mercoledì 17 luglio 2013

Project X Zone - Monolith Soft, 2012

Nel 2005 esce Namco X Capcom, crossover tra i personaggi delle due softco giapponesi per il quale sfondai i cogli coinvolsi nel mio entusiasmo buona parte degli utenti del forum di TGM. Come resistere, poi? Le anteprime sapientemente distillate dai ragazzacci della Monolith erano irresistibili in un tripudio di citazioni, grafica bidimensionale e combo assurde dall'inequivocabile impronta nipponica delle grandi occasioni.
Poi arrivò il momento di mettere le mani sul titolo, e i dolori furono evidenti dopo un solo giorno di gioco matto e disperato.

Opa Opa & Harrier = WIN.

Chiariamoci: presentazione e botte esagerate erano al proprio posto belle come promesso, ma erano contornate da problemi piuttosto gravi. Prima di tutto il gioco era semplice, troppo semplice. Per essere uno strategico a turni di scuola nipponica era fin troppo permissivo, con la possibilità di utilizzare un numero infinito di oggetti curativi all'inizio del turno, evitando quindi di rimanere con le spalle al muro. Questi poi venivano elargiti in quantità industriale durante i combattimenti, annullando il rischio di rimanere a secco. Poi c'è il delicato discorso del turno dei nemici, una delle cose più noiose mai affrontate durante la mia carriera di videogiocatore: per ogni colpo inferto contro le nostre unità, il gioco ci costringe ad un minigioco stile Simon, con direzioni da seguire con il D-Pad. Considerando che spesso le mappe sono soffocate da un numero esagerato di avversari, correre subito all'attacco è cosa buona e giusta per sfoltirne le schiere e dover sopportare un minore - ma nondimeno atroce - susseguirsi di attacchi nemici nel turno che seguirà.

Per finire c'è la struttura delle missioni che ricicla allo stremo la stessa identica formula, uccidendo il fattore sorpresa e spogliando gli scontri di epicità. Buona parte delle missioni ruota attorno all'uccisione di semplici nemici prima della comparsa di boss ricorrenti, che torneranno a farsi vivi più in forma che mai quanto prima. Eppure il sistema di combattimento era ed è vincente, con la sua formula a base di juggle, combo e attacchi speciali esagerati, e per questo ho voluto credere in fondo nel gioco, contribuendo come playtester alla sua traduzione non ufficiale ad opera di TransGen. Buona parte del fascino di Namco x Capcom deriva infatti dal fan service, e senza la fruizione di dialoghi e storia quel che rimane è un prodotto tristemente deludente.

Usare la totalità delle mosse a disposizione durante l'attacco ne fa guadagnare una extra con cui continuare l'offensiva. Colpire i nemici nell'istante prima che tocchino terra frutta danni critici & maggiorati.

Evidentemente a qualcuno è piaciuto, e Project X Zone si candida come successore spirituale del primo crossover, aumentando nel contempo il numero degli invitati: non più solo personaggi presi dalle scuderie Namco e Capcom quindi, ma anche eroi provenienti dalle lande di SEGA e Banpresto. Stavolta però ci becchiamo direttamente una bella traduzione ufficiale, sebbene distante parecchi mesi dall'uscita ufficiale giapponese, quindi se trovate refusi qua e là NON è colpa mia.

Partiamo dalle buone notizie: l'allegra baraonda che aveva reso unici gli scontri di Namco X Capcom torna in grande spolvero, ancora più casinista di prima. Per i non addetti, le unità del gioco sono composte da due personaggi l'una, pronte a scatenarsi con una serie di attacchi a seconda della pressione del pulsante "A", da solo o assieme alle direzioni del D-Pad. Dopo ogni attacco il nemico viene lanciato in aria pronto per il successivo colpo, e così via: lo scopo è mantenere l'avversario sospeso in una continua juggle, danneggiandolo e nel frattempo caricando l'apposito indicatore (Attack Gauge) che, una volta raggiunto il 100%, potrà essere utilizzato per attivare un devastante attacco speciale. L'indicatore di cui sopra può essere usato anche durante il turno nemico, sacrificato in parte per ottenere protezione parziale o totale, oppure per contrattaccare l'avversario, utile quando questo ha poca energia.

Qui arriva subito la grande differenza rispetto al passato, ovvero le animazioni di attacco dei nemici che... non esistono più, almeno in parte. I cattivi "normali" infatti si limitano a infliggere danno senza il maledetto sottogioco stile Simon, snellendo le partite in maniera considerevole. Solo i boss hanno le loro belle sequenze di attacco con animazioni brevi ma curatissime. Ancora meglio, far fuori i nemici è diventata un'attività più rapida grazie alla possibilità di abbinare un personaggio di supporto alla coppia che compone ogni unità, che può essere chiamato in azione in ogni momento con la pressione del dorsale "L".

