un'interfaccia grafica e al sopracitato mouse: una combinazione indigesta ai conservatori capoccia della Xerox PARC nel 1973, tanto che la macchina non venne mai commercializzata ma prodotta in poche migliaia di esemplari, destinati agli uffici interni della società di Palo Alto e ad alcune università

"Cosa diavolo è questa stregoneria?!" n.d. dirigenti Xerox.

Quello che però avevano trascurato era una caratteristica ai tempi apparentemente superflua, ma destinata a diventare la punta di diamante della strategia di mercato di Jobs: l'usabilità. Questa rivoluzionaria interfaccia però non doveva far apparire la nuova macchina come un costoso balocco, bensì come il mezzo con cui ottenere il massimo dal proprio Mac in ambito lavorativo: a tal proposito la tastiera era priva di tasti funzione e frecce, una scelta voluta per evitare inutili conversioni di programmi già esistenti su altre macchine, e valorizzare il nuovo ambiente di lavoro

Questo desiderio di serietà a tutti i costi fu uno dei motivi per cui inizialmente la Apple non desiderava associare giochi al Mac, eppure il suo primo videogioco risiedeva già nel computer. Tra i vari informatici che lavorarono sul Mac, Andy Hertzfeld era realmente fuori parametro. Lo è tuttora, eh: mago del codice, ha contribuito all'interfaccia dei contatti di Google +, le famose cerchie. 

Sconosciuto ai più, il seme del videoludo covava già dentro la mela.
Inizialmente realizzò in Pascal una versione del gioco del 15 come desk accessory, piccoli programmi che funzionavano assieme all'applicativo principale, condividendone la memoria in una sorta di primitivo multitasking. 

Il gioco però rischiò di non far parte del sistema operativo per via del peso eccessivo di "ben" 6 kilobyte, ma Andy lo riscrisse a tempo di record (si narra in sole due ore di un noioso Sabato mattina) in Assembly, rendendolo ben più snello nei suoi 600 byte! 

Il primo gioco commerciale fu comunque Through The Looking Glass (1984), una variante in chiave arcade del gioco degli scacchi, idea già sfruttata con le ovvie differenze un anno prima da Paul Reiche III in Archon. In realtà, TTLG ha in comune con gli scacchi solo una convincente scacchiera prospettica e i familiari pezzi, mentre pedoni, torri e regine fanno di tutto per “mangiare” Alice, comandata dal giocatore, saltando avanti ed indietro con un incredibile effetto di scaling. 

"E Lilì Marlene, bella più che mai, sorride e non ti dice la sua età, ma tutto questo Alice non lo sa"
Il tutto squisitamente disegnato con un tratto à la John Tenniel che, unito al font gotico del punteggio nella parte alta dello schermo, donava alla partita un look "da libro illustrato".  

Steve Capps era una delle colonne portanti nello sviluppo dell'Apple LISA, e realizzò su questa piattaforma una versione preliminare del gioco che venne provata ed apprezzata da Steve Jobs, convincendolo a desiderare a tutti i costi il giovane programmatore nel team Macintosh. Il gioco venne quindi convertito sul Mac, beneficiando del più rapido processore e pubblicizzato praticamente dall'inizio della vita della macchina, sin dalla primissima brochure informativa.
Capps riteneva che la via migliore per commercializzare il gioco fosse attraverso la Electronic Arts di Trip Hawkins, guarda caso ex responsabile marketing del LISA, ma Jobs insistette affinché il progetto rimanesse interno alla Apple in tutto e per tutto, promettendo in cambio una presentazione principesca, e così fu.

Regalatemelo. Serio.

Magnifica nella sua peculiare forma “a libro” per strizzare l'occhio all'omonimo racconto di Lewis Carrol che fa da sfondo al gioco, la bellissima confezione di TTLG riflette appieno la cura per l'estetica tipica dell'azienda ma, fortunatamente, dietro a tanta apparenza c'era altrettanta sostanza. Non solo Capps continuò a perrfezionare il gioco fino alla pubblicazione, includendo le migliori richieste dello staff (Woz, ad esempio, consigliò di ridurre le dimensioni del puntatore mano a mano che si allontanava dalla base dello schermo, per simulare un effetto di profondità) ma, poiché c'era ancora spazio sul dischetto, creò Amazing, un accattivante gioco a base di labirinti generati casualmente a seconda del parametro di difficoltà inizialmente scelto da giocatore

Gratis?! It's Amazing!

