lunedì 30 giugno 2014

Green Beret - Konami, 1985

Si parlava del *bellissimo* speciale Soldier On con un paio di amici che seguono questo blog, oramai aggiornato ogni morte di Papa (sgratt sgratt n.d.Francesco).

"Te sei scordato Thundercade", commento lapidario.

Oh, serio, ho inserito un paio di esponenti della sacra scuola del catrame, ma davvero Thundercade per NES?
Della Microids, gli stessi della conversione di Ikari Warriors, tanto per farci più male.
Con la sua palette così smorta e pallida da farti alzare e controllare la sintonia del televisore, rifilandogli un paio di pugni aggiusta tutto vecchio stile.
Dai, è uno speciale che non si propone di coprire proprio ogni sparacchino guerrafondaio, altrimenti per NES avremmo dovuto spendere due righe anche su Mechanized Attack. La risposta SNK a Operation Thunderbolt (yup, anno 1989, qualche mese prima di Beast Busters), qui priva del secondo giocatore e della spettacolarità dell'originale.

No, in realtà dove la memoria ha miseramente fallito è stato nel caso di Green Beret.

Come dimenticarlo? Sì, non è uno sparatutto, non sempre per lo meno, ma, se P.O.W. è stato trattato, allora il berretto verde di Konami meritava senza dubbio almeno una menzione. Faccio ammenda ora, con un post tematico; il terzo capitolo di Soldier On arriva presto, ma stavolta ci dedichiamo a baionette, titoli ambigui e conversioni incredibili. In tutti i sensi.

Green Beret esce in sala giochi nel 1985, ed è subito festa. Perché se torni dal cinema dopo la visione di Rambo II e Commando, casualmente pubblicati lo stesso anno, allora inserire le duecento lire in un gioco che ti permette di accoltellare un'intera armata nemica è un atto quasi automatico. Missione di salvataggio lungo quattro livelli senza possibilità di continuare, Green Beret si muove sullo stesso hardware che ci darà, l'anno dopo, Jail Break e Mr. Goemon.


Da vero duro, il nostro berretto verde senza nome si getta nella mischia armato solo di un coltello, con la possibilità, però, di recuperare armi extra seccando appositi nemici. Questo è un po' un punto critico, dato che l'arma extra può essere sparata all'occorrenza grazie ad un secondo tasto, relegando però il salto alla pressione in alto del joystick, una scelta tanto comune (e quasi obbligatoria, vista la diffusione dei joystick a tanto singolo) sugli home computer quanto inusuale in sala giochi.

Questo porta a momenti di involontaria frustrazione quando si prova a saltare nei pressi di una scala, solo per afferrarla involontariamente e rimanere indifesi: lasciate perdere i soldati nemici, i mortai o i proiettili vaganti, in Green Beret il nemico numero uno del giocatore esperto è il maledetto modo con cui hanno deciso di fare saltare il nostro uomo d'azione.
Ho sempre pensato che in sala giochi un sistema à la Castlevania avrebbe giovato tantissimo, ma non avrebbe favorito particolarmente le inevitabili conversioni casalinghe, costrette a usare un tasto extra, solitamente la barra spaziatrice, per l'arma secondaria.

Sì, Green Beret è sempre stata una conversione problematica, una che ha interessato i soli sistemi a otto bit, e ce n'è per tutti i gusti. Alcune, come quelle per Atari 800 o BBC Micro, sguazzano nel pantano del "completamente sbagliato", vuoi per l'inesistente raggio d'azione della baionetta nel primo caso, vuoi per la scelta di colore folle nel secondo, in un gioco in cui l'identificazione visiva del nemico ha un ruolo fondamentale.

Un raggio d'attacco praticamente inesistente su Atari...
...e una scelta cromatica inutilmente psichedelica su BBC Micro.
Ce ne sono sostanzialmente di tre tipi: gli avversali "normali" corrono imbolsiti per i fatti loro, tirando dritto per la loro strada; quelli armati, invece, ci inseguono, salgono scale e fanno di tutto per trovarsi in linea di tiro e far fuoco. Dulcis in fundo, una terza tipologia si è bevuta il cervello a furia di film di arti marziali, e attacca con calci volanti: va sconfitta con un colpo in salto, uattà! È quindi vitale che la coordinazione occhio-mano funzioni al meglio, individuando immediatamente le minacce e stabilendo priorità di attacco, per assicurare che la corsa verso la fine del livello proceda senza problemi.

