A volte capitano brutte cose, tipo perdere un Sabato mattina accompagnando un (oramai ex) amico alla ricerca del nuovo iPhone. Sono spettacoli orrendi nonché degradanti, ma per lo meno mi permