lunedì 12 agosto 2013

M.U.LE. e il resto: uno sguardo alla visione multigiocatore di Daniel Paul Bunten.

Nato nel 1949, Daniel Paul Bunten ci ha lasciati solo nel 1988; dopo aver cambiato sesso in seguito ad un'operazione verso la fine della sua carriera e aver adottato il nome Danielle Bunten Berry, si è spento lottando contro una malattia polmonare. 

Tuttavia, il suo lascito all'industria videoludica è inequivocabile. Will Wright gli ha dedicato il suo blockbuster The Sims, definendo M.U.L.E. una seminale fonte d'ispirazione per qualunque game designer degno di questo nome, mentre la Academy of interactive Art and Science gli ha riservato un posto nella sua Hall of Fame. 



Per Bunten, il videogioco doveva essere principalmente un veicolo di interaziona tra più persone: immortale la sua frase “Nessuno ha mai detto, sul proprio letto di morte: "Avrei voluto passare più tempo da solo con il mio computer." “, pronunciata durante la Computer Games Developer's Conference del 1990. 

La sua produzione si è focalizzata quasi esclusivamente sull'aspetto multigiocatore del videogioco; addirittura la sua prima creazione, Wheeler Dealers per Apple II nel 1978, era venduta assieme ad un controller dedicato: nonostante il costo elevato e il prevedibile flop commerciale che ne sarebbe seguito, quello era l'unico modo per far giocare assieme quattro persone in quel rudimentale simulatore finanziario. 



Affatto scoraggiato dall'infimo numero di vendite,  iniziò a lavorare per la SSI dove scrisse tre giochi. Computer Quarterback (1979) era un simulatore di football americano incentrato su schemi e formazioni, inizialmente concepito per soli due giocatori ma con la modalità per giocatore singolo implementata all'ultimo secondo, sotto stretta richiesta del publisher. Seguì Cartels and Cutthroats nel 1981, simulatore economico che supportava ben sei giocatori contemporaneamente, famoso per aver stregato l'allora giovane Trip Hawkins, il futuro fondatore di Electronic Arts. Ultimo ma sicuramente non per merito, Cytron Masters era un war game che offriva un originalissimo connubio tra azione arcade e attenta pianificazione per due giocatori, in grado di spremere significativamente l'hardware dell'Apple II nel 1982. A questo punto il sopracitato Trip Hawkins e la sua Electronic Arts chiesero i diritti per convertire Cartels and Cutthroats su altre piattaforme ricevendo come risposta un secco rifiuto da parte di SSI. Bunten in persona bussò quindi alla porta di Hawkins, garantendo di poter creare un titolo simile a Cartels and Cutthroats  ma immensamente superiore. Tale ambizione si concretizzò nel 1983 con la creazione di M.U.L.E., prodotto dalla Ozark Softscape (la software house di Bunten) e pubblicato sotto etichetta EA per l'Atari 800, una scelta dettata dalle quattro porte joystick della macchina. 


Sebbene anche stavolta il riscontro di vendite non fosse esattamente confortante con soli 30.000 pezzi venduti, le leggende metropolitane tuttora considerano M.U.L.E. il gioco più piratato di quegli anni. Ambientato sul pianeta Irata (Atari al contrario) il gioco vede quattro coloni lottare e cooperare per la sopravvivenza dei loro popoli raccogliendo e gestendo quattro tipi di risorse grazie ai somari cyborg M.UL.E. (Multiple Use Labor Element). Questi sono un incrocio tra i massicci AT-AT imperiali de L'Impero colpisce ancora e gli animali cibernetici della novella Time enough for love di Robert Anson Heinlein, dichiarata fonte d'ispirazione del gioco. Al posto di risolvere il tutto con una guerra civile, i quattro giocatori devono gestire turno dopo turno domanda e richiesta delle risorse, comprando e vendendo quando necessario e facendo i conti con vari eventi casuali come tempeste solari, razzie da parte degli autoctoni o testardi M.U.L.E. in fuga. Il sistema economico, considerate le limitazioni delle macchine dell'epoca, funziona egregiamente, favorendo coalizioni tra giocatori con  la possibilità di scambi e transazioni: la sua flessibilità permette addirittura strategie piuttosto elaborate come l'embargo di una determinata risorsa per lasciare a secco gli altri giocatori e il Negozio (l'infrastruttura dove  dove acquistare o vendere beni e comprare nuovi M.U.L.E.) al fine di far schizzare alle stelle il prezzo del materiale designato. 
Significativo l'abbandono della conversione per Sega Megadrive proprio per il rifiuto da parte di Bunten di aggiungere armi ed eserciti alla collaudatissima formula originale
L'influenza e il seguito che il gioco ha generato nel corso degli anni successivi è assolutamente straordinario tra cloni e remake vari. Nel 2005 il kaillera - un add on pensato per abilitare il gioco online sugli emulatori - venne integrato all'emulatore Atari800winplus proprio per permettere di giocare M.U.L.E. su scala mondiale. In un certo senso, quindi, i fan completarono il lavoro di Bunten, che lavorò su una versione online del gioco fino alla sua morte. Memorabile la colonna sonora ad opera di Roy Glover, inserita tra l'altro come easter egg nel livello spaziale di Spore

