domenica 7 giugno 2015

Summer Weather, Summer Games. Uno sguardo alla produzione di Epyx.


“Fat bottomed nerd, you make the rockin' world go round”, cantavano i Queen nel settantotto. Più o meno. Ora io mica lo so se fossero in forma o no Jim Connelley e Jon Freeman durante quell'anno, ma sicuramente erano dei nerd rampanti come pochi, considerando che pubblicavano Starfleet Orion, il primo titolo della Automated Simulations, l'etichetta che sarebbe diventata la Epyx nel 1981. Vera leggenda dell'immaginario a otto bit, la Epyx ha dominato con pugno d'acciaio gli anni Ottanta senza mostrare il fianco, pubblicando sistematicamente capolavori a raffica, salvo poi sparire nel nulla come se niente fosse. Che si parli delle corse contro il tempo dell'agente 4125 alle prese con i robot del folle Elvin Atombender, di pomeriggi trascorsi con gli amici tra gli eventi sportivi più disparati davanti a un joystick o di quell'indimenticabile momento in cui hai acceso per la prima volta un Lynx nel 1989, la Epyx aveva un posto in prima fila.

Starfleet Orion: una partenza lenta.
Poche altre etichette hanno vantato curriculum simili in quegli anni; System 3? Thalamus forse? Sicuramente Jon e Jim avevano una grossa passione per il gioco dalla loro: si conoscono nel 1977 davanti a un tavolo e a una pila di manuali, intenti a giocare a Dungeon & Dragons grazie a amici comuni. Jim era il dungeon master del gruppo, uno davvero dedicato e immerso nel ruolo, tanto che comprò un Commodore PET per avere un supporto alle sue avventure. Il trabiccolo, però, aveva il suo costo, e lui pensò bene di creare un videogioco al fine di ammortizzare le spese, chiedendo a Jon – all'epoca scrittore freelancer – di contribuire. Togliendo per un attimo le rosee lenti della nostalgia, è inevitabile ammettere quanto limitato fosse Starfleet Orion. Dopotutto era stato scritto in basic durante due soli mesi di lavoro, mentre Jon si era occupato del massiccio manuale di trentaquattro pagine, una meraviglia che spiegava tutta l'ambientazione dietro all'altisonante Unione Interstellare dei Pianeti Civilizzati e che donava forma e personalità a quell'accozzaglia di quadrati e asterischi (ok, astronavi e esplosioni per gli appassionati dello spazio alla fine degli anni settanta, prego).

Si trattava di un titolo per più giocatori che, peraltro, dovevano alternarsi alla tastiera, possibilmente evitando che l'avversario sbirciasse, il tutto senza l'ombra di un'intelligenza artificiale che permettesse di misurarsi contro il computer.

Temple of Apshai è un importante passo avanti per i giochi di ruolo su computer.

Il gioco vendette tanto da ripagare l'impegno profuso e le pagine pubblicitarie comprate sulle riviste dell'epoca. Questa pecca venne opportunamente corretta l'anno successivo con l'arrivo di Invasion Orion, dove il giocatore umano poteva finalmente confrontarsi contro il computer, che comunque si limitava a caricare l'antagonista umano a testa bassa, senza chissà quali doti pianificative. Il pedigree “ruolistico” dei due non tardò comunque a manifestarsi nel loro terzo titolo, Temple of Apshai, uscito nel 1979. Ventimila copie vendute in un'era in cui gli home computer erano ben lontani dal divenire un fenomeno di massa sono un traguardo di tutto rispetto, e anche questo titolo sfoggiava un manuale eccezionale. Un po' come sarebbe accaduto qualche anno dopo con i titoli della serie Gold Box della SSI (Pool of Radiance, Curse of the Azure Bonds...), le varie stanze attraversate dal nostro alter ego in cerca di fama e fortuna venivano descritte minuziosamente tra le pagine del prezioso libretto, così come i tesori recuperati durante l'esplorazione delle rovine del tempio del dio degli insetti Apshai

Un estratto dal manuale-dungeon master di Temple of Apshai.
C'è già tutto: è possibile salvare i progressi, investire il denaro nell'acquisto di armi e equipaggiamento e lo schema di gioco, basato su sortite nel labirinto con successiva sosta alla locanda per spendere e migliorare il proprio personaggio, diventa in breve una potente droga digitale per tutti i giocatori di Dungeons & Dragons con un computer sottomano. Che poi il gioco ti permettesse di barare praticamente da subito è un altro conto: il programma, in tutta ingenuità, chiede se si vuole generare un personaggio nuovo o “importarne” uno, basandosi sul proprio alter ego interpretato durante un qualsiasi gioco di ruolo pen & paper. Questo vuol dire che è possibile inserire i migliori valori, riempirsi le tasche di oro e mettere le mani sull'armamentario più forte come se niente fosse! Il gioco ricevette due espansioni (Curse of RA e Upper Reaches of Apshai) in grado di incrementare considerevolmente il bestiario e il numero delle stanze visitabili, e l'esperienza completa venne poi pubblicata sotto il nome “The Apshai Trilogy” con grafica tirata a lucido, per riproporre l'esperienza anche su macchine che, per motivi anagrafici, semplicemente non erano disponibili all'epoca come l'Amiga e l'Atari ST.

