mercoledì 12 novembre 2014

And so this is Jagfest...

Per essere una macchina orgogliosamente a stelle e strisce, con tanto di patriottica bandiera americana in bella vista sulla confezione, l'Atari Jaguar vanta un'anima inequivocabilmente inglese. Nasce come Blossom, una console a metà strada tra i sedici e i trentadue bit nel 1989, sotto la supervisione di Richard Miller, in passato al lavoro sul Konix Multisystem. Dopo un brainstorming con Martin Brennan, suo ex collega di Flare Technology, il progetto venne rinominato Panther.

Perché le pantere sono animali fighi? No, non proprio.

Miao!

La moglie di Martin aveva comprato una Panther Kallista, ecco perché.

Solo che lì, nel vecchio continente, erano al lavoro sul Flare II, una macchina il cui punto forte era l'elaborazione poligonale, da Martin vista come il futuro. Atari si dimostrò immediatamente interessata e ricettiva, tanto che il Panther venne abbandonato a favore del nuovo progetto, ribattezzato Jaguar sempre per motivi automobilistici: il nome di una scuderia aglosassone tanto prestigiosa sarebbe stato il migliore auspicio per una console sviluppata in Inghilterra.
All'epoca Jack Tramiel in persona scrisse una lettera al famoso marchio automobilistico, chiedendo se non ci fossero problemi nell'utilizzo del nome.

Già che siamo in argomento, per fugare del tutto la credenza popolare che vuole la dirigenza Atari in fissa con i felini, il Lynx porta quel nome per richiamare la capacità di collegare più esemplari della console e giocare assieme.

Tornando al nostro Jaguar, la cosa più affascinante di una macchina tanto sfortunata (la storia commerciale la conoscete) è che i programmatori del vecchio continente apparivano inspiegabilmente più talentuosi rispetto ai colleghi americani. Questo semplicemente perché gli yankee erano abituati a programmare con i guanti grazie ai bios e alle interfacce di Apple II e Windows, ricorda David Wightman, il programmatore di Baldies. Gli europei in questo senso si erano fatti le ossa, sporcandosi le mani con l'assembly al livello più basso, dopo decenni di esperienza su computer a otto e sedici bit.
A tutti gli effetti, Jaguar è stata l'ultima macchina su cui un genio come Jeff Minter poteva scatenarsi senza i limiti imposti dai kit di sviluppo.

Eppure, gira e rigira, il Jaguar non lo trovi di solito nelle tante manifestazioni e/o serate dedicate al videogioco del passato. Sarà che la qualità degli emulatori è quella che è, sarà che la console ha questa reputazione di avere solo giochi brutti. Buona la seconda, direi.

Ecco, questo è un altro mito da sfatare. Super Burnout, i due Iron Soldier, Rayman, Tempest 2000, Aliens vs Predator e una signora conversione del richiestissimo Doom sarebbero qui a dimostrare che la ludoteca della macchina Atari era quantomeno dotata di una variegata scelta, ma a quei tempi, semplicemente, il pubblico voleva giocare altro.
Molti titoli erano conversioni frettolose di roba già vista sulle vecchie (e più accessibili) console a sedici bit, mentre se da una parte Playstation prometteva avveniristici universi poligonali, dall'altra Saturn era forte delle sue conversioni arcade in un'epoca in cui le sale giochi esercitavano ancora un fortissimo richiamo.

Un ottimo motivo per possedere un Jaguar.
Dopo un breve riassunto storico, passiamo ai fatti: nel primo fine setimana di Novembre si è tenuta a Forlì la terza edizione dell'Italian Jagfest, manifestazione dedicata principalmente alla console Atari di cui sopra, senza però escludere gli altri sistemi della casa americana e il videogioco del passato, in generale.

Personalmente non ero mai stato ad un Jagfest prima d'ora, una mancanza che dovevo colmare a tutti i costi.
Perché col senno di poi si tratta in effetti della manifestazione videoludica che più riflette il mio modo di vivere il retrogaming.

Il talentuoso Giamarco Esposito ha realizzato le locandine dell'evento, questa ispirata all'infame Communist Mutants from Space per Starpath.
Lontana dai riflettori di una Gamesweek qualsiasi, è un appuntamento di nicchia per un pubblico altrettanto di nicchia, affamato di quelle curiosità che non troverebbe altrove. Perché un Megadrive con Twinkle Tale te lo mette sotto il naso qualsiasi figlio di papà con un portafogli abbastanza capiente, ma davanti a un rarissimo (unico al mondo funzionante e ad alta risoluzione?) casco da realtà virtuale per Jaguar, beh, lì non c'è Mastercard che tenga.

Che poi non si tratta di un pezzo da museo tenuto sotto stretta sorveglianza. O meglio, avrebbe tutti i numeri per esserlo, di certo molto più di un Super Nintendo in una bacheca di vetro dalle parti di Roma, per intenderci; ciononostante l'ho potuto provare di persona giocando a Missile Command 3D, assistendo a una affascinante evoluzione a base di power up, boss e poligoni della formula originale che tanti incubi aveva causato al povero Dave Theurer. 

Gran gioco, ma provarlo con il visore è un'esperienza quasi esoterica.
Sebbene il gioco in sé sia facilmente recuperabile, non lo avrei potuto provare in nessun altro luogo al mondo con un simile, unico hardware dedicato. 

Ma non solo lui, la lista è invero lunga: ad esempio ho potuto giocare il tanto desiderato Double Dragon per Zeebo, creato dai Million Inc. (attuali possessori del marchio con il benestare di Kishimoto, nientemeno) ricalcando la formula dell'episodio Advance per GBA, così come il leggendario GORF per Jaguar CD, un homebrew ritirato in fretta e furia per una questione di diritti con Bally Midway nonostante la benedizione della creatrice Jamie Fenton (all'epoca Jay) in persona: una gioco impossibile da trovare se non con la giusta combinazione di fortuna e mazzette da cento euro.

Si tratta dell'unico adattamento comprendente il terzo livello ispirato a Galaxian (qui GalaxianS, errore di Fenton), tagliato fuori in tutte le altre conversioni a causa dei diritti per la distribuzione del coin-op Namco, allora in mano a Bally Midway e inopportunamente scaduti proprio quando il gioco doveva raggiungere i sistemi domestici.
L'unica versione con il livello "Galaxians", tagliata in passato per dei diritti scaduti un po' troppo presto....
Questo è un po' il punto di forza dei fratelli Pasquali (titolari del negozio Brain Fusion nonché organizzatori dell'evento) e della cricca di amici che hanno attorno. Un bel videogioco, per quanto raro, è lì per essere giocato e goduto, non per rimanere ad ammuffire dentro qualche cassaforte.

Si poteva provare tutto, la compagnia era appassionata e goliardica al punto giusto (sono videoGIOCHI, dopotutto) e l'hardware originale abbinato a vecchi CRT restituiva l'unico, vero feel retro che nessun emulatore su schermo LCD o proiettore potrà mai eguagliare.
E' un evento apparentemente cucito su misura attorno al retrogamer hardcore, ma, da quanto ho visto, anche i più giovani parevano divertirsi un mondo assieme alla banda di matti che si era riunita in quel di Forlì. Personalmente è stato un motivo per interessarmi allo studio dei computer a otto bit di Atari, e ho già iniziato a portarmi a casa qualche pezzo, desideroso d'amore informatico.

Una manifestazione che vale appieno il prezzo d'ingresso che, a scanso di equivoci, è assolutamente gratuito: mi rivedrete l'anno prossimo ragazzi, ché devo ancora giocare Tempest 2000 con lo spinner.

lunedì 29 settembre 2014

Once weren't rincoglioniti. A.K.A. le origini del Mac gaming.

A volte capitano brutte cose, tipo perdere un Sabato mattina accompagnando un (oramai ex) amico alla ricerca del nuovo iPhone. Sono spettacoli orrendi nonché degradanti, ma per lo meno mi permettono di passare a prenotare Forza Horizon 2 e di scrivere qualche riga sull'origine del videogioco su Mac.

Steve Jobs ha avuto fama di essere un uomo complicato da trattare. E se lo dice una leggenda come Nolan Bushnell, c'è da crederci. 
In una intervista al fondatore di Atari, Jobs viene ricordato come una testa calda con poca propensione per il gioco di squadra. Bushnell, in quel periodo, stava concettualizzando Breakout, maturando l'intuizione che una versione single player di Pong sarebbe stata infallibile, e nominò project manager il vulcanico Al Alcorn che, a sua volta, affidò a Jobs il compito di realizzarne un prototipo.  
Questa sarebbe stata l'unica alternativa al licenziamento, ricorda Nolan
Dopo aver incoscientemente annunciato di poter realizzare il prototipo in soli quattro giorni, trovò il deus ex machina per uscire da una simile situazione nel Grande mago di Woz.

Steve Wozniak, genio dell'informatica assolutamente unico nel suo genere nonché amico di Jobs, lavorava allora per la Hewlett-Packard. Portò a termine il lavoro senza dormire per quattro notti di seguito e senza aver idea di come funzionasse questo fantomatico Breakout, plasmando la primordiale argilla del videoludo solo attenendosi alla descrizione di Jobs
Sebbene il suo prototipo venne successivamente accantonato, poiché considerato inadatto per la produzione di massa dagli ingegneri della Atari, tutto ciò che venne creato, ponderato ed ottimizzato durante la creazione di Breakout venne riutilizzato come base per l'Apple II. 

Avrò scritto centinaia di migliaia di caratteri grazie all'influenza di questo computer sulle pagine di The Games Machine, parlando di una marea di game designer (basti ricordare Jordan Mechner che sviluppa Karateka e Prince of Persia originariamente per tale piattaforma) che hanno trovato il veicolo ideale per la loro immaginazione nell'accessibilità di Apple II, quindi stringo: il suo contributo all'informatica di consumo è assolutamente fondamentale, assieme al Tandy TRS-80 e al Commodore PET 2001, tutti e tre usciti nel 1977 e considerati la sacra “trinità”, i “Big Three” dell'alba degli 8 bit. Basti ricordare che l'apporto di Jobs fu radicale nel marketing della nuova macchina: egli desiderava renderla un oggetto cool, qualcosa che chiunque avrebbe voluto possedere, non solamente i nerd che popolavano gli Homebrew Computer Club

Le scatole portasigari dove le circuiterie dei computer amatoriali venivano frettolosamente contenuti dovevano diventare un brutto, rozzo ricordo, e si ispirò ai case dalle linee snelle e graffianti (per lo meno per l'epoca...) tipiche dei calcolatori della Hewlett-Packard. I computer dovevano trovarsi al loro posto assieme all'arredamento di casa, e per questo anche le semplici viti dovevano scomparire dall'estetica della nuova macchina

Possiamo quindi concludere che uno dei cavalli di battaglia della moderna Apple, ossia l'esasperata ricerca per il look dei propri prodotti, può essere ricondotta alla genesi di Apple II, computer, a sua volta, nato grazie al lavoro dietro Breakout, uno dei più classici tra i videogiochi
Tale estetismo venne portato all'ennesima potenza nello storico spot che annunciava, durante il Superbowl del 1984, la nascita del Macintosh. Una pubblicità visibile come easter egg nel cinema del primo livello della versione Mac di Duke Nukem 3d

David Graham è voce e volto del Grande Fratello nello storico spot.

Diretto da un Ridley Scott fresco dal successo di Blade Runner, il breve filmato vede una società distopica dipinta con tinte cupe, dove persone prive di volontà e personalità ascoltano rassegnate il discorso di un supervisore che inneggia alla conformità dei singoli elementi. Un chiaro riferimento alla novella di George Orwell “1984” ma, mentre il Grande Fratello proclama il suo discorso, un'eroina senza nome dai colori sgargianti e con una maglietta raffigurante una versione astratta e cubista del Mac entra in scena, lanciando un martello contro il monitor dal quale il dittatore pronuncia il suo monologo, distruggendolo. 
Segue la celebre frase finale che pubblicizza la data di uscita del Macintosh, annunciando che il 1984 non sarebbe stato come “1984″

Al di là del valore artistico, la réclame rappresentava una dichiarazione di guerra nei confronti dell'allora onnipresente IBM, e c'è da dire che il nuovo computer della Mela si presentava davvero bene, quasi bello come Anya Major, la bionda protagonista dello spot.  

Tutto merito di quell'incredibile GUI, corredata da quel sexy quanto inusuale marchingegno chiamato mouse

L'ispirazione venne dallo Xerox Alto, il primo computer a vantare quello che oggigiorno chiamiamo desktop, assieme a un'interfaccia grafica e al sopracitato mouse: una combinazione indigesta ai conservatori capoccia della Xerox PARC nel 1973, tanto che la macchina non venne mai commercializzata ma prodotta in poche migliaia di esemplari, destinati agli uffici interni della società di Palo Alto e ad alcune università

"Cosa diavolo è questa stregoneria?!" n.d. dirigenti Xerox.

