martedì 18 dicembre 2018

Quello lì parla di Armalyte nel calendario dell'avvento, quindi andiamo di Thalamus. AKA: che palle, è già arrivato il momento di aggiornare annualmente il blog.

Quando pensi al Commodore 64, pochi publisher vantano un catalogo di successi simile a Thalamus. È l’insieme di tanti fattori, il punto d’incontro tra sviluppatori straordinari e una realtà, quella della Newsfield, che in quegli anni era diventata sinonimo di videogiochi in Inghilterra. Verso la metà degli anni Ottanta Roger Kean si trovava infatti bombardato da un non troppo velato suggerimento: che si tratti di programmatori, degli stessi redattori di Crash! e Zzap! o dei semplici avventori che incontrava alle fiere di settore, tutti erano convinti che il debutto della casa editrice di Ludlow nel proficuo mercato del software sarebbe stato un colpo da maestro, destinato a popolare gli scaffali dei negozi di videogiochi con un’etichetta tanto riconoscibile quanto le iconiche riviste che sfornava mensilmente.

Un progetto che però portava con sé numerose incognite.

Prima di tutto l’affidabilità delle future recensioni, considerato che la EMAP (la rivale di Newsfield) era già stata criticata per i punteggi presumibilmente “gonfiati” elargiti a giochi dell’etichetta interna Beyond da parte della loro C+VG. Poi, bisognava mettere assieme una squadra, composta non solo da programmatori capaci di scrivere software di qualità quindi, ma anche da professionisti con la dovuta conoscenza del settore.
Nel primo caso, Newsfield riuscì a mantenere separate le due realtà sufficientemente bene, senza (quasi) mai spingere sui voti e concedendo carta bianca ai suoi recensori, purché questi avessero sempre giustificato chiaramente i loro pareri. Celebre sotto questo punto di vista la recensione di Delta (1987), con un Gary Penn particolarmente inviperito che da solo fruttò al gioco di Stavros Fasoulas un controverso 74%, alla faccia dei commenti entusiasti di Rignall e soci.

"Daje Stavros", diceva Julian...

...Gary, d'altro canto, la pensava diversamente.
Per quanto riguarda la squadra di esperti, questa venne messa assieme unendo le conoscenze dell’ex PR manager di Activision Andrew Wright - visitatore abituale degli uffici di Zzap! - con la competenza del membro della redazione Gary Liddon, precedentemente programmatore alla corte di Domark e in possesso del know-how necessario per donare carattere e valore alla neonata software house. Come ciliegina sulla torta vanno ricordate le splendide copertine dei giochi, realizzate dal leggendario Oliver Frey, assieme al celebre logo, un enigmatico volto descritto dallo stesso disegnatore come “determinato a vincere, con lo sguardo fisso verso il passato e il futuro”.


Era tutto pronto, compresi i nuovi uffici affittati a Londra nello stesso stabile che ospitava la redazione di LM Magazine, ennesima testata di Newsfield, stavolta dedicata al mondo dell’entertainment a tutto tondo con uno spettro di argomenti che abbracciava, tra le altre cose, film, letteratura e salute, purtroppo chiusa dopo soli quattro numeri.
Mancavano solo i programmatori, ma il solito, guardingo Rignall ne scovò uno eccezionale durante il PCW Show del 1986. Si tratta di Stavros Fasoulas , un eccentrico finlandese che asseriva di aver sottomano le routine necessarie per creare un nuovo capolavoro per Commodore 64, prontamente invitato a Ludlow al termine della fiera e messo all’opera con un continuo feedback da parte dei due Gary (Penn & Liddon), che lo avevano “adottato” nell’appartamento dove erano coinquilini.
Il gioco era Rainbow Warrior, un titolo dato da Stavros in onore dell’iridescente fondale del livello bonus, in seguito ripensato a causa dell’affondamento dell’ammiraglia di Greenpeace da parte dei servizi segreti francesi nel 1985, che causò la morte del fotografo Fernando Pereira. 