L'Amstrad CPC, come da copione, propone una versione coloratissima ma con uno scorrimento orizzontale "a spinta" che si sposa davvero male con l'intensa azione di Green Beret, mentre una certa lentezza di fondo aggrava ulteriormente la situazione.

Colorato ma "rozzo" su Amstrad.
Su Commodore 64 una colonna sonora di Martin Galway saluta gli eroici giocatori, mentre la grafica di Stephen Wahid (un veterano per quanto riguarda i titoli Konami sulla macchina Commodore, da Gryzor a Ye Ar Kung Fu) è un filo blocchettosa, tuttavia colorata e riconoscibile.

A questo si aggiunge uno scrolling sopraffino che restituisce un'azione appagante senza rallentamenti e incertezze. Peccato che il gioco sia difficile; molto, molto più difficile rispetto al coin-op.

Un classico a otto bit.

I nemici sparano tanto e a bruciapelo, senza quindi prendere la mira per un attimo come accadeva in sala giochi, mentre i proiettili schizzano come schegge. A questo si aggiunge quel problemino comune lì, quello della barra spaziatrice di cui parlavamo poco fa, ma l'assenza di multi caricamenti molesti è un ulteriore incentivo per stringere i denti di fronte a una conversione più che buona.

Un'altra davvero encomiabile è quella per Spectrum, scritta dal leggendario nonché compianto Jonathan "Joffa" Smith, autore del fantastico adattamento di Cobra nonché vera leggenda nell'universo ludico della macchina di Sir Sinclair.

Sempre nel cuore, Joffa.
Anche qui l'assenza di multiload è una manna, mentre l'azione ha il ritmo giusto, decisamente meno punitiva che su C64; Joffa meritava appieno la sua fama e riuscì a rendere il tutto perfettamente giocabile anche nella parziale monocromia. Per distinguere i soldati karateka dagli altri e avvisare il giocatore che un calcio volante era in dirittura d'arrivo, questi eseguivano dei saltelli in corsa prima di sferrare l'attacco!

Apro e chiudo parentesi, ho sempre adorato le trovate di grafici e programmatori per ovviare alla monocromia dello Speccy, vedi i due lottatori extra di Fist Plus, differenziati dal cappellino e dalla barba.

Quando il colore scarseggiava, si ovviava altrimenti.

Il peggio del peggio? Facile, quella per MSX. Il che è incredibile, perché Konami era la regina incontrastata del software di qualità per il computer di Kazuhiko Nishi. Solo che questo fu il primo e unico lavoro affidato alla sede inglese di Konami, con risultati disastrosi.

È tutto sbagliato, tutto.

Sprite monocromatici e lillipuziani, area di gioco striminzita e tagliata nella metà superiore da una barra di stato tanto immensa quanto inutile, scorrimento lento e scattoso, ritmi sballati: il salto in avanti del nostro personaggio copre un paio di pixel, costringendoci a numeri da circo anche solo per scavalcare una misera mina, mentre i soldati "salterini" attaccano in volo occasionalmente, compromettendo il ritmo dell'originale.

Quanto? Io che finisco il coin-op e termino la versione Famicom con una vita riesco a stento a superare il primo livello, con le sei vite in dotazione.

Tremendo, con i carri armati sullo sfondo a forma di ceppa.

Colpa anche della presentazione audiovisiva, che ambisce al rango di tortura cinese a otto bit: nel caso un improbabile campione intergalattico di masochismo riuscisse a resistere all'incedere stentato del berretto verde, troverebbe comunque pane per i suoi denti di fronte all'atroce traccia audio. In sala giochi (e nella maggior parte delle conversioni) questa è rappresentata da una marcia militare e lo stesso accade qui, solo che si tratta di un loop di quattro secondi ripetuto all'infinito, che violenta la corteccia cerebrale in tempo zero.  
La storia racconta che Jail Break doveva vedere la luce su MSX, convertito sempre da Konami Europe, ma non se ne fece nulla dopo aver visto il risultato portato a casa da Green Beret.

Per aggiungere sale sulla ferita, è obbligatorio usare anche qui la barra spaziatrice per attivare l'arma secondaria, nonostante, nel caso dell'MSX, i pad a doppio pulsante fossero oramai uno standard accettato e sfruttato, come nel caso di Jaleco e della sua conversione di Exerion.