Quello che però avevano trascurato era una caratteristica ai tempi apparentemente superflua, ma destinata a diventare la punta di diamante della strategia di mercato di Jobs: l'usabilità. Questa rivoluzionaria interfaccia però non doveva far apparire la nuova macchina come un costoso balocco, bensì come il mezzo con cui ottenere il massimo dal proprio Mac in ambito lavorativo: a tal proposito la tastiera era priva di tasti funzione e frecce, una scelta voluta per evitare inutili conversioni di programmi già esistenti su altre macchine, e valorizzare il nuovo ambiente di lavoro

Questo desiderio di serietà a tutti i costi fu uno dei motivi per cui inizialmente la Apple non desiderava associare giochi al Mac, eppure il suo primo videogioco risiedeva già nel computer. Tra i vari informatici che lavorarono sul Mac, Andy Hertzfeld era realmente fuori parametro. Lo è tuttora, eh: mago del codice, ha contribuito all'interfaccia dei contatti di Google +, le famose cerchie. 

Sconosciuto ai più, il seme del videoludo covava già dentro la mela.
Inizialmente realizzò in Pascal una versione del gioco del 15 come desk accessory, piccoli programmi che funzionavano assieme all'applicativo principale, condividendone la memoria in una sorta di primitivo multitasking. 

Il gioco però rischiò di non far parte del sistema operativo per via del peso eccessivo di "ben" 6 kilobyte, ma Andy lo riscrisse a tempo di record (si narra in sole due ore di un noioso Sabato mattina) in Assembly, rendendolo ben più snello nei suoi 600 byte! 

Il primo gioco commerciale fu comunque Through The Looking Glass (1984), una variante in chiave arcade del gioco degli scacchi, idea già sfruttata con le ovvie differenze un anno prima da Paul Reiche III in Archon. In realtà, TTLG ha in comune con gli scacchi solo una convincente scacchiera prospettica e i familiari pezzi, mentre pedoni, torri e regine fanno di tutto per “mangiare” Alice, comandata dal giocatore, saltando avanti ed indietro con un incredibile effetto di scaling. 

"E Lilì Marlene, bella più che mai, sorride e non ti dice la sua età, ma tutto questo Alice non lo sa"
Il tutto squisitamente disegnato con un tratto à la John Tenniel che, unito al font gotico del punteggio nella parte alta dello schermo, donava alla partita un look "da libro illustrato".  

Steve Capps era una delle colonne portanti nello sviluppo dell'Apple LISA, e realizzò su questa piattaforma una versione preliminare del gioco che venne provata ed apprezzata da Steve Jobs, convincendolo a desiderare a tutti i costi il giovane programmatore nel team Macintosh. Il gioco venne quindi convertito sul Mac, beneficiando del più rapido processore e pubblicizzato praticamente dall'inizio della vita della macchina, sin dalla primissima brochure informativa.
Capps riteneva che la via migliore per commercializzare il gioco fosse attraverso la Electronic Arts di Trip Hawkins, guarda caso ex responsabile marketing del LISA, ma Jobs insistette affinché il progetto rimanesse interno alla Apple in tutto e per tutto, promettendo in cambio una presentazione principesca, e così fu.

Regalatemelo. Serio.

Magnifica nella sua peculiare forma “a libro” per strizzare l'occhio all'omonimo racconto di Lewis Carrol che fa da sfondo al gioco, la bellissima confezione di TTLG riflette appieno la cura per l'estetica tipica dell'azienda ma, fortunatamente, dietro a tanta apparenza c'era altrettanta sostanza. Non solo Capps continuò a perrfezionare il gioco fino alla pubblicazione, includendo le migliori richieste dello staff (Woz, ad esempio, consigliò di ridurre le dimensioni del puntatore mano a mano che si allontanava dalla base dello schermo, per simulare un effetto di profondità) ma, poiché c'era ancora spazio sul dischetto, creò Amazing, un accattivante gioco a base di labirinti generati casualmente a seconda del parametro di difficoltà inizialmente scelto da giocatore

Gratis?! It's Amazing!

Fu un fiasco nelle vendite purtroppo, principalmente perché non ricevette un marketing adeguato, ma oramai il vaso di Pandora era stato scoperchiato: da lì in poi il Mac non avrebbe potuto far nulla per nascondere la sua riservata facciata ludica e sarebbero cominciate ad apparire conversioni di vari successi dell'epoca come ad esempio Sim City, anche grazie all'uscita, alla fine dello stesso anno, del Macintosh 512, versione con 512kb di ram al posto dei 128 del modello base. 

Ma focalizziamoci sui titoli esclusivi: Dark Castle (1986) è il primo gioco ad usare i tasti WASD in simbiosi con il mouse, un traguardo non da poco. Si tratta di un titolo iconico per la storia del Mac gaming, con due seguiti all'attivo e una duratura fanbase. Convertito su un'infinità di piattaforme dal Megadrive al CD-i, le versioni postume non riuscirono a raggiungere l'impatto dell'originale, tra controlli atroci e grafica inadeguata, orfana delle evocative e nitide schermate in alta risoluzione del titolo originale. 



Nei panni del Principe Duncan, il giocatore deve entrare nel Castello Oscuro del titolo e sconfiggere il Cavaliere Nero. Duncan può difendersi solo lanciando rocce - orientando la mira con il mouse - attraversando piattaforme, risolvendo enigmi e lapidando i nemici alla ricerca di uno scudo incantato e della magia del fuoco con cui avere una possibilità contro la sua nemesi. Le stanze del maniero possono essere affrontate in qualsiasi ordine dalla schermata iniziale, e i tre livelli di difficoltà nascondono nemici più numerosi e trabocchetti extra. Fu anche uno dei primi titoli a contenere una easter egg, giusto qualche anno dopo Adventure di Warren Robinett su Atari 2600: se giocato il 25 Dicembre, il minaccioso salone del castello (che funge da selezione dei livelli) appare agghindato da decorazioni natalizie! 

Gli esordi del Mac gaming: presentazione pulita e chiarissima.

Notevole l'impatto di Deja Vu e, in generale, della serie Macventure nel 1986: in un mondo dove giocare un'avventura voleva dire prendere a testare un cocciuto parser, MacVenture offriva il primo assaggio di interfaccia punta e clicca, destinata a divenire fonte di ispirazione per lo SCUMM di Lucasfilm Games

Horrorsoft ha un grosso debito nei confronti dei Macventure...
Era come scoprire un nuovo mondo: le dettagliate finestre fornivano tutti i dati necessari, dalla visuale della locazione in prima persona all'inventario, senza lasciare nulla all'immaginazione. Davvero incredibile pensare che, a eccezione dei dialoghi, non era necessario inserire nemmeno una riga: seriamente, all'epoca ci ero rimasto secco per lo stupore! Quattro furono i giochi di questa serie: Deja Vu e seguito (Deja Vu II: Lost in Las Vegas - 1988) sono storie di detective hard boiled, Uninvited (1986) è un horror mentre Shadowgate (1987) un'avventura fantasy. 

...no, sul serio.
La semplicità dell'interfaccia rese possibile sdoganare il genere avventura anche su macchine che non disponevano dei mezzi (leggi tastiera) per permettersi degni esponenti del genere: Shadowgate, ad esempio, venne convertito con successo per NES, e due seguiti vennero prodotti per Turbografx16 e Nintendo 64; addirittura il Game Boy Color si aggiudicò una compilation con i due Deja Vu in una sola cartuccia

Investigazioni dall'altra parte dell'oceano su PC-98...


...e in tasca, su GBA.
Al Mac spetta anche il primato di ospitare The Manhole (1988), il primo gioco su CD ROM. Scritto nel linguaggio HyperTalk sviluppato dai fratelli Miller, gli stessi che avrebbero in seguito creato Myst sotto la loro etichetta Cyan Worlds, il gioco si presenta come un'avventura per i più piccoli: nella prima schermata un tombino può essere aperto per liberare una gigantesca pianta di fagioli che può essere scalata per esplorare mondi fantastici. 

Cosa vuoi che ci sia sotto un tombino?
Schermata dopo schermata i giovani esploratori possono cliccare su decine di hotspot, rivelando nuove locazioni, dialogare con bizzarri personaggi e attivare animazioni ed effetti sonori senza un fine preciso: l'importante è scoprire passo passo le sorprese nascoste nel mondo di gioco e divertirsi

Il seguito spirituale, Cosmic Osmo and the Worlds beyond the Mackerel (1989), alza l'asticella, offendo un universo di gioco ancora più grande. Osmo è un alieno panciuto e bonaccione e i videogiocatori vivranno avventure a bordo della sua astronave, girovagando per sette pianeti, tre in più rispetto alla versione su dischetto. Volete imbrattare la tela nel suo soggiorno con gli strumenti di MacPaint? Scrivere un libro da fargli leggere? Mettervi alla guida della sua astronave o, più semplicemente, lavare i piatti facendo scoppiare le bolle di sapone solo per scoprire il passaggio per una nuova locazione nello scarico? Il quantitativo di cose da fare è enorme, e la britannica Ace non tardò a ritenerlo una pietra miliare nella storia dei videogiochi, definendolo come la prima killer application per Macintosh

Incontri ravvicinati del tipo ittico: non è Darius ma l'astronave di Osmo è equipaggiata con letali lancia cotton fioc!

Il Mac quindi, a dispetto della sua apparenza, ha sempre avuto il cuore di una vera Games Machine: nonostante il primo modello offrisse un nitidissimo monitor monocromatico alla risoluzione di 512x342, già nel Marzo del 1986 il Macintosh II si presentava con 256 colori su schermo alla risoluzione di 640x480 su un superbo schermo da 13 pollici. 

Insomma, prima che la Apple diventasse il ponte radical-chic verso l'informatica per una masnada di rincoglioniti, incapaci di sostituire una scheda video ma ben disposti  a cacciare novecento euro per un telefonino, il Macintosh era davvero un ghiottissimo oggetto del desiderio.

E ovviamente i giochi continuavano ad arrivare: Balance of Power (1985) di Chris Crawford é un simulatore geopolitico ambientato nella guerra fredda dove il giocatore, nei panni del presidente degli Stati Uniti o del segretario del Partito Socialista, deve attraversare otto anni, amministrando crisi e problemi su scala mondiale evitando di pestare i piedi alla superpotenza avversaria.


Una copertina simile non sopravviverebbe alla fase di brainstorming al giorno d'oggi.

O ancora il giocabilissimo Shufflepuck Café (Brøderbund - 1989), un simulatore in chiave sci-fi/fantasy dell'air-hockey: praticamente pong in prima persona contro improbabili avversari, spassosissimo grazie all'utilizzo del mouse. 

Molto bella anche la conversione per Amiga e ST.

Altro interessante esperimento è The Fool's Errand (1987) di Cliff Johnson, un metapuzzle contenente decine di enigmi, dalle parole crociate agli indovinelli passando per crittogrammi, labirinti, immagini scorrevoli e anagrammi. La loro risoluzione permetterà di leggere nuovi capitoli nella storia narrata, che vede uno sciocco intento a cercare fortuna nella terra dei tarocchi in barba ai sortilegi della Sacerdotessa, cercando la soluzione della Mappa del Sole, a sua volta un ulteriore enigma. 

Risolvere tutti quegli enigmi per completare la mappa del sole sarà un'impresa, in The Fool's Errand

L'autore ha reso il gioco di pubblico dominio, ma consiglia caldamente di giocare la versione originale per Mac mediante emulatore per via della maggior risoluzione. Un gran titolo, accolto con entusiasmo sull'ultimo numero del TGM inglese, sfortunatamente mai trattato nella versione italiana.

Marathon è una serie di FPS fantascientifici sviluppata da quei Bungie che, anni dopo, avrebbero trovato la fama grazie ad Halo. I ragazzi avevano dimostrato classe da vendere con Pathways into Darkness (1993), un rivoluzionario mix tra sparatutto in prima persona e avventura dinamica, curiosamente ambientato nello stesso universo. 


Ecco un altro capolavoro che invidiavo, a 'sti fan della mela!

Tecnicamente superba, la trilogia di Marathon pone grande enfasi sulla narrativa, disseminando terminali nelle aree di gioco con cui il giocatore può scoprire importanti informazioni sulla trama e sull'ambientazione. Questa caratteristica è enfatizzata nel terzo capitolo, Infinity, che presenta una narrazione non lineare. Il giocatore viaggia attraverso differenti linee temporali con lo scopo di impedire la liberazione dell'impronunciabile entità W'rkncacnter, riscrivendo la storia prima che l'universo venga obliterato. 

Davvero avantissimo rispetto ai tempi.

Ma, trama a parte, i giochi sono davvero eccellenti, con un engine all'avanguardia, riscritto nel secondo capitolo per incorporare i combattimenti subacquei e modificato per il terzo, vantando inoltre uno stiloso HUD con tanto di scanner di movimento, che fa tanto Aliens Scontro Finale. Coadiuvato dagli editor Forge e Anvil, rispettivamente adibiti a mappe e grafica, il gioco continua a offrire un divertimento duraturo per la sua prolifica comunità di fan. 

La trilogia è oggi gratuitamente scaricabile per Windows, Unix e Mac OS X, permettendo a tutti di (ri)scoprire un importante tassello nella storia del Macintosh.

martedì 16 settembre 2014

Garou Densetsu - Magical Company, 1993

Hai presente quegli schemi con l'altezza dei robot giapponesi che spuntano con frequenza più o meno regolare su Facebook? Quelli che distruggono la tua giovinezza, quando credevi che il Grande Mazinga fosse, appunto, grande, ma in realtà non raggiungeva nemmeno lo scroto meccanico del torreggiante Daitarn 3?
Ma tipo manco se Tetsuya si fosse messo in punta di piedi.
Bene, ho realizzato una foto simile, ma senza i maroni metallici del robot di Aran Banjo. Cioè, no, se guardate bene, mi sono reso conto che il Daitarn è riuscito a infilarsi nella foto, sulla destra, nella bacheca dove tengo i Chogokin, ma non è questo il punto.