Che poi un (orribile) videogioco chiamato Rainbow Warrior uscì davvero nel 1989...
Quindi il titolo venne cambiato in Sanxion, e rappresentò un inizio in pompa magna per Thalamus, con un’azione sparatutto rapidissima dotata dell’inedita possibilità di variare la velocità dello scrolling e di una singolare ripartizione dello schermo in due finestre, che visualizzavano l’azione dall’alto e orizzontalmente. Esaltato da un’ottima colonna sonora di Rob Hubbard, Sanxion era un titolo esemplare che sfruttava le possibilità della macchina Commodore per consegnare ai giocatori un’azione degna di un coin-op, tanto che la successiva conversione per Spectrum ad opera di Sofstorm Developments arrivò solo nel 1989, penalizzata da severi tagli tra cui spicca l'assenza della velocità variabile.

Che velocità Sanxion!

 Stavros era in formissima e, prima di tornare in Finlandia per il servizio di leva obbligatorio, contribuì in modo determinante alla reputazione di Thalamus realizzando altri due giochi fondamentali. Lo sviluppo di Delta (1987) iniziò subito dopo la conclusione di Sanxion, e anche stavolta Hubbard era della partita, scrivendo una colonna sonora ipnotica che prende ispirazione da On the Run dei Pink Floyd, un suggerimento gentilmente sussurrato da Liddon che, ai giorni nostri, richiamerebbe stormi di legali famelici. Il gioco vanta un’ottima grafica che trae ispirazione dal leggendario Gradius di Konami, assieme a uno schema di gioco rapidissimo ma non particolarmente intuitivo, che presenta un curioso sistema di armamento progressivo subordinato al punteggio del giocatore. Un punteggio alto permetteva di acquistare potenza di fuoco extra, ma i pickup che non potevano essere “pagati” divenivano letali ostacoli. Successo unanime invece per Quedex (1987), un puzzle game che deve il nome dal sottotitolo “the quest for ultimate dexterity”.


In movimento, la grafica di Quedex aggiunge spessore a un ottimo puzzle game.

Si controlla una sfera attraverso una decina di livelli, direttamente selezionabili all’inizio, e bisogna raggiungere l’uscita superando una serie di trappole come serrature, teletrasporti e salti. All’audio un ottimo Matt Gray, qui probabilmente al suo debutto in un gioco commerciale. Come già detto, Stavros Fasoulas sarebbe dovuto tornare in patria per adempire ai suoi obblighi, ma non si tratta dell’unica defezione: Andrew Wright tornò infatti all’ovile tra le braccia di Activision, mentre Gary Liddon emigrò in Electronic Arts per problemi economici maturati con la dirigenza di Newsfield

Thalamus aveva appena fatto in tempo a diventare un’etichetta prestigiosa nell’affollatissimo mercato a otto bit che già si trovava priva di alcuni tra i suoi più importanti membri, lasciando nelle mani del nuovo produttore Paul Cooper una bella gatta da pelare. In soccorso giunse dunque Martin Walker, eclettico programmatore che fino a quel momento non aveva avuto occasione di brillare, legando il suo nome ad alcuni titoli francamente atroci come l’adattamento di Back to the Future per Electric Dream, un gioco così brutto (nonché partorito a tempo di record, va ammesso) e confusionario che non capisci quello che succede sullo schermo nemmeno se guardi un walkthrough su Youtube. 

From zero...
Hunter’s Moon (1988) era davvero notevole, un mix tra sparatutto e rompicapo con centinaia di livelli divisi in decine di sistemi stellari, tutti inclusi nella memoria di un singolo caricamento. L’azione su schermo viene generata preceduralmente, con due cellule che creano mano a mano “mattoni” d’energia destinati a soffocare l’area di gioco e limitare la mobilità della nostra astronave. Grazie al fluidissimo scorrimento multidirezionale è possibile districarsi nei mutevoli labirinti abbattendo le pareti e raccogliendo un sufficiente numero di unità di energia con cui guadagnare l’accesso al livello successivo; i più abili possono mirare a massimizzare il bottino entro uno stretto limite di tempo, ottenendo in premio un lasciapassare per gli stage avanzati.