The Apshai Trilogy su Amiga è la maniera più piacevole per assaporare un grande classico.

Nemmeno le console sfuggirono alla febbre dei Dunjonquest (denominatore che indica Apshai e tutto quello che ruota attorno, tra espansioni e altro) con Gateway to Apshai, prequel in chiave action RPG uscito nel 1983 anche su Colecovision. Al posto dei movimenti e dei combattimenti a turni della serie principale, in questo spin off la prontezza di riflessi e l'abilità col joystick la fanno da padrone, mentre sono grandi assenti le splendide descrizioni delle varie stanze da seguire sul manuale. Qui il nostro alter  ego ha una manciata di minuti per passare al setaccio ogni livello prima di affrontare il successivo, acquisendo armi e  protezioni direttamente sul campo. Il gioco fece la sua comparsa anche sul popolarissimo Commodore 64 e sui computer della famiglia di Atari, ma su Coleco è particolarmente impressionante.


Il gioco di ruolo su console ha radici profonde, a quanto pare.

Vuoi per la vasta rosa di opzioni (dall'attacco alla gestione dell'inventario, dagli incantesimi alla possibilità di cercare trappole) che – caso estremamente raro – rende indispensabile l'uso di tutti i pulsanti del grosso controller della console, vuoi perché, a causa della sua genesi a ridosso del grande crash del 1983, il povero Colecovision era rimasto orfano dell'annunciato adattamento dell'RPG Tunnels & Trolls. In quest'ottica quindi, Gateway andava a tappezzare una mancanza imperdonabile. Nel frattempo, l'accoglienza trionfale che ogni nuovo titolo della software house riusciva a strappare aveva spinto il dinamico duo a pensare in grande, ampliando l'organico per coprire una gamma maggiore di piattaforme.  

Tunnels & Trolls (che sembra il nome di una variante di Dig Dug con Marco Calcaterra al posto di Taizo Hori) su Coleco, o almeno ci piace crederlo. Livello della mia bava davanti a questa schermata sui cataloghi nel 1983: TIDAL WAVE.

E qui entra in scena Anne Westfall, una delle più celebri Yoko Ono della storia dei videogiochi. Jon Freeman la conosce a una fiera del settore, la West Coast Computer Faire, dato che lo stand della Disco-Tech (una compagnia impegnata nell'ingegneria civile) si trovava casualmente a fianco a quello della Automated Simulations, in puro stile Giulietta e Romeo. Da cosa nasce cosa, le api i fiori e tutto il resto: fatto sta che i due escono assieme per sei mesi e lei finisce per lavorare negli uffici della Automated Simulations, che nel frattempo tirava fuori cose bellissime come Crush, Crumble and Chomp! nel 1981, sotto il nuovo marchio Epyx. Un titolo che abbracciava da pioniere uno dei temi più interessanti del videogioco anni Ottanta, brillantemente affrontato da Rampage, The Muncher o The Movie Monster Game (quest'ultimo sempre frutto di Epyx): mostroni giganti al comando del videogiocatore! È uno degli ultimi giochi in basic della compagnia, ma la limitata tecnologia basta e avanza per mettersi nelle squame di uno dei sei mostri e mettere a ferro e fuoco Tokyo, San Francisco e New York in questo originale titolo strategico. Originale nelle idee ma anche ricco per quel che riguarda i contenuti, dato che i vari bestioni vantano caratteristiche diverse, rendendo l'esperienza di gioco piuttosto varia: l'ameba gigante Glob può spostarsi nel sottosuolo e inglobare grattacieli e altri ostacoli sul suo cammino (non che abbia gambe o piedi, eh), mentre il lucertolone  Goshilla sputa fuoco e semina una scia di morte radioattiva a ogni passo.

Graficamente spartano, ma davvero appassionante.
Ecco, proprio mentre la Epyx nasce e sfonda con titoli sempre più belli succede qualcosa, e dopo qualche disaccordo di troppo Jon Freeman e la sua Anne abbandonano la nuova etichetta.

Chi dice donna dice danno, del resto. Anche nei videogiochi.

Assieme i due fondarono la Free Fall Games, ma questa è un'altra storia. Una altrettanto bella, che donerà al mondo capolavori come Archon e Murder on the Zinderneuf. Tornando alla Epyx, diversi scombussolamenti e scambi di ruolo stavano avvenendo nell'ormai robusto organico della compagnia: Jim prende per sé la sua squadra di sviluppo, rinominata nel frattempo The Connelley Group, lasciando lo scettro al nuovo CEO David Morse, rimanendo tuttavia a sviluppare giochi al servizio della compagnia che aveva contribuito a creare. Solo che i tempi stavano cambiando, e i videogiocatori erano affamati di azione come testimonia lo scarso successo del suo Dragonraiders of Pern (1983), tratto dalla collana di libri di Anne McCaffrey.

Troppa strategia per interessare gli smanettoni dell'epoca.
Non indigesto come l'orripilante adattamento ad opera di Ubisoft, pubblicato alle porte del nuovo millennio, tuttavia era innegabile che la prepotente componente strategica del gioco non era in grado di intaccare il trionfo dell'altro titolo di punta della compagnia, ovvero Jumpman Jr. Un gioco a base di salti e scale veloce e accattivante, uscito in tempo per cavalcare il successo che le piattaforme stavano riscuotendo, spinte in sala giochi da carpentieri in salopette alle prese con gorilla lancia barili. Neppure considerando che su Atari si poteva giocare addirittura in quattro (due su C64), competendo per la supremazia tra ci cieli di Pern.
Jim quindi tolse il disturbo, sterzando deciso verso le braccia Brøderbund. Tuttavia per Epyx i giochi dovevano ancora iniziare. Letteralmente.

Nel ciclo di Pern, i Fili (Thread) sono questi organismi simili a tenie formato famiglia...

 
... nell'adattamento di Jim, sono gli antagonisti dell'unica sequenza arcade del gioco...
... che poi (la smetto, giuro) stavo leggendo questo numero prima di iniziare a scrivere. FEAR, la migliore rivista che non abbiamo mai avuto in Italia. Bonaventura di Bello aveva provato tantissimo a importarla negli anni Ottanta.
Nel 1983 avviene la fusione con la Starpath, altro brillante gruppo a stelle e strisce, stavolta artefice di quell'indicibile figata che era il Supercharger, un'espansione per l'Atari VCS che aggiungeva 6kb ai 128 byte del 2600, permettendo di caricare giochi da un comune registratore. Ci girava un versione di Frogger da urlo, killer application in grado di scavalcare i limiti della macchina Atari e mostrare i muscoli del nuovo hardware, assieme a una dozzina circa di giochi tra cui l'altisonante Communist Mutants from Space, a onor del vero poco più di un clone di Galaxian, tuttavia uno dei primi giochi dotati di easter egg, assieme a Adventure di Warren Robinett.  

Steven H. Landrum nascose le sue iniziali nel gioco.

L'unione tra le due compagnie portò l'organico a trentacinque dipendenti, con una nuova sede dalle parti di San Francisco. Un bell'edificio dove i programmatori potevano lavorare in pace e serenamente, con spazi personali e uffici privati, racconta il veterano Chuck Sommerville in un'intervista a Retrogamer. Con una squadra di creativi nuova di zecca sempre alla ricerca di menti brillanti (Chuck, per dirne una, si era rivolto alla Epyx dopo che la Sirius Software aveva chiuso i battenti) e capaci, Epyx era pronta a scuotere il mercato degli home computer con ancora più vigore rispetto agli anni degli illustri fondatori, forte di titoli assolutamente fondamentali.

Prendiamo come esempio la serie dei Games, giochi sportivi di alto livello in grado di calamitare l'attenzione di sessantaquattristi e non solo, durante memorabili pomeriggi tra amici. Iniziati nel 1984 (giusto in tempo per cavalcare il successo dei giochi olimpici di Los Angeles) con lo storico Summer Games, i Games hanno girato il globo in lungo e largo, accontentando gli sportivi digitali più esigenti con una serie di eventi particolarmente variegata.

Numero dei pomeriggi passati con gli amici a giocare: fuori scala.

Un grande punto di forza, alla faccia di Konami, Crane e della malefica lobby dei fabbricanti di joystick, era la quasi totale assenza di smanettamenti forsennati, prediligendo la precisione, il ritmo e i riflessi nelle varie discipline.
Poi magari scoprivi che il ciclismo in Summer Games 2 era stato ideato da satana in persona
con la sua rotazione del joystick, tuttavia, complessivamente, il sistema di controllo della serie era una piacevole alternativa alle sessioni spacca polso dei rivali.

"non sento... più... il braccio..."
E la presentazione audiovisiva non era da meno, con animazioni curatissime e un'invidiabile pulizia grafica, assieme a un sonoro semplicemente iconico per l'epoca: nonostante non fossero state stipulate licenze con l'International Olympic Commitee, gli inni nazionali suonati dal SID conferivano al tutto un'autenticità indiscutibile. 

Il lancio del freesbee è una delle discipline che viene maggiormente esclusa nelle versioni console di California Games.
Ah, e tra i partecipanti era solita militare la stessa Epyx, con il tema di Jumpman Jr come inno!