Il soggetto è il GROSSO Garou Densetsu che sta lì dietro, con attorno un po' di roba a tema simile, per dare il metro. C'è Garou 2 per PC Engine,  quello per Megadrive, il buggatissimo Special per Super Famicom e l'originale AES per Neo Geo; oggetti di cui, bene o male, conoscete le dimensioni. Super Hang-On si trova sulla sinistra non perché il pilota della moto è Tung Fu Rue (che è un anziano, hai visto mai...), ma per farvi capire la grandezza di una confezione tipo per X68000.

Sì, il Garou Densetsu che osserva tutti con la mole da smargiasso è per il super computer colmo d'ammore di Sharp, ed è ENORME.

Dentro trovano posto comodamente una scatola con i quattro floppy del gioco, un manuale e UNA SPUGNA PER TENERE FERMO IL TUTTO. Perché giustamente le stesse cose le potevi far stare in una confezione normale, ma Magical Company (Mahou Kabushikigaisha) aveva manie di grandezza, e lo doveva far sapere a tutti gli altri giochi sullo stesso scaffale, con prepotenza.

Le dimensioni contano, da una parte; dall'altra, il gruppo di sviluppatori aveva ottenuto fama negli anni Ottanta con quell'impressionante disastro di Last Apostle Puppet Show o Reikai Dōshi: Chinese Exorcist, come era conosciuto in Giappone.
Lo ricorderete tutti se compravate K, essendo stato recensito nel primissimo numero.

All'epoca la softco era conosciuta come Home Data, e il gioco si presentava come il primo picchiaduro con personaggi digitalizzati, alla faccia di Mortal Kombat.


Incredibile da vedere quanto bizzarro da giocare, con le semplici meccaniche che ti aspetteresti da un qualsiasi picchiaduro pre Street Fighter 2: dimenticabile, ma allo stesso tempo significativo in virtù della grafica allora fuori parametro. Sarà riuscita Magical Company a migliorare, nel frattempo?

Cominciamo col fare un po' di matematica, seguitemi un attimo mentre elenco i contenuti dei quattro dischi.

Floppy 1: Boot iniziale, Geese Howard, Geese Tower.
Floppy 2: Andy, Terry e Joe; questo floppy rimane praticamente sempre dentro il drive.
Floppy 3: Tung Fu Rue, Richard Meyer, Michael Max e Duck King, con relativi fondali.
Floppy 4: Billy Kane, Hwa Jay, Raiden e relativi fondali, opzioni.

Questo vuol dire che, se vuoi farti un giro nelle opzioni, devi fare il primo, assurdo cambio di disco.
E per fare una partita dall'inizio alla fine devi cambiarne tre; sopportabile fino ad un certo punto, vista la velocità degli scontri di Garou Densetsu, specie considerando che altre conversioni multi disco come Strider o A-Jax (tre floppy l'uno) gestiscono i caricamenti in modo assolutamente indolore.
Caricamenti che sono qui piuttosto fastidiosi, con una quindicina di secondi per ogni scontro: bentornato, Neo Geo CD.



Il risultato, alla prova dei fatti, non è perfetto, specie confrontando fianco a fianco la conversione con l'originale AES. la velocità è inferiore, l'audio in stereo sovrappone in maniera fastidiosa le voci con le colonne sonore con risultati altalenanti, e i fondali sono un po' un disastro.
Meno colorati, con la metà dei fotogrammi di animazione e privi di parecchi particolari, come il treno nello stage di Duck King, la pioggia nella Howard Arena e Hopper che lancia il bo nuovo a Billy o l'alcol a Hwa Jai.
La giocabilità c'é, con le mosse speciali che rispondono bene agli input, nonostante il pad dell'X68000 richieda la pressione di entrambi i tasti per effettuare una proiezione.

Va detto che forse il Neo Geo era troppo per l'X68000, a parte le doti programmatorie di Magical Group. Per esempio Garou Densetsu Special sulla stessa macchina (e dagli stessi sviluppatori) occupa la bellezza di NOVE FLOPPY, con cambi praticamente a ogni scontro e tagli evidenti da subito, come le standing animation mancanti nella schermata di selezione dei personaggi.

Il qui presente colosso è comunque una conversione più che dignitosa; ovviamente se devo giocare la prima avventura dei Bogard inserisco l'AES nel Neo Geo e me lo godo nella sua forma migliore, meraviglioso audiovisivamente e senza caricamenti, ma nell'ottica della curiosità ha una sua collocazione.

Non è da tutti affrontare il gigante SNK e uscirne a testa alta, specie paragonando il risultato a quanto giocato su Megadrive e Super Famicom, con tutti i personaggi e le meccaniche dell'originale che erano stati tagliati fuori su sedici bit, come l'assenza di Hwa Jai e Billy Kane sulla macchina SEGA.


Seriamente, non c'è paragone.

Trovarsi davanti una confezione tanto lussuosa oggi, nell'epoca del digital download e delle scatole tristi e vuote, stupisce per l'elevata cura dei dettagli, come l'ottima stampa sul cartone della sovracopertina e le lettere dorate della frase "The battle of destiny",  oltre al manuale a colori, più grande e con un maggior numero di pagine di quello per Neo Geo.

Il punto debole più evidente dell'adattamento è la fama della macchina che lo fa girare: X68000 è la regina nipponica delle super conversioni ma il Neo Geo (e la memoria delle sue cartucce) appare purtroppo fuori dalla sua portata. Non solo per la conversione dei tre GarouDen, ma anche per quella di Viewpoint, più lenta anche su macchine a 16mhz.

Che poi oh, per ventisei euro dall'America ci puo' stare, dai.


giovedì 14 agosto 2014

Leisure Suit Larry e dintorni: una retrospettiva su Al Lowe

Mai una gioia in un mare di delusioni, inanellate dalla mancata pubblicazione di Sam Suede e dagli orrendi Magna Cum Laude e Box Office Bust.
Serio, non ci speravo più, ma recentemente quel gigante di Al Lowe è riuscito a tornare nel mondo dei videogiochi grazie all'onnipresente Kickstarter con un nuovo reboot del primissimo Leisure Suit Larry. Una scelta opinabile, mi parve ai tempi, dato che si sarebbe trattato del secondo remake dopo quello in VGA uscito nel 1991, ma in fin dei conti poco importa: è stato davvero un piacere veder tornare al lavoro un simile genio dell'umorismo.