Il titolo successivo, Seven cities of gold (1984), rappresenta un'anomalia rispetto a quanto visto finora, essendo un gioco per un solo giocatore. Nei panni di un esploratore spagnolo del quindicesimo secolo, la nostra missione è salpare alla volta del nuovo mondo con un pugno di uomini e risorse, alla ricerca di oro e beni. Prima di partire la locazione di partenza è una città spagnola in cui fare scorte tra pub e mercanti, rappresentata da una semplicistica sezione a scorrimento orizzontale. 


Una volta nel nuovo mondo però le cose cambiano con una eccezionale riproduzione della topografia americana dell'epoca, con fiumi e altri elementi geografici fedelmente riproposti. Far entrare un simile livello di dettaglio nella memoria delle macchine dell'epoca era un'impresa titanica, sormontata dalla Ozark Softscape grazie all'implementazione di un sistema di visualizzazione del paesaggio dinamico, che caricava in tempo reale i dati della mappa mentre il giocatore la esplorava. Il gioco non ha un finale vero e proprio e il giocatore può continuare a girovagare a suo piacimento inviando nel frattempo oro nelle casse del re di Spagna, ma per avere successo è vitale interagire con gli autoctoni per scambiare risorse e fondare missioni, in modo da trasformare i villaggi in basi, indispensabili per rifornirsi di cibo. 



Un approccio aggressivo è contemplato anche in virtù della barriera linguistica tra gli esploratori e i nativi, ma non incoraggiato dallo stesso Bunten in un'intervista ad Antic, storica rivista dedicata ai sistemi ad 8 bit di Atari. Fu un meritatissimo successo con oltre 150.000 copie vendute tra i diversi sistemi dell'epoca, macchine a 16 bit comprese, vantando addirittura un editor con cui creare il proprio mondo di gioco da salvare su disco e far esplorare agli amici.

Il riuscito legame tra videogioco e accuratezza storica proiettò la Ozark tra le migliori software house del tempo; addirittura per molti il termine “edutainment” venne coniato proprio per descrivere Seven cities of gold. L'anno successivo esce il seguito non ufficiale per il solo Commodore 64, Heart of Africa. Il giocatore veste i panni di un esploratore sulle tracce della tomba del Faraone Ahnk Ahnk, esplorando il continente nero. 
Le scoperte e gli indizi racimolati dagli incontri con i nativi vengono automaticamente annotati nel diario, una verà novità negli anni in cui ogni avventuriero virtuale che si rispetti aveva due cose a portata di mano: la rubrica del Mago su Zzap! e un quadernone a quadretti traboccante di appunti e mappe rigorosamente abbozzate a mano
La locazione della tomba cambia da partita a partita, ma le similitudini col predecessore spirituale non giocarono a favore del titolo, che purtropp, ottenne un successo marginale
Ironicamente, Bunten voleva tentare l'adattamento del board game della Avalon Hill Civilization, ma il publisher insistette per riprendere la formula di Seven Cities of Gold: una propensione al riciclo che è ormai un marchio di fabbrica della Electronic Arts. 


I giochi successivi di Bunten riprendono la passione per il multigiocatore estremizzando addirittura quanto fatto fino ad allora: Robot Rascals (1986) doveva essere addirittura giocato da almeno quattro esseri umani con l'ausilio di un vero mazzo di carte: immediatamente bollato come gioco per famiglie, questa bizzarra caccia al tesoro a turni affascinò la critica ma generò scarsi guadagni.


Modem Wars fu il passo successivo, presentando uno dei primissimi titoli giocabili via modem: con caratteristiche quali la fog of war, formazioni, differenti tipi di unità e terreni nonché replay e punteggi salvabili online, è davvero difficile anche solo cominciare ad elencare le novità che questo gioco del 1988 ha introdotto nel genere. 


Passando alla Microprose, scrisse eccezionali titoli come Global Conquest nel 1992, il primo strategico giocabile online da quattro persone.

Dan Bunten Berry ha anticipato di decine di anni i concetti alla base di strutture come PSN o XBox live; viene spontaneo chiedersi con enorme tristezza cosa avrebbe potuto inventare oggi.