Due episodi di giochi estivi (1984/1985), una capatina tra le nevi con Winter Games (1985) e poi la serie prende il volo, con i fantastici World Games (1986) e California Games (1987), probabilmente la punta di diamante di tutta la serie. Un successo continuativo dovuto anche al collaudatissimo staff: Chuck Sommerville si mise all'opera per la creazione del primissimo Summer Games basandosi su Sweat: The Decathlon Game, un prototipo per Supercharger che non vide mai la luce sulla sfortunata periferica. Fortunatamente anche il programmatore del suddetto vaporware era entrato sul libro paga di Epyx, ovvero Steven H. Landrum, autore, tra l'altro, del Communist Mutants from Space di cui parlavamo prima. Questo aiutò Chuck nella conversione del gioco per Apple 2, oltre a realizzare la spettacolare introduzione e gli eventi del tuffo e del salto con l'asta.

Dall'equilibrio sui tronchi al lancio degli stessi, le discipline di World Games sono decisamente inusuali.
Era la prima volta che la Epyx impiegava un grafico per un suo prodotto: prima di allora ogni sviluppatore si occupava di tutto, dal concetto iniziale al sonoro, ma l'intuizione di utilizzare uno specialista fu uno dei motivi che permise alla sua produzione di spiccare sulla concorrenza.

Dal Master System al Lynx, passando per il buon vecchio Atari 2600: nessuno resiste al fascino di California Games.
Un successo internazionale grazie anche all'accordo con Geoff Brown di US Gold nel 1983, che permise a Epyx di vendere i suoi prodotti anche nel vecchio continente, espandendo considerevolmente il mercato. Anche per questo il primo Summer Games può vantarsi di aver venduto oltre un milione di copie, un record fuori parametro per il 1984!  

Un altro colpo da maestro fu Impossible Mission, uscito nello stesso anno.

Giorni e giorni a cercare di capire come completare la missione. Ma che animazioni, e che sonoro...

Amatissimo dalla stampa, tanto che frasi come “il miglior gioco di tutti i tempi” erano abusatissime sulle riviste di settore, tuttavia rivedibile da Dennis Caswell, il suo creatore, poiché troppo fumoso per il videogiocatore medio. Con il senno di poi, Dennis oggi ritiene eccessivamente macchinoso il puzzle con cui guadagnare la password di accesso al sancta sanctorum dello scienziato Elvin Atombender e interrompere il lancio dei missili.
Personalmente concordo: combinare le schede perforate tra sagome e colori era causa di soventi mal di testa, anche perché le istruzioni del gioco erano superficiali e inadeguate, ciononostante il titolo resta una pietra miliare nel software a otto bit. Non male davvero per un gioco creato praticamente attorno ad una animazione: Dennis aveva “ricalcato” l'iconica capriola dell'agente 4125 da un libro di atletica, e fu praticamente il suo portfolio quando bussò alle porte di Epyx.


Se proprio non volete armeggiare con il C64, Impossible Mission è disponibile per un'infinità di sistemi, compreso il Nintendo DS grazie a System 3.

Tutto il resto venne montato attorno allo sprite principale, che si trovò improvvisamente intrappolato nella fortezza di Elvin con sei ore per salvare il mondo: sembrano parecchie, ma a ogni passo falso vengono sadicamente sottratti dieci minuti dal conto alla rovescia. Il complesso sotterraneo del folle scienziato viene generato casualmente ad ogni partita, così come la posizione delle schede e il comportamento dei robot da guardia, idea derivata da Rogue, il leggendario videogioco per Unix di Michael Toy e Glenn Wichmann. Il resto delle ispirazioni ha fonti differenti: i robot sono basati su RD-D2, influenzati da un oscuro cartone animato che Dennis aveva visto da piccolo, dove degli automi schizzavano avanti e indietro in equilibrio su una sola ruota. 


Che il robot dimenticato da Dennis fosse Rosie, la cameriera dei Jetson?

Allo stesso modo, la sfera levitante che insegue 4125 si rifà a quella del telefilm “Il Fuggitivo” (The Prisoner, 1967-68). 

Elvin evidentemente preferiva la variante nera, più elegante.

Infine, il sottogioco nella stanza con la scacchiera con cui guadagnare preziosi bonus per paralizzare temporaneamente i robot o resettare la posizione degli ascensori è ispirato al classico giocattolo Simon, ideato nientemeno che dal leggendario Ralph Baer..

Un po' il nostro padre spirituale. Grazie di tutto, Ralph.

E altrettanto leggendario era il sonoro del gioco, con le indimenticabili “Another visitor, stay awhile, stay forever!”, “Destroy him, my robots!” e l'orlo di morte di 4125, tutti realizzati dalla Electronic Speech System (ESS), una compagnia americana con sede a Fremont in California che permetteva il miracolo della sintesi vocale su C64, nonostante questo costringesse la macchina Commodore a “congelare” l'azione su schermo. Sid Meier e David Crane la resero famosa, rispettivamente grazie a Kenndy Approach e Ghostbusters, ma venne usata in una decina di titoli tra cui Desert Fox e Beach Head II, che tra l'altro ricicla l'urlo di 4125 nel secondo livello. Per gli sproloqui da megalomane di Elvin, Dennis chiese alla ESS un attore che suonasse come un gentiluomo inglese di mezza età, il classico arcinemico à la James Bond: si da il caso che un simile talento facesse parte dello staff dell'azienda, sebbene Dennis non lo abbia mai conosciuto di persona.