Un brindisi alla tua salute, Al!
Oggi Al Lowe (a proposito: lo trovate online all'indirizzo http://www.allowe.com/ ) si gode la pensione con moglie e prole, giocando a golf e suonando il sassofono nella Mojo Big Band; la passione per la musica è invero il filo conduttore che ci porta agli esordi della sua infatuazione per l'elettronica, quando era un professore di musica nel 1978, con diversi  lustri d'insegnamento alle spalle e un secondo figlio in arrivo.

Ladies and Gentlemen, la Mojo Big Band in tutto il suo splendore.
Alla ricerca di qualcosa con cui far quadrare i conti, volse lo sguardo verso l'emergente campo dell'informatica dopo essersi imbattuto in un DEC PDP 1170, uno di quei megacomputer alti come un armadio con bobine rotanti che fanno tanto fantascienza anni 70.

Un modello simile a questo. Roba che, se ci mettevi un paio di lucine extra, potevi farci abitare tranquillamente il papà di Hiroshi Shiba...
Questo sostava pigramente nel reparto amministrativo della  scuola intimidendo tutti tranne Al che, preso in prestito un libro sul basic, cominciò a sviscerarlo con il fine di scrivere semplici software che lo avrebbero aiutato nel lavoro di tutti i giorni. L'artigianato del resto era la sola strada percorribile a quei tempi: un word processor, richiesto da Al per lavorare, arrivava a costare la bellezza di tremila dollari ed era ben al di fuori del budget scolastico.

Con l'arrivo dell'Apple II, Al convertì il suo lavoro per la più accessibile piattaforma e cominciò a vendere la sua produzione amatoriale porta a porta, con le confezioni dei floppy amorevolmente confezionate in cartone dalla moglie. Per pura casualità, assistette nel 1982 ad una conferenza su software educativo a Kansas City, testando effettivamente con mano la qualità dei prodotti concorrenti: la sua produzione rimaneva ottima nonostante i termini di paragone, e ciò fornì una salutare dose di coraggio e autostima. Essendo appassionato di avventure testuali, genere che incontrava anche il gusto del figlio, Al cominciò a programmarne qualcuna, ispirato anche dai titoli Sierra di cui era un cultore.

E proprio i coniugi Williams, storici proprietari della softco americana, riconobbero i giochi di Al simili ai loro, dopo averli visionati presso la Applefest del 1982 a San Francisco. Ottenere il più misero degli stand fu un enorme sacrificio, poiché la postazione più modesta arrivava a costare quanto lo stipendio di un mese per i coniugi Lowe, tuttavia l'investimento portò i suoi frutti. Al conobbe molti dei maggiori distributori come la Brøderbund e la stessa Sierra, tutti interessati a pubblicare i suoi prodotti. Considerando che programmare era ben più divertente che impacchettare pile di floppy, i lowe decisero all'unisono che lavorare sotto una buona distribuzione sarebbe stato il prossimo passo da fare: Sierra aveva offerto la proposta più vantaggiosa, senza contare la vicinanza tra la residenza di Al e i loro uffici.

Nacque in questo modo una relazione lavorativa lunga oltre quindici anni; per iniziare le danze Ken Williams comprò e pubblicò immediatamente l'offerta iniziale di Al, presentata durante la Applefest su un paio di Apple II, di cui uno preso in prestito da un amico.  

Dragon's Keep era una semplice avventura grafica completamente realizzata in Applesoft Basic: si trattava sostanzialmente di un gioco per bambini dove il giocatore deve cercare e liberare un gruppo di animali rapiti da un drago operando una serie di scelte preimpostate. Bop-a-Bet era un gioco educativo che insegnava l'alfabeto ai più piccoli con vari livelli di difficoltà: entrambi vennero realizzati nel 1982. Entrato in Sierra, Al venne subito messo di fonte ad una realtà ben più interessante: la Texas Instruments aveva compiuto un investimento straordinario, spendendo letteralmente milioni di dollari per accaparrarsi i diritti dei popolarissimi giocattoli Mattel, dei personaggi Disney e, per non farsi mancare nulla, aveva firmato un contratto con tanti zeri per avere Bill Cosby come testimonial

Dragon's Keep.

Andò tutto in malora, e Ken Williams pagò un'inezia i diritti Disney ad una Texas Instruments in cattive acque, sulla carta un'affare irripetibile. Al quindi venne subito messo al lavoro: i più famosi titoli nati dalla licenza sono probabilmente Donald Duck's Playground e The Black Cauldron. Nel primo Paperino deve costruire un parco giochi per i nipoti intraprendendo diversi lavori per comprare scivoli, altalene e giochi vari; durante l'avventura piccoli giocatori impareranno nozioni riguardanti le forme geometriche, i colori, la geografia, la matematica nonché l'importanza del denaro. Un gioco colorato e spensierato, convertito su diverse piattaforme popolari in America nel 1986 compresa l'esordiente Amiga e il rivale Atari ST. 

"Ho il gioco di Paperino, sembra un cartone animato" n.d. il mio amico Paolo in prima media...

The Black Cauldron è invece basato sull'omonimo film d'animazione, conosciuto da noi come Taron e la Pentola Magica. Anche stavolta si tratta di un prodotto rivolto ai giovani, come testimonia la semplicità dell'interfaccia: niente comandi da immettere tramite parser testuali, bensì azioni predefinite da selezionare  con i tasti funzione

Sarà la vecchiaia, sarà la passione per l'archeologia videoludica, ma quando vedo una schermata in AGI mi si scioglie il cuore. Vada per la prima.
In entrambi i giochi la grafica fu realizzata da Mark Crowe con un piacevole effetto, in The Black Cauldron, che “disegnava” le locazioni all'ingresso del protagonista, simile a quello che successivamente Hugh Riley avrebbe usato in The Last Ninja, per intenderci. 
Sfortunatamente gli avvocati della Disney avevano siglato con la Texas Instruments dei contratti tanto vantaggiosi da far fluire il grosso degli incassi nelle tasche di Mickey Mouse, lasciando le briciole alla Sierra. Erano anni pionieristici e i coniugi Williams risparmiavano il possibile, ad esempio usando il motore noto come AGI (Adventure Games Interpreter) per la totalità delle loro avventure: con la sua risoluzione di 160x200, creata su misura per abbracciare le poliedriche configurazioni degli MS-DOS e compatibili dell'epoca, donava ai titoli quel caratteristico look “blocchettoso”; sarebbe andato aventi fino al 1989 con Manhunter 2: San Francisco per far spazio al più evoluto SCI (Sierra's Creative interpreter).  
Con un rientro praticamente nullo, Sierra voltò le spalle a Disney e Al Lowe si trovò senza licenze con cui lavorare: occorreva quindi un progetto nuovo.