Fu un fiasco nelle vendite purtroppo, principalmente perché non ricevette un marketing adeguato, ma oramai il vaso di Pandora era stato scoperchiato: da lì in poi il Mac non avrebbe potuto far nulla per nascondere la sua riservata facciata ludica e sarebbero cominciate ad apparire conversioni di vari successi dell'epoca come ad esempio Sim City, anche grazie all'uscita, alla fine dello stesso anno, del Macintosh 512, versione con 512kb di ram al posto dei 128 del modello base. 

Ma focalizziamoci sui titoli esclusivi: Dark Castle (1986) è il primo gioco ad usare i tasti WASD in simbiosi con il mouse, un traguardo non da poco. Si tratta di un titolo iconico per la storia del Mac gaming, con due seguiti all'attivo e una duratura fanbase. Convertito su un'infinità di piattaforme dal Megadrive al CD-i, le versioni postume non riuscirono a raggiungere l'impatto dell'originale, tra controlli atroci e grafica inadeguata, orfana delle evocative e nitide schermate in alta risoluzione del titolo originale. 



Nei panni del Principe Duncan, il giocatore deve entrare nel Castello Oscuro del titolo e sconfiggere il Cavaliere Nero. Duncan può difendersi solo lanciando rocce - orientando la mira con il mouse - attraversando piattaforme, risolvendo enigmi e lapidando i nemici alla ricerca di uno scudo incantato e della magia del fuoco con cui avere una possibilità contro la sua nemesi. Le stanze del maniero possono essere affrontate in qualsiasi ordine dalla schermata iniziale, e i tre livelli di difficoltà nascondono nemici più numerosi e trabocchetti extra. Fu anche uno dei primi titoli a contenere una easter egg, giusto qualche anno dopo Adventure di Warren Robinett su Atari 2600: se giocato il 25 Dicembre, il minaccioso salone del castello (che funge da selezione dei livelli) appare agghindato da decorazioni natalizie! 

Gli esordi del Mac gaming: presentazione pulita e chiarissima.

Notevole l'impatto di Deja Vu e, in generale, della serie Macventure nel 1986: in un mondo dove giocare un'avventura voleva dire prendere a testare un cocciuto parser, MacVenture offriva il primo assaggio di interfaccia punta e clicca, destinata a divenire fonte di ispirazione per lo SCUMM di Lucasfilm Games

Horrorsoft ha un grosso debito nei confronti dei Macventure...
Era come scoprire un nuovo mondo: le dettagliate finestre fornivano tutti i dati necessari, dalla visuale della locazione in prima persona all'inventario, senza lasciare nulla all'immaginazione. Davvero incredibile pensare che, a eccezione dei dialoghi, non era necessario inserire nemmeno una riga: seriamente, all'epoca ci ero rimasto secco per lo stupore! Quattro furono i giochi di questa serie: Deja Vu e seguito (Deja Vu II: Lost in Las Vegas - 1988) sono storie di detective hard boiled, Uninvited (1986) è un horror mentre Shadowgate (1987) un'avventura fantasy. 

...no, sul serio.
La semplicità dell'interfaccia rese possibile sdoganare il genere avventura anche su macchine che non disponevano dei mezzi (leggi tastiera) per permettersi degni esponenti del genere: Shadowgate, ad esempio, venne convertito con successo per NES, e due seguiti vennero prodotti per Turbografx16 e Nintendo 64; addirittura il Game Boy Color si aggiudicò una compilation con i due Deja Vu in una sola cartuccia

Investigazioni dall'altra parte dell'oceano su PC-98...


...e in tasca, su GBA.
Al Mac spetta anche il primato di ospitare The Manhole (1988), il primo gioco su CD ROM. Scritto nel linguaggio HyperTalk sviluppato dai fratelli Miller, gli stessi che avrebbero in seguito creato Myst sotto la loro etichetta Cyan Worlds, il gioco si presenta come un'avventura per i più piccoli: nella prima schermata un tombino può essere aperto per liberare una gigantesca pianta di fagioli che può essere scalata per esplorare mondi fantastici. 

Cosa vuoi che ci sia sotto un tombino?
Schermata dopo schermata i giovani esploratori possono cliccare su decine di hotspot, rivelando nuove locazioni, dialogare con bizzarri personaggi e attivare animazioni ed effetti sonori senza un fine preciso: l'importante è scoprire passo passo le sorprese nascoste nel mondo di gioco e divertirsi

Il seguito spirituale, Cosmic Osmo and the Worlds beyond the Mackerel (1989), alza l'asticella, offendo un universo di gioco ancora più grande. Osmo è un alieno panciuto e bonaccione e i videogiocatori vivranno avventure a bordo della sua astronave, girovagando per sette pianeti, tre in più rispetto alla versione su dischetto. Volete imbrattare la tela nel suo soggiorno con gli strumenti di MacPaint? Scrivere un libro da fargli leggere? Mettervi alla guida della sua astronave o, più semplicemente, lavare i piatti facendo scoppiare le bolle di sapone solo per scoprire il passaggio per una nuova locazione nello scarico? Il quantitativo di cose da fare è enorme, e la britannica Ace non tardò a ritenerlo una pietra miliare nella storia dei videogiochi, definendolo come la prima killer application per Macintosh

Incontri ravvicinati del tipo ittico: non è Darius ma l'astronave di Osmo è equipaggiata con letali lancia cotton fioc!