Maggiore varietà di situazioni, nemici e gadget: Impossible Mission 2 ha tutto.
Ma la cosa più incredibile è che assolutamente nulla degli asset originali di Dennis venne utilizzato per il seguito (1988), stavolta realizzato addirittura oltreoceano dalla Novotrade, un gruppo di sviluppatori di Budapest. Il grafico Zoltán Tóth ricreò da zero praticamente tutto, comprese le routine di animazione di 4125. Il resto della grafica subì un aggiornamento magistrale, non solo nella qualità ma anche nello stile, dato che adesso la fortezza di Elvin, ispirata al Westin  Bonaventure Hotel di Los Angeles,  è divisa in nove torri, differenti l'una dall'altra per tema e ambientazioni. 

Il Westin Bonaventure dal vivo, con le sue torri...

... e la versione immaginata da Novotrade.

Anche l'obiettivo finale è più immediato e chiaro: lo schema di gioco si basa ancora sulla ricerca di codici nascosti nelle suppellettili di ogni stanza, stavolta per formare un codice di tre numeri con cui guadagnare l'accesso alla costruzione successiva, ma per raggiungere la locazione finale è necessario recuperare delle tracce sonore nascoste in casseforti apparentemente inaccessibili. Per questo 4125 ha a disposizione una dotazione di gadget maggiore rispetto a prima, come mine con cui eliminare i robot più insidiosi e bombe a tempo per far saltare in aria pareti e risolvere puzzle nettamente più complessi. Non solo: i robot adesso sono completamente diversi rispetto a prima. Ci sono i vecchi classici dotati di scariche elettriche, affiancati da droni più singolari come i suicidebot, che afferrano 4125 per trascinarlo verso il baratro più vicino. Non tutti sanno che la versione di riferimento è quella per Atari ST, realizzata principalmente grazie a un programma di animazione bitmap realizzato dagli stessi Novotrade, chiamato Art & Film Director.


La faccia non ludica (ma altrettanto affascinante) di Epyx.
 
Cementato il successo grazie ai due Impossible Mission e raggiunto l'apice della serie Games attraverso gli inarrivabili California Games e World Games, niente pareva scostare questo colosso in corsa dal suo  prepotente cammino verso la gloria durante gli anni Ottanta. E con tutti i capolavori che venivano sfornati, in effetti nessuno se la sentiva di scommettere contro: altri importanti tasselli nel memorabile mosaico della Epyx al suo massimo splendore sono i due Pit Stop, arcade corsistici al volante di bolidi di Formula uno. La serie arricchisce la formula del Pole Position di Namco, aggiungendo alle gare le fermate ai box, indispensabili per fare il pieno e cambiare gli pneumatici danneggiati che altrimenti costringerebbero la nostra monoposto al ritiro. 

Un altro buon motivo per possedere l'Expansion Module n°2.

Il primo episodio (1983) era notevolmente elaborato per i tempi, unendo con successo un'esperienza di guida fluida e convincente a un pizzico di strategia, specie su Colecovision, dove il gioco utilizza il volante con pedale (Expansion Module n°2) già protagonista dell'eccellente conversione del Turbo di SEGA. Randy Glover fece buona parte del lavoro, prima di abbandonare l'etichetta e lasciare il completamento del gioco ai suoi colleghi. Ma il botto lo fa il secondo episodio, uscito l'anno seguente sfruttando il C64 come piattaforma di riferimento, che aggiunge l'unica cosa in grado di migliorare un gioco di corse di per sé eccellente: la modalità per due giocatori in contemporanea, grazie allo split screen orizzontale. Più bello e più veloce, insomma: Dennis Caswell e Stephen landrum avevano fatto centro alla grande in un titolo che sarebbe rimasto negli anni il punto di riferimento del genere sulla macchina Commodore. 

In diverse culture, questa schermata abbinata a un paio di joystick era sinonimo di vita sociale buttata via.

Archer MacLean asserì che il veloce Atari 800 era "la Porsche degli otto bit", parlando dello sviluppo di Dropzone. Una Porsche parecchio spompata, a giudicare dall'infelice conversione di Pitstop 2.

Il che può apparentemente sembrare un'impresa da poco, considerando che la concorrenza futura avrebbe assunto forme infauste, come le conversioni di Chase HQ o Out Run, me ne rendo conto.