Questo livello è ispirato al vecchio coin-op SEGA Gain Ground: libidine!
Questi aiutanti entrano in scena, eseguono attacchi stilosissimi con tanto di primi piani e frasi ad effetto e contribuiscono a mantenere in aria l'avversario, rendendo più facile l'esecuzione delle combo.
Se si vuole esagerare sul serio, però, basta essere affiancati da un'unità alleata per richiedere un ulteriore supporto da parte della coppia amica, stavolta con la pressione del dorsale "R".
Il primo aiuto non preclude l'altro, quindi non è raro vedere un gran numero di sprite che affollano lo schermo e picchiano all'unisono i poveri nemici; va detto che le botte inflitte dai personaggi di supporto non incrementano l'Attack Gauge, ma il danno e lo spettacolo sono comunque assicurati senza rallentamenti di sorta.

La brutta notizia è che la narrazione è rimasta fossilizzata sul canovaccio adottato dal predecessore. Quasi ogni missione si svolge allo stesso modo, con i soliti boss che spuntano dopo un po' caratterizzati da un attaccamento alla vita invidiabile: puoi azzerare la loro vitalità quante volte vuoi, ma si ritireranno e tornerai ad affrontarli di nuovo dopo qualche livello, solitamente in un mare di sbadigli. Per lo meno alcune missioni spingono giù duro il pedale della citazione più sfrenata, tirando fuori omaggi di indubbio valore nerd; si va dai fondali pescati da questo o quell'altro gioco come la sala del trono di Dimitri a missioni tematiche ispirate a classici arcade come Gain Ground o Crackdown. Addirittura uno stage replica in chiave isometrica il primo livello di Daimakaimura in modo commovente, con tanto di chiave "for coming in" presentata da Arthur davanti al portone finale.

E sfortunatamente la difficoltà è sempre quella: bassa, bassissima, tanto che la vera sfida sarà vedere la schermata di game over. È scomparso il negozio presente in Namco X Capcom ma non se ne sente la mancanza, dato che gli oggetti curativi riposano nell'inventario in quantità smodata, sempre e comunque. Anche ora possono essere usati senza limiti all'inizio del turno di ogni singola unità, rimettendo in sesto, all'occorrenza, i punti ferita di tutti i personaggi prevenendo colpi fatali.

È un peccato, perché le migliorie implementate nel sistema di combattimento pongono Project X Zone un bel po' di passi avanti rispetto al predecessore, limitando tuttavia l'appetibilità agli appassionati di videogiochi giapponesi più hardcore che sapranno (nuovamente) stringere i denti pur di vedere Ryu e Jin picchiare Astaroth, lasciando passare difetti vistosi che Monolith non ha ritenuto importanti, a quanto pare.

Questi figuri (in fin dei conti il vero target a cui mira il gioco) troveranno quindi pane per i loro denti, seppure non particolarmente facile da mandare giù; anche solo i dialoghi esalteranno il nerd di un certo livello, che si divertirà come un matto a sperimentare, affibbiando personaggi di supporto a questa o quella coppia solo per leggere cosa si dicono tra di loro i vari eroi. Provate ad associare Zengar a Dimitri e Dante ad esempio, e vedrete l'ipertrofico vampiro tirare in ballo "un altro cacciatore di demoni con una spada assurda".
In linea di massima i personaggi coprono produzioni più recenti rispetto a quelli già visti in Namco X Capcom, quindi tanti saluti a vecchiacci come Gilgamesh (Tower of Druaga) o Taizo Hori (Dig Dug) dato che vi troverete al comando di parecchia carne fresca come i Senza Nome (Valkyria Chronicles 3) o la coppia Soma & Alisa da God Eater.

I personaggi provengono da circa trenta serie come Sakura Taisen, Virtua Fighter, Super Robot Taisen e Tales of Vesperia.
Fortunatamente è presente anche una buona quantità di volti storici, tutti immediatamente riconoscibili da chi vive di pane e videogiochi, come Busujima (Zombie Revenge), Bahn (Fighting Vipers) o addirittura Devilotte che, forte del suo background "robotico", si prende la briga di evocare nei suoi attacchi buona parte del mecha-lore di casa Capcom, con apparizioni di Kikaioh, dei Mobilesuit Alpha e Beta di Side Arms e dell'immancabile megapugno di Blodia. È comunque presente un'enciclopedia - richiamabile in ogni momento - con cui ripassare e scoprire il background di tutto il cast, tra buoni e cattivi.

Project X Zone è un gioco tanto facile da sconsigliare quanto da raccomandare senza riserve a seconda del giocatore. È un titolo appena sufficiente, ma è anche una coloratissima, giapponesissima rissa tra volti più o meno noti del videoludo che non può non esercitare una forte attrazione su coloro che vanno pazzi per queste cose.

Che poi abbiano anche la pazienza di non stancarsi dopo quaranta livelli fatti con lo stampino è tutto da vedere.