... to hero. Con centinaia di livelli e un vellutato scorrimento multidirezionale, Hunter's Moon consacra Martin Walker.
Un gioco sicuramente originale, tanto particolare che Zzap! concesse un diario mensile (A modo mio, nell'edizione italiana) a Martin, in modo da fargli descrivere le gioie e i dolori della programmazione del suo virgulto. Il titolo successivo causò polemiche un po’ ovunque, senza disdegnare gli italici lidi. Hawkeye (1988) è realizzato dalle ex star della demoscene Boys Without Brains, e si tratta di un arcade a scorrimento orizzontale tecnicamente inattaccabile in cui una SLF (Synthetic Life Form, un cyborg da guerra a torso nudo inalberato come un’ape) deve raccogliere quattro chiavi nascoste in ogni livello, prima di procedere al successivo. Lo schema di gioco lineare viene bilanciato alla grande da quattro armi di diversa potenza, uno squisito parallasse, sprite nemici giganteschi, colonna sonora di Jeroen Tel remixabile durante il caricamento e un’introduzione incredibile, con il volto di un ambasciatore alieno intento a narrare il declino del suo popolo e le motivazioni per l’utilizzo della SLF. Chiamata in origine "Talk to me", venne scritta dai ragazzi senza cervello prima ancora del gioco vero e proprio.

Semplice da giocare, e parecchio divertente.

Purtroppo la semplicità dello schema di gioco non andò a genio alla redazione rivale, e C+VG punì il titolo con un insensato tre su dieci nel numero di Settembre 1988.
D’altro canto, il 96% concesso da Zzap! finì al centro della polemica quando Gordon Houghton ammise che quella Medaglia d’Oro era stata un premio decisamente esagerato, frutto della volontà di premiare un gioco tecnicamente massiccio da parte dei piani alti: una proposta difficile da rifiutare a inizio carriera. A onor del vero non si trattò di un vero e proprio ordine, quanto di un semplice consiglio: il giovane Gordon cercò però di accontentare un po’ tutti, e il risultato lo conosciamo. In un'ipotetica lotta che vede contrapporsi i voti al vetriolo di C+VG e la generosità di Gordon, va detto che in Italia ci beccammo il meglio dei due mondi, con la recensione sull’edizione nostrana di Zzap! tradotta direttamente dalla versione inglese, con l’aggiunta di un piccolo ma importante box. Era (da pronunciarsi con voce rigorosamente fantozziana) la mannaia del Caporedattore Mascherato, l’alter ego dell’ottimo Fabio Rossi che puntava il dito contro il presunto plagio del gioco ai danni di Obliterator di Psygnosis.

Click to Caporedattore Mascherato.

Un paragone quantomeno dubbio: i presunti, incriminanti punti in comune erano la presenza di quattro diverse armi e di un protagonista cyborg chiamato a salvare una civiltà sull’orlo dell’estinzione.

Tralasciando ovvimente il fatto che Hawkeye era un arcade frenetico, mentre Obliterator un’avventura lentissima incentrata sull'esplorazione di un enorme vascello alieno, dove sparatorie, salti e piattaforme venivano gestiti via mouse.

What?
Laurens van den Donk dei Boys Without Brains se ne sarebbe fregato delle elucubrazioni di un folle italiano e avrebbe riproposto lo schema di gioco identico e spiccicato alla corte di System 3, nel gioco di piattaforme Flimbo’s Quest; tuttavia, se tanto mi da tanto, l’abbuffata di cloni di Street Fighter 2 negli anni Novanta avrà probabilmente fatto esplodere il fegato del Caporedattore Mascherato come un fuoco d’artificio.