Epyx era il re Mida dell'epoca, in grado di trasformare in oro qualsiasi cosa, comprese le rognosissime licenze di giocattoli. Che poi il fatto che vendessero un sacco non voleva mica dire che i giochi fossero anche belli: prendi ad esempio il terrificante Barbie (1984), dove il giocatore ha il compito di scorrazzare la bionda bambola in giro sulla sua corvette cabrio in una sfrenata sessione di shopping prima dell'appuntamento con Ken. La difficoltà consiste nello scegliere l'abbigliamento adatto al luogo dell'incontro, che può variare da una cena romantica ad una nuotata in piscina. La cosa più esilarante è la telefonata digitalizzata con cui i due piccioncini di plastica fissano l'incontro: davvero tremenda, e grazie alle meraviglie di Youtube possiamo soffrire di nuovo tutti assieme, oggi come ieri.


Il gioco è firmato da Eddy Goldfarb, che tra l'altro ci prese la mano, confezionando anche l'adattamento delle Hot Wheels l'anno dopo. Si tratta sostanzialmente di una raccolta di mini giochi, che vanno da una gara di sfasciacarrozze a pilotare il camion dei pompieri, passando per attività un attimo meno vibranti come il lavaggio dell'auto e il cambio dell'olio. Il punto forte è la possibilità di scegliere quale bolide guidare e, in alternativa, di poterlo costruire assemblando tre sezioni da colorare a piacere. Come nel caso di Barbie, si tratta di un titolo mirato a un'utenza particolarmente giovane, tuttavia puntualmente curato sotto l'aspetto audiovisivo. 

Sì, ma quanto era bella questa schermata?
Stessa sorte per G.I.Joe (1985), dove gli eroici soldatini di Hasbro duellavano appiedati contro i malvagi Cobra a colpi di armi da fuoco in piccole arene, oppure su campi di battaglia alla guida dei veicoli ammirati nella serie televisiva. Ogni personaggio ha caratteristiche di velocità e attacco differenti, e alcuni elementi delle arene possono essere manomessi per ottenere un vantaggio sull'avversario. Colpite il robot nello scenario cittadino, per esempio, e l'ammasso di ferraglia si metterà alle costole del vostro avversario. “Knowing is half the battle”, dopotutto. Peccato che alla lunga il titolo diventi eccessivamente ripetitivo, perché i Cobra messi dietro le sbarre hanno le pessima abitudine di evadere, allungando la partita più del dovuto.

Uno sparatutto ad arene con buone idee: Fate colpire da Scarlett quei computer e un grosso cobra sputa laser bersaglierà Destro.
Poi, stanca di stadi ghermiti di pubblico, tedofori e inni nazionali, Epyx pensò di spostare l'obiettivo sulle strade e i campetti di periferia per la sua nuova serie sportiva. Gli Street Sports erano giochi sportivi a misura di ragazzo, con squadre da creare reclutando i giovanotti del quartiere, ognuno con caratteristiche differenti, prima di affrontarsi su strade o parchi pubblici. Caratterizzati dallo slogan "it's tough on the streets", i quattro giochi che compongono la serie (basket, baseball, soccer e football) sono usciti tra il 1987 e il 1988, e facevano dell'immediatezza il loro punto di forza, con squadre composte da pochi membri e azioni molto veloci, su campi da gioco sporchi e irregolari che influenzavano il movimento della palla e dei giocatori. Li abbiamo giocati sulle piattaforme a otto bit e sugli MS-DOS dell'epoca, nella dubbia bellezza della CGA.

Sulle strade è dura, altro che quei fighetti della Data East con Street Hoop.

Altri titoli di quegli anni cercavano di capitalizzare il successo delle mode di allora. Breakdance (1984) era praticamente Simon con omini in pose strambe al posto di sequenze di colori, mentre Championship Wrestling (1986) mirava a ottenere la licenza WWF nel momento di gloria della Hulkamania, ma non se ne fece nulla. Poco male, perché gli otto lottatori sono abbondantemente ispirati agli eroi del wrestling di quegli anni: K. C. Colossus è Hulk Hogan in tutto tranne che nel nome, Berserker è una via di mezzo tra l'Ultimate Warrior e uno qualsiasi tra Hawk e Animal, Colonel Rooski è basato su Ivan Koloff e così via.

Breakdance era tremendo. Lievemente differente nelle versioni disco e cassetta, ma ugualmente orrendo.

Grafica al top sugli otto bit, tanto che le versioni C64 e Atari ST sono sostanzialmente identiche con lottatori colorati, ben caratterizzati e con buone animazioni. Prima di ogni incontro i ritratti degli energumeni si scambiano parole di sfida sotto le note del lore tema personale, ma i match durano solamente tre minuti e gli scambi di colpi sono spesso caotici, complice la scarsa dimensione del ring rispetto ai lottatori. Il multi caricamento tra un combattimento e l'altro uccide del tutto l'esperienza su cassetta.

Dal pubblico volano parole forti alla volta dei due lottatori, tra cui un lapidario "Get a job"!

Un buon gioco sostanzialmente, anche grazie al gran numero di tecniche eseguibili con un misero joystick senza tasti extra, ma sinceramente non ho mai capito se sia meglio o no del buon vecchio Rock'n Wrestle.