Che poi l'ho considerata la versione peggiore perché dietro c'era l'imperdonabile firma di Konami, ma se ne volete una davvero INCREDIBILMENTE BRUTTA, allora non potete sbagliare con quella per Commodore 16 / Plus 4.

Quando pensavi di aver visto tutto...
Non c'è scorrimento del fondale, non ci sono armi extra, non c'è sonoro a parte un mini peto che dovrebbe rappresentare una coltellata, il berretto verde non si può abbassare, tutto sembra un'opera amatoriale in Basic e, per non farci mancare niente, i livelli sono collegati da un pratico multi caricamento.

Su Famicom, Green Beret nasce su Famicom Disk System solo per essere traghettato su cartuccia per il mercato occidentale, con il titolo di Rush 'n Attack: la morte sua, nel clima di guerra fredda degli anni Ottanta. È una conversione più che buona: la giocabilità dell'originale è replicata magistralmente anche grazie al pad del NES, e sono stati aggiunti un paio di livelli in più.

Il secondo livello della versione Famicom, che sostituisce il porto del coin-op.

Nella fattispecie, questi consistono un un aeroporto militare con una squadra di soldati in jetpack alla fine e un hangar missilistico dove eliminare l'arma segreta del nemico, cambiando quindi l'obiettivo finale. Tra le altre aggiunte figurano delle aree sotterranee da scovare colpendo particolari zone del terreno per rivelare scalinate nascoste, un po' come accadeva in Senjou no Okami per NES.
Queste non brillano per varietà dei fondali, ma offrono uscite con cui raggiungere particolari aree del livello in corso, nonostante la mancanza di indicazioni costringa inizialmente a andare a caso, facendoci sbucare, a volte, prima dell'ingresso imboccato!

Tanto per calcare la mano, il Tom Selleck wannabe sulla copertina della versione americana si staglia contro le guglie di quella che sembra la cattedrale di San Basilio. In fiamme.

Ci sono però un paio di mancanze qua e là, non fondamentali, ma che comunque fanno storcere il naso: per esempio sono assenti i nemici che strisciano sul terreno (presenti invece su C64), alla fine del primo livello non arriva la camionetta con i rinforzi, non c'è il lanciafiamme (sostituito da un bonus rarissimo che conferisce qualche secondo di invulnerabilità) e le unità cinofile alla fine del terzo stage (il secondo in sala giochi) non compaiono, lasciando il lavoro sporco alla muta di cani che, tra l'altro, non ha più lo schema di attacco alto-basso, limitandosi a mordere rasoterra. Come extra c'è una colonna sonora "vera" al posto della marcia militare, mentre una nuova presentazione ci accoglie, con il berretto verde (stranamente blu in questa versione) che viene paracadutato di notte dietro le linee nemiche.

Ci sono un paio di sostanziali differenze tra la versione giapponese e quella occidentale: nella prima è possibile continuare la partita tre volte e, una volta persa una vita, si ricomincia sul posto, invece di venire rispediti indietro di qualche schermata. Le armi extra, però, elargiscono un solo proiettile alla volta al posto di tre, ma è possibile accumulare le munizioni raccogliendone altre.

Alla faccia del NES, il seguito di Green Beret arriva però in esclusiva sulle macchine a otto bit, tiè!

Sì, vabbè, ciao.
No, non è vero.

Un po' come per i seguiti farlocchi di Renegade e per l'atroce Strider II di US Gold, Ocean possedeva ancora i diritti casalinghi di Green Beret nel 1988 e pensò (male) di pubblicizzare il suo The Vindicator come seguito dell'arcade Konami.
Peccato che non c'entri assolutamente nulla: Vindicator è un gioco noioso diviso in tre parti, nella maniera peggiore e meno saggia possibile.

Azione e dinamismo come se non ci fosse un domani. Yawn!
 Il primo livello è infatti un labirinto SOPORIFERO (con le maiuscole di rito) annegato in un complesso alieno dalle pareti rigorosamente identiche, racchiuso in un'area di gioco grande come un francobollo. L'azione vera e propria è tenuta in ostaggio dagli altri due caricamenti, con sezioni sparatutto a scorrimento verticale, alla guida di un jet, e orizzontale nei panni del Vindicator del titolo, in una sorta di Contra dei poveri.
Gran bella colonna sonora di Jonathan Dunn, ma il labirinto iniziale è una seccatura letale, mentre le sezioni sparatutto non offrono nulla di memorabile. Per lo meno possono essere raggiunte direttamente, zitti zitti, con i codici HOPPENHEIMER e ENOLAGAY...