C’è da dire però che il buon Rossi non aveva tutti i torti quando scatenava la feroce critica del suo lato supereroistico. Il mese prima, l’avvento di The Great Giana Sisters di Rainbow Arts aveva spinto Nintendo a scoraggiare la vendita del gioco a causa della similitudine con Super Mario Bros., creando il falso mito di una presunta causa mossa contro gli sviluppatori tedeschi. Quello dopo, invece, lo sparatutto Katakis (sempre Rainbow Arts) aveva fatto impazzire i radar della nervosissima Activision/Mediagenic. Possessore dei diritti per le versioni domestiche del campione d’incassi R-Type, la software house fondata da David Crane era pronta a spedire sciami di avvocati verso qualunque gioco ricordasse in qualche maniera il blockbuster Irem.
Una sorta di lotta contro i mulini a vento, considerando che gli sparatutto a scorrimento orizzontale erano un genere caldissimo alla fine del 1988, tanto più che Dan Philips, John Kemp e Robin Levy non erano neppure interessati alla lotta biomeccanica contro l’Impero Bydo quando misero assieme un team di sviluppo chiamato come una cattivissima megacorporazione cinematografica
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Queste .gif non rendono giustizia alla flidità del gioco, però dai, quanta bella roba muoveva Armalyte...
I ragazzi di Cyberdyne Systems, infatti, erano grandissimi fan di Salamander, tanto che si proposero per l’eventuale conversione allo stand Konami durante una fiera del settore. Dopo la doccia fredda derivata dal fatto che i diritti erano finiti nelle mani di Imagine (tra l’altro mettendo al timone del progetto un team di soli assi composto da Peter Baron, Bob Stevenson e Mark Cooksey), il gruppo bussò alla porta di Thalamus sotto consiglio dell’onnipresente Julian Rignall, conosciuto alla stessa manifestazione.
Armalyte richiese nove mesi di lavoro prima di vedere la luce, concepito inizialmente con nomi quali ManoWar o Starburst. Nove lunghi mesi durante i quali i Cyberdyne Systems lavorarono assieme all’ottimo Martin Walker per quanto riguarda il reparto audio, e giocarono a fondo la loro creatura limando al meglio la difficoltà fianco a fianco con Rignall che, in quanto campione britannico di Defender, sapeva il fatto suo in ambito sparatutto.

Al momento del debutto, al gioco venne anche appioppato il sottotitolo “Delta 2” per attirare una maggiore fetta di pubblico, una decisione che sollevò qualche screzio nel team. Il risultato però rimane eccellente a distanza di anni, consegnando alla storia quello che, probabilmente, rappresenta il pinnacolo del genere per Commodore 64, con una presentazione audiovisiva di alto livello e una eccellente modalità di gioco cooperativo dove l'astronave del secondo giocatore non è un semplice color swap di quella principale, ma vanta uno sprite completamente diverso.
Il seguito avrebbe dovuto offrire, tra le altre cose, nuove armi e negozi  in cui investire preziosa valuta stellare, ma non se ne fece nulla quando la squadra salutò Thalamus per grane riguardanti le scarse royalties ricevute, e emigrò dalle parti di System 3 per creare Deadlock, uno dei più ambiziosi, incredibili e conseguentemente tristi vaporware mai scritti per Commodore 64.

Forse l'ultimo gioco su cui ho scommesso fino in fondo per il sixty-foro.
Lo Spectrum, del resto, rimase a bocca asciutta dato che il capitolo originale non si palesò mai sui suoi schermi, nonostante una promettente demo venne allegata alla rivista Your Sinclair.

Esiste una versione a sedici bit chiamata Armalyte: The Final Run, realizzata però da Arc Developments e complessivamente molto diversa dall’originale. C’è da dire che i giochi Thalamus raggiungevano alti livelli qualitativi su Commodore 64, ma fallivano nel replicare il successo su piattaforme più performanti. Il geniale Quedex arriva su Amiga nel 1988 con il nome Mindroll a cura di Silent Software (ma con il nome di Stavros Fasoulas ben in vista nello schermo dei titoli) assieme a Hawkeye, spogli dello stupore che sapevano evocare su otto bit; in entrambi i casi l’accoglienza della critica è tiepida, eufemisticamente parlando.