Il Mac quindi, a dispetto della sua apparenza, ha sempre avuto il cuore di una vera Games Machine: nonostante il primo modello offrisse un nitidissimo monitor monocromatico alla risoluzione di 512x342, già nel Marzo del 1986 il Macintosh II si presentava con 256 colori su schermo alla risoluzione di 640x480 su un superbo schermo da 13 pollici. 

Insomma, prima che la Apple diventasse il ponte radical-chic verso l'informatica per una masnada di rincoglioniti, incapaci di sostituire una scheda video ma ben disposti  a cacciare novecento euro per un telefonino, il Macintosh era davvero un ghiottissimo oggetto del desiderio.

E ovviamente i giochi continuavano ad arrivare: Balance of Power (1985) di Chris Crawford é un simulatore geopolitico ambientato nella guerra fredda dove il giocatore, nei panni del presidente degli Stati Uniti o del segretario del Partito Socialista, deve attraversare otto anni, amministrando crisi e problemi su scala mondiale evitando di pestare i piedi alla superpotenza avversaria.


Una copertina simile non sopravviverebbe alla fase di brainstorming al giorno d'oggi.

O ancora il giocabilissimo Shufflepuck Café (Brøderbund - 1989), un simulatore in chiave sci-fi/fantasy dell'air-hockey: praticamente pong in prima persona contro improbabili avversari, spassosissimo grazie all'utilizzo del mouse. 

Molto bella anche la conversione per Amiga e ST.

Altro interessante esperimento è The Fool's Errand (1987) di Cliff Johnson, un metapuzzle contenente decine di enigmi, dalle parole crociate agli indovinelli passando per crittogrammi, labirinti, immagini scorrevoli e anagrammi. La loro risoluzione permetterà di leggere nuovi capitoli nella storia narrata, che vede uno sciocco intento a cercare fortuna nella terra dei tarocchi in barba ai sortilegi della Sacerdotessa, cercando la soluzione della Mappa del Sole, a sua volta un ulteriore enigma. 

Risolvere tutti quegli enigmi per completare la mappa del sole sarà un'impresa, in The Fool's Errand

L'autore ha reso il gioco di pubblico dominio, ma consiglia caldamente di giocare la versione originale per Mac mediante emulatore per via della maggior risoluzione. Un gran titolo, accolto con entusiasmo sull'ultimo numero del TGM inglese, sfortunatamente mai trattato nella versione italiana.

Marathon è una serie di FPS fantascientifici sviluppata da quei Bungie che, anni dopo, avrebbero trovato la fama grazie ad Halo. I ragazzi avevano dimostrato classe da vendere con Pathways into Darkness (1993), un rivoluzionario mix tra sparatutto in prima persona e avventura dinamica, curiosamente ambientato nello stesso universo. 


Ecco un altro capolavoro che invidiavo, a 'sti fan della mela!

Tecnicamente superba, la trilogia di Marathon pone grande enfasi sulla narrativa, disseminando terminali nelle aree di gioco con cui il giocatore può scoprire importanti informazioni sulla trama e sull'ambientazione. Questa caratteristica è enfatizzata nel terzo capitolo, Infinity, che presenta una narrazione non lineare. Il giocatore viaggia attraverso differenti linee temporali con lo scopo di impedire la liberazione dell'impronunciabile entità W'rkncacnter, riscrivendo la storia prima che l'universo venga obliterato. 

Davvero avantissimo rispetto ai tempi.

Ma, trama a parte, i giochi sono davvero eccellenti, con un engine all'avanguardia, riscritto nel secondo capitolo per incorporare i combattimenti subacquei e modificato per il terzo, vantando inoltre uno stiloso HUD con tanto di scanner di movimento, che fa tanto Aliens Scontro Finale. Coadiuvato dagli editor Forge e Anvil, rispettivamente adibiti a mappe e grafica, il gioco continua a offrire un divertimento duraturo per la sua prolifica comunità di fan. 

La trilogia è oggi gratuitamente scaricabile per Windows, Unix e Mac OS X, permettendo a tutti di (ri)scoprire un importante tassello nella storia del Macintosh.