Il vero seguito del gioco arriva nelle sale giochi nel 1989, e non se lo fila nessuno.  
Perché oh, nel 1989 escono Indiana Jones and the Last Crusade, Shadow of the Beast, Strider, Dungeon Master su Amiga e Project Firestart; sai chi aveva voglia di approfondire M.I.A. (Missing in Action)...
La novità principale è il gioco contemporaneo in due, mentre la possibilità di continuare la partita e il respawn immediato dopo aver perso una vita rendono l'esperienza più accessibile. Ora possono essere messe da parte differenti tipologie di armi, intercambiabili tra di loro con la pressione di un terzo pulsante. I livelli sono più ampi, vantando una verticalità maggiore in virtù di costruzioni da scalare più imponenti e passaggi sotterranei, esplorabili facoltativamente. È anche possibile strisciare per terra, tecnica utilissima, ad esempio, per avvicinarsi ad una postazione di fuoco. I nemici, infatti, sono più seri stavolta, mettendo da parte velleità marziali per passare al sodo, al comando di veicoli militari e mitragliatrici pesanti; tuttavia la difficoltà non è mai eccessiva, specie per chi si trovava a casa con il predecessore.

Niente di memorabile qui, circolare.
La grafica è appena sufficiente, con sprite poco caratterizzati e elementi del fondale che a volte sfiorano il ridicolo, come gli Hercules nani sulla pista di decollo nel secondo livello. A questo si unisce una palette pallida e anonima con animazioni a volte ridicole, come nel caso degli sprite principali che non hanno una standing pose e, se fermi sul posto, rimangono congelati nell'ultimo fotogramma. Preso tra il fuoco incrociato dei mega cabinati SEGA e della nuova CPS1 di Capcom, M.I.A. è passato praticamente inosservato e, anche per questo, non è stato convertito per nessun sistema casalingo.

Una bella versione di Green Beret da spararsi rilassati a letto o sotto l'ombrellone, mentre digerisci l'anguria? La versione per GBA, ospitata nella Konami Arcade Game Collection (2002) assieme a Ye Ar Kung Fu, Gyruss, Frogger, Scramble e Time Pilot, offre una conversione ottima con gioco cooperativo (a patto di avere due GBA e due cartucce, ovviamente) e la possibilità di affrontare i livelli extra visti su Famicom inserendo il Konami code!
Dulcis in fundo, si salta finalmente grazie a un pulsante apposito: ci sono voluti diciassette anni, ma ce l'abbiamo fatta.

Essendo un titolo diffusissimo sugli otto bit, Green Beret si beccò la sua dose di ammirazione & emulazione. Bazooka Bill (1986) della Melbourne House ha lo stile grafico rozzo e blocchettoso che ti aspetti dalla produzione della softco, vedi Street Hassle o Doc the Destroyer, con una colonna sonora iperattiva scritta da Neil Brennan, autore, tra l'altro, dell'accompagnamento sonoro del classico Asterix and the magic cauldron. Il titolo non si prende eccessivamente sul serio, con Bill che inizialmente elimina i nemici tirando pugni giganteschi, risultando in una variante caciarona e caricaturale dell'arcade Konami.


Quello che lo frega è lo schema di gioco, che cerca di unire l'azione guerrafondaia all'esplorazione. Anche qui ci sono numerose scale, e Bill deve salire o scendere nel punto giusto per andare avanti, altrimenti la porzione di livello che sta attraversando verrà riproposta in loop. Si tratta quindi di andare a tentativi, scoprendo mano a mano dove passare per poter proseguire. L'aspetto spartano e grezzo si riflette nelle sezioni sparatutto che spezzano l'azione a terra e mettono Bill alla cloche di un jet, alle prese con caccia e elicotteri disegnati, anche loro, in maniera tristemente "edilizia" (cit.).


Che poi il bazooka del titolo va preso e conservato per il quarto e ultimo livello: il generale MacArthur (l'ostaggio che deve essere salvato da Bill, anche se è alto quasi come tutto lo schermo e potrebbe quindi prendere a sberle da solo l'intera armata nemica) è guardato a vista da un plotone di carri armati che possono essere eliminati solo grazie alla suddetta arma, in grado di scatenare un effetto stile smart bomb.