Impossibile replicare lo stesso successo su Amiga, con una roba simile.
Bisogna tornare all’ovile, dove i fratelli John e Steve Rowlands realizzano il massiccio Retrograde(1989), forti dell’ottima impressione iniziale ottenuta in seguito al platform Cyberdyne Warrior, apparso nella compilation 4th Dimension a cura di Hewson Consultants. Retrograde fa della potenza di fuoco il punto di forza, con un guerriero in jetpack lanciato all’assalto di mondi a scorrimento orizzontale dove fare incetta di cristalli con cui comprare tonnellate di armamenti, da distribuire e potenziare nelle sedici bocche di fuoco che circondano la tuta.

Cyberdyne Warrior è praticamente il prototipo di Retrograde...
Immensi guardiani di fine livello e curiose sezioni picchiaduro a scorrimento verticale (a tutti gli effetti una versione avanzata di Cyberdyne Warrior) completano il pacchetto, presentando alla ludoteca dell’otto bit Commodore uno dei suoi titoli più impressionanti, da recuperare a tutti i costi.

... o almeno nelle sezioni in cui ci si picchia con gli alieni.

Sotto il vessillo Apex Computer Productions realizzano quindi per Thalamus nel 1990 un altro successo coi fiocchi, ovvero C.R.E.A.T.U.R.E.S., acronimo per Clyde Radcliffe Exterminates All The Unfriendly Repulsive Earth-ridden Slime. È uno degli ultimi grandi titoli per Commodore 64, un gioco di piattaforme cute che fa il verso a coin-op Taito come Mizubaku Daibouken o The New Zealand Story  (il protagonista Clyde utilizza un’attrezzatura da sub simile a quello del kiwi Tiki nelle sezioni sottomarine), con l’aggiunta di sano humor nero. Alla fine di ogni livello, Clyde deve salvare uno dei suoi pelosi amici da una stanza delle torture, dove improbabili macchinari griffati Acme faranno di tutto per fare a pezzi il povero prigioniero. Presse, motoseghe e abbondanti bagni di sangue creano un particolare contrasto con la natura puccettosa del titolo, mentre un sistema di potenziamento acquisibile in un negozio previa collezione di mostriciattoli da cuocere e combinare mantiene alto l’interesse.

Quando l'elevatore sulla destra arriverà in cima, il peloso amico verrà fatto a pezzi da una motosega!
I Rowlands provarono a replicare il successo con un seguito sottotitolato Torture Trouble incentrato principalmente sulle stanze delle torture con preziosi & psicopatici input da parte del fan Andy Roberts, all’epoca responsabile dei trucchi per la rivista Commodore Format, tuttavia il gioco esce nell’estate del 1992, ovvero il momento in cui i videgiocatori pensano solo ed esclusivamente alla versione per Super Famicom di Street Fighter 2, vendendo vecchi computer a otto e sedici bit come noccioline pur di avere denaro sonante da barattare in cambio di console giapponesi foriere di hadoken.

Ci sarebbero ancora tantissimi titoli di cui parlare, ma il tempo che dedico annualmente al blog è tiranno e abbiamo coperto l’epoca d’oro di Thalamus egregiamente, pronti ad affrontare la sua dipartita, in seguito alla bancarotta di Newsfield nell’autunno del 1991. Pochi titoli come il già citato seguito di C.R.E.A.T.U.R.E.S. e lo squisito platform Nobby the Aardvark riuscirono a vedere la luce dopo l’infausta data, mentre la compagnia lottava fino alla fine, stringendo alleanza con l’etichetta economica Kixx per battere cassa, ripubblicando vecchi successi in formato budget. È un peccato  per una software house tanto prestigiosa che il titolo finale sia stato S.U.B. per Amiga, un gioco di strategia mai pubblicato causa fondi, tuttavia tristemente recensito da Amiga Power con un mesto 62%.