Poi c'era la passione per i fuoristrada. Anche in Italia li trovavi ovunque, dai celebri radiocomandi Nikko a giocattoli come i Mangiastrada Harbert. Merito sopratutto del Camel Trophy, competizione automobilistica a base di fango, macchinoni e irresistibile avventura, durata dal 1980 al 2000 e bieco veicolo pubblicitario per abbinare una marca di sigarette a uomini duri e vincenti. 4x4 Off Road Racing (1988) di vincente ha molto poco: è un gioco di guida in terza persona con piste costellate di ostacoli vari che consumeranno le parti del nostro pick-up, richiedendo soste forzate per le riparazioni o semplicemente per fare il pieno.


Il gioco possiede una parte manageriale dove comprare il veicolo e equipaggiarlo a dovere, scegliendo il tipo di pneumatici o la quantità di gadget da portare dietro, ma ludicamente è poco più di un clone di Buggy Boy piatto e monotono. Se davvero volete giocarlo, optate per la versione C64; quella Amiga è piuttosto lenta e con la pista inspiegabilmente stretta, mentre il fanalino di coda è rappresentato da quella Spectrum, annegata in un incubo monocromatico dove il giallo sfonda retine la fa da padrone.

Niente a che vedere con The Movie Monster Game (1986)... Quello sì che era un fuoriclasse, ragazzi.

Siamo tutti d'accordo sul fatto che le schermate di selezione nei giochi Epyx erano piccoli capolavori, sì?
 È praticamente il seguito di Crush, Crumble and Chomp! in salsa arcade, con sei mostri a piede libero in altrettante città, alle prese con cinque obiettivi che vanno dalla fuga al buffet a base di umani, passando per la distruzione di monumenti. La grafica isometrica lo farebbe quasi passare per un King of the Monsters ante litteram, sebbene gli antagonisti qui siano esclusivamente umani, con eserciti mobilitati contro il bestione di turno.

"È un marinaio, è qui a New York. Portiamolo a scopare e non avremo più problemi."
Epyx fece uno sforzo extra, accaparrandosi la licenza ufficiale di Godzilla, sebbene gli altri mostri vengano pescati più o meno impunemente dall'immaginario collettivo, come Mr. Meringue che ricorda in maniera inequivocabile l'aspetto di un certo distruggitore. La presentazione audiovisiva è di grande impatto, nonostante i paesaggi, messi da parte i vari monumenti, tendano a essere ripetitivi. Il gioco è tutto ambientato in un cinema, con la cassa che funge da schermo delle opzioni e pubblicità fittizie presentate prima dell'azione, tra prodotti immaginari e ammiccamenti a altri giochi Epyx. Lo trovate su C64 e Apple II.

E di titoli ce ne sarebbero altri, come lo storico Sword of Fargoal (1982, ne esiste un remake su smartfone, volendo) di Jeff McCord, ma davvero occuperemmo un blog solo per elencarli tutti. Tirando le somme, Epyx si era espansa a dismisura, arrivando a guadagnare circa dieci milioni di dollari l'anno e pagando lo stipendio a ben duecento persone. Però a un certo punto accadde qualcosa di impensabile: la possente etichetta peccò di presunzione, allargando considerevolmente i propri interessi.

Il che non è certo un peccato se le scelte sono oculate, sia chiaro. La carriera di importatore e distributore andò anzi a gonfie vele con la neonata etichetta Maxx Out!, artefice dell'arrivo sul suolo a stelle e strisce di titoli di successo nel vecchio continente come i due Barbarian di Palace, pubblicati oltreoceano come Death Sword e Axe of Rage.

Per gli americani non esiste Barbarian 2, bensì Axe of Rage.

Anche la sortita nel mondo dell'hardware non era stata proprio un disastro grazie alla popolare cartuccia Fastload, creata dal programmatore Scott Nelson, che permetteva, tra le altre cose, di velocizzare le routine di caricamento del buon vecchio 1541, riducendo i tempi di attesa ad un quinto. Vendette attorno ai seicentocinquantamila esemplari, e non è affatto poco. Un altro tentativo nel settore fu il Konix 500 XJ Joystick, un particolarissimo controller da tenere in mano. Il primo modello aveva la classica presa a nove piedini mini-DIN, adatta all'Atari 2600 e agli altri home computer dell'epoca, ma ne fu realizzato anche un altro per il NES, con due pulsanti. Forse il modello più celebre è lo Speedking: stessa forma, stessa presa “a misura di computer” ma dotato di autofire, probabilmente uno dei più famosi joystick per computer a otto bit, ai tempi spinto nelle vendite dalle copie di Thing Bounces Back della Gremlin, regalate assieme alla periferica.

Il fatto che la sua particolare modalità d'uso rendesse impossibile farsi una bella partita a Gryzor, Green Beret o Renegade è un altro discorso.

Lo Speedking lo conoscete, ma forse la versione NES non l'avete mai vista dal vivo.