Softporn Adventure era un'avventura testuale  scritta da Charles Benton nel 1981 per Apple II: era diventata famosa per le tematiche erotiche e per la famigerata foto sulla copertina, resa immortale dalla sua apparizione nella prima rubrica del TIME dedicata all'intrattenimento elettronico

Un articolo storico.
Secondo l'economica filosofia del “fatto in casa” che caratterizzava Sierra, l'idromassaggio era di proprietà dei Williams mentre le tre donne, inquadrate a mezzobusto ma completamente nude, sono un'impiegata della softco, la moglie del programmatore Bob Davis e la stessa Roberta Williams. Il baffuto cameriere dallo sguardo sornione lavorava in un vero ristorante dalle parti della sede della Sierra a Oakhurst. 
Ken propose a Al di adattare Softporn su AGI: l'avventura aveva avuto una notevole diffusione e con un po' di fortuna l'inedita veste grafica avrebbe attirato ulteriori acquirenti. Ma Benton era un programmatore e l'avventura, a detta di Al, non era affatto divertente da giocare; decise quindi di reinterpretare la storia in chiave ironica riutilizzando gli enigmi originali, una scelta che in futuro avrebbe portato qualche ripensamento: Al Lowe si chiede ancora oggi a cosa stesse pensando per implementare il rompicapo dell'irraggiungibile flacone di pillole sul davanzale... 

Aaah, la prima avventura grafica che ho finito, assieme a mio fratello. Correva il 1988 e la macchina era un Disitaco con scheda Hercules...

Nasce così Larry Laffer, un personaggio che al contrario dei suoi colleghi non pilota astronavi contro invasori spaziali né salta barili confrontando dispettosi scimmioni: Larry è un quarantenne sfigatissimo e allupato a piede libero nella peccaminosa città di Los Wages con lo scopo di perdere a tutti i costi la propria verginità e trovare l'amore vero, possibilmente in quest'ordine. Girando su AGI,  Leisure suit Larry in the Land of the Lounge Lizards si affida ad un parser testuale con cui inserire semplici comandi.

Lo humor di Al Lowe è praticamente esplosivo: celebre la scena che segue la morte di Larry in seguito al pestaggio in un vicolo o sotto le ruote di una macchina, con il corpo esanime che sprofonda nel pavimento solo per essere rimesso in sesto dallo staff Sierra assieme a personaggi come Re Graham, il protagonista di King's Quest.

Avete presente Westworld di Crichton?

Larry  ha due ore per completare la sua missione pena il suicidio, ma uno dei primi enigmi lo porterà a far sesso con una prostituta: deluso deciderà di cercare la donna dei suoi sogni, eliminando il limite di tempo. Un inno alla goliardia in cui Al si scatenò nei più piccoli particolari, arrivando ad assurdità come un contatore inserito apposta per decidere il fotogramma di animazione esatto (254, per la cronaca) in cui un cane randagio punterà Larry solo per urinare sui suoi bianchi pantaloni. Il gioco fu inizialmente un fiasco, il peggiore della storia di Sierra. Nessuno voleva venderlo per via dei temi trattati, e nel primo mese riuscì a piazzare solamente duemila misere unità. Finché non avvenne qualcosa di inaspettato...

La pirateria, ecco cosa. I negozianti bigotti potevano anche essere rimasti offesi dalle tematiche trattate, ma il gioco si diffuse a macchia d'olio presso l'utenza dell'epoca. Un'utenza significativa: niente ragazzini allupati, poiché Larry trovava posto bene o male su tutti i PC degli uffici americani. Celebre e profetica a tal proposito l'inclusione del boss key, un comando che richiamava immediatamente un generico grafico assolutamente privo di senso che trovava la sua ragione di esistere nell'eventualità che il capo si aggirasse nell'ufficio con fare guardingo.

Che poi da quella schermata era impossibile uscire se non spegnendo il computer; poca roba di fronte alla prospettiva di licenziamento.

"Non vede? Sto lavorando sull'andamento dei... dei... oh basta, prendo un giorno di ferie!"
A differenza di molti giochi dell'epoca, poi, Larry era facilissimo da copiare: niente dischi di cartone con codici o frasi da riportare dopo aver sfogliato titanici manuali: l'unica resistenza che il titolo opponeva era la serie di domande iniziali per verificare l'età del giocatore. Anacronistiche al giorno d'oggi e fuori di testa allora, queste vennero conservate nelle successive conversioni ma “addolcite” grazie alla presenza di una semplice combinazione di tasti che permetteva di giocare immediatamente.
 

EEEEEHH?!
Al nel frattempo era convinto di aver buttato via i tre mesi impiegati per programmare il gioco: deluso, stava ingannando il tempo aiutando l'ex poliziotto Jim Walls nella creazione di Police Quest: in pursuit of the death angel. Jim aveva in mente una storia, ma non sapeva come svilupparla: l'apporto di Al in questo senso fu fondamentale tra programmazione e brainstorming per travasare in ambito videoludico l'idea originale.  
Sebbene Police Quest possa apparire quindi agli antipodi della produzione di Al Lowe fino ad allora, tra crudo realismo e difficoltà proibitiva, di certo la sua genesi porta il marchio del papà di Larry


Nel frattempo però il passaparola stava portando Land of the Lounge Lizards alla ribalta: chi lo aveva giocato ne parlava bene e i negozianti cominciarono a rivedere la loro posizione. Il gioco non era affatto il porno che credevano bensì un'avventura piccante e divertente, meritevole di tornare sugli stessi scaffali che lo avevano inizialmente snobbato. E finalmente il tornaconto economico arrivò: le vendite si duplicavano mese dopo mese per un intero anno, raggiungendo e tenendo banco per molto tempo nella top five dei videogiochi più venduti d'America. Un simile successo doveva a tutti i costi essere replicato, e il chilometrico Leisure Suit Larry goes looking for love (in several wrong places) raggiunse i negozi nel 1988.

Chilometrico nel senso dei caratteri utilizzati per il titolo!

La grafica utilizzava il nuovo SCI (Sierra's Creative Interpreter, ne abbiamo parlato qualche riga più in alto) per mostrare le avventure del playboy nella gloria della risoluzione 320x200, mentre audio general MIDI e controllo via mouse erano supportati, sebbene i comandi venivano sempre inseriti previa parser testuale.  

Purtroppo non riuscì a replicare il successo del predecessore a causa della linearità della narrazione e ai noiosi labirinti, senza contare il grande numero di vicoli ciechi in cui si poteva incappare compromettendo l'esito dell'avventura. Nonostante il gioco non mostri nessun timer, alcuni eventi si svolgono in tempo reale rispetto alle azioni del giocatore, quindi è possibile ad esempio che Larry arrivi tardi alla partenza di una nave, terminando la partita senza troppi complimenti. 