No, il vero, grosso e imperdonabile passo falso avvenne in sordina, quando nessuno se lo aspettava. Correva l'Agosto del 1986 e, vuole la leggenda, RJ Mical e Dave Needle, già responsabili per la nascita di Amiga, disegnavano su un tovagliolo, durante la pausa pranzo, le basi di quello che sarebbe dovuto diventare l'Handy, una rivoluzionaria console portatile. Le idee e le speranze erano stellari in un progetto che doveva utilizzare diversi processori, connessioni a infrarossi, caricamenti da nastro e chi più ne ha più ne metta. Alla fine la belva non se la cavò male grazie al chip video a sedici bit (Suzy) in grado di generare fino a 4096 colori – gli stessi di Amiga – con la capacità di ingrandire e ruotare sprite e fondali, una caratteristica pazzesca che non si era mai vista fuori dalle sale giochi, men che meno nel palmo di una mano. Possedeva una CPU 65C02 come cuore pulsante, affiancata da un chip blitter a sedici bit, e il quadro era completato da Mickey, un chip sonoro a quattro canali in grado si pompare suoni digitalizzati e campionati su ognuno di essi. Sulla carta sembrava la cosa più bella di sempre, ma proprio quando la macchina era pronta, Epyx si trovò su un terreno inaspettatamente cedevole.

Colpa del mercato ad otto bit che iniziava a scricchiolare sotto l'ammaliante bellezza di Amiga e ST: al momento di far decollare Handy, Epyx aveva accusato il colpo sferrato dal mondo videoludico che stava irrimediabilmente cambiando, riducendo drasticamente il suo organico a soli venti dipendenti!
Anche per questo le idee cominciavano a scarseggiare: The Games - Summer edition (1988) e il suo corrispettivo invernale uscito nello stesso anno ricevono un'accoglienza tiepida. Hanno il sapore di minestra riscaldata e fanno fatica a affermarsi in un mercato dove i multi evento sportivi spuntano come funghi, spesso impreziositi da una presentazione eccellente come in Daley Thompson Olympic Challenge di Ocean, forte di una golosissima grafica digitalizzata sui sedici bit.

Le solite, fantastiche pubblicità comparative americane. Al di là delle parole grosse che volano, Vindicators per Lynx non venne mai pubblicato.

David Morse decise quindi di appoggiarsi a un gigante come Nintendo per pubblicare la console, ma venne respinto lì, direttamente in Giappone, venendo a conoscenza  del futuro lancio del Game Boy, tra l'altro. Quindi Atari fu la seconda porta alla quale bussò, una risorsa tenuta per ultima, con calma, poiché Morse era ben conscio di quanto fosse duro lavorare con Jack Tramiel, sebbene all'epoca l'etichetta fosse ancora un nome assai prestigioso nell'industria. Il progetto venne quindi ribattezzato “Atari Portable Entertainment System”, solo per essere successivamente conosciuto come Lynx, un nome derivato dalla possibilità di collegare diverse macchine tra di loro e non dalla presunta fissazione di Tramiel con i felini, come abbiamo avuto modo di chiarire nel post sul Jagfest. La situazione pareva aver preso la svolta giusta: Epyx aveva finalmente dato vita alla sua creatura in un modo o nell'altro, mentre ai nastri di partenza erano pronte valanghe di software per la nuova macchina, tra cui l'immancabile California Games, addirittura in omaggio con la console.

Colorato, giocabile e a suo modo originale: una partita a Gates of Zendocon la faccio sempre volentieri.
Tra gli altri titoli significativi sviluppati da Epyx al lancio della macchina ricordiamo l'impressionante Blue Lighnting, clone di Afterburner in grado di sfruttare a dovere le capacità di scaling di Suzy, assieme al popolare puzzle game Chip's Challenge, successivamente convertito per diverse piattaforme, Steam compreso. Oltre a questi spicca lo sparatutto a scorrimento orizzontale Gates of Zendocon, con i suoi cinquanta livelli e l'astronave che perde pezzi e sistemi d'armamento a ogni colpo subito, e l'avventura arcade Electrocop, inizialmente spacciato su tutte le riviste di settore come un nuovo episodio di Impossible Mission.

Atari aveva però stilato una clausola nel contratto che prevedeva la soluzione di eventuali bug da parte di Epyx in sessanta giorni, prendendosi il lusso di commentare gli interventi con crescente ritardo, dando quindi alla software house poco tempo per risolvere del tutto i problemi. Un trucco non pulitissimo che permise all'azienda di Tramiel di ritardare i pagamenti dovuti, interrompere il flusso di denaro e mettere le mani su molti dei marchi di Epyx praticamente a costo zero, lasciando la compagnia in bancarotta.

Nell'ultimo periodo i titoli della Epyx non riuscivano a competere per aspetto e ingegno con mostri quali i TV Sports di Cinemaware. Profetica, in quest'ottica, questa schermata di California Games 2.
David Needle ricorda chiaramente l'ingente somma trattenuta che costò la pelle al leggendario marchio: 666.000 dollari tondi tondi. Una coincidenza? Adam Kadmon pensa di no.