TI. ODIO.
Molto meglio andò con Leisure Suit Larry 3: Passionate Patty in Pursuit of the Pulsating Pectorals (1989), tanto per far felici tutti i fan delle allitterazioni lì fuori. Stavolta le domande iniziali servono per stabilire il livello di perversione del gioco, sebbene anche al livello più alto l'esperienza rimanga comunque priva di esplicite rappresentazioni grafiche.

Ma il gioco è scritto realmente con passione, destinato a  essere il capitolo finale della saga. Durante le ultime sequenze, infatti, Larry e Patty, suo interesse sentimentale nonché personaggio brevemente giocabile durante la seconda metà del gioco, raggiungono la sede della Sierra e incontrano Roberta Williams, che propone allo scapestrato protagonista di narrare la storia della sua vita in un videogioco. Nell'epilogo il cerchio si chiude: Larry programma “in the Land of the Lounge Lizard” in compagnia di Patty, facendo credere al giocatore che l'epopea del personaggio sia ufficialmente finita.

Best ending ever! E grazie pure a K che, pubblicando la soluzione del gioco, pensò bene di allegare questa schermata.
Vi odio tutti con infinito amore, Studio Vit!
Così non fu ovviamente: nel 1991 la VGA è ormai parte integrante di ogni PC che si rispetti e Sierra ne approfitta per entrare nel nuovo, coloratissimo mondo con King Quest V e un remake del primo Larry. In realtà si tratta di un piccolo traguardo: dopo aver assistito alla nascita del Macintosh, alla Sierra erano tutti innamorati della GUI a base di icone e mouse, un futuro al quale avevano mirato per molto tempo. Al ricorda che, con l'arrivo della nuova interfaccia, la difficoltà dei giochi era sensibilmente calata, poiché la più grande sfida, almeno fino ad allora, era cercare di capire cosa scrivere e come.

Looking good, Laffer!

Per lo staff di Sierra questo significò dover imparare nuovamente a creare giochi, e la produzione seguente avrebbe bilanciato la situazione, inserendo più enigmi e aumentando la difficoltà.

Mettiamo da parte Larry: Al Lowe si interessò pionieristicamente al mondo dei giochi online in un periodo in cui praticamente non esistevano ancora. Avvenne subito dopo il remake; lui e altri due programmatori decisero, un passo alla volta, di creare un'infrastruttura ludica online. 
Era una cosa tanto rivoluzionaria che non sapevano nemmeno loro cosa stessero effettivamente creando. Inizialmente si dedicarono allo scambio di dati, ottimizzando le dimensioni dei pacchetti il più possibile perché i modem di allora erano quello che erano, poi arrivarono addirittura a giocare backgammon e scacchi in linea. Al Lowe quindi inventò il concetto di avatar, creando un programma chiamato facemaker con cui personalizzare l'aspetto del giocatore! 
Mesi di lavoro dopo, ottimizzando il codice in modo da gestire diversi giocatori contemporaneamente, Al arrivò alla triste conclusione che per sviluppare in maniera stabile un'avventura dinamica multigiocatore sarebbero stati necessari almeno sei anni e il progetto venne accantonato senza un nome. L'ironia stà nel fatto che, con la chiusura di Sierra, la tecnologia venne venduta a AT&T e successivamente a AOL, che parcheggiò il tutto nel dimenticatoio. Secondo l'ufficio brevetti americano, Al e soci registrarono il brevetto per l'invenzione degli avatar online. Per assurdo se AOL volesse, in teoria potrebbe riscuotere diritti su ogni videogioco online per l'utilizzo dell'idea registrata... 

In quegli anni Al e Ken Williams avevano stretto un singolare patto: creare un episodio di Larry ogni due anni, intervallato da una parodia di un preciso genere. Poiché i due erano fan di film come Airplane, le idee vennero praticamente da sole: il primo gioco avrebbe preso in giro i western (Freddy Pharkas), il secondo l'animazione per ragazzi (Torin's Passage) seguiti poi dagli spy movie, categoria che non venne mai affrontata


Freddy Pharkas Frontier Pharmacist (1993) è uno dei giochi più famosi di Al grazie alla splendida presentazione e a memorabili enigmi. Come narra l'esilarante ballata che apre il gioco cantata da Al Lowe in persona, Freddy è un pistolero micidiale che non osa più premere il grilletto a causa di un incidente che lo ha lasciato traumatizzato e privo di un orecchio.

Eppure ti ho già visto da qualche parte...

Si guadagna da vivere come farmacista nella cittadina di Coarsegold e proprio la sua abilità medica è la chiave con cui vengono affrontati gli enigmi, tra cui il memorabile assalto di una mandria di lumache in una storica sequenza che cita Lemmings di Psygnosis. La versione postuma su CD-ROM, ironicamente, vanta meno gag poiché i tempi passati in studio tra prove, registrazione e casting erano diventate un compito troppo oneroso per Al.

"Oh no!"
Torin's Passage (1995) inizialmente sembra strizzare l'occhio alla produzione della prima ora, quella orientata ai più piccoli, ma la sontuosa grafica e i buffi personaggi, in particolar modo il felino mutaforma Boogle, sono solo parte del suo fascino. Torin deve salvare i genitori rapiti dalla strega Lycentia in un'avventura fantasy interessante e scritta brillantemente nonostante il banale antefatto, riuscendo così a centrare l'obiettivo che Al si era prefissato: creare un gioco divertente e appassionante per un pubblico di tutte le età.

Torin's Passage: più di quello che possa sembrare...

E con questo post ci prendiamo una piccola pausa, che vuol dire che tra un articolo e l'altro potrebbe volerci un po' di tempo. Considerando la frequenza dei post non è comunque una notizia in grado di suscitare chissà quale scalpore, me ne rendo conto. Si ricomincia in futuro, spero comunque prossimo; al momento ho un progetto che sto coltivando, su cui vorrei dedicare tutte le mie energie. Sì, ha sempre a che fare col retrogaming; no, non ha nulla a che fare con The Games Machine. Sì, in qualche modo ci facciamo entrare X68000, Super Famicom, Neo Geo e sopratutto arcade. Se ne esce fuori qualcosa di dignitoso ve lo faccio sapere, ché tanto questo blog si è sempre mosso col passaparola della gente che lo ha apprezzato, senza particolari tam tam o raffiche di spam a tradimento. Se invece il progetto non taglia il traguardo, per un motivo o un altro, lo ricicliamo su queste stesse pagine e su TGM, così vincono tutti. Grazie per aver letto durante questo periodo e arrivederci a presto: siete stati pochini, mi dice il contatore visite, ma siete stati immensi. Qualità scalcia le chiappe di quantità 365/24/7. 
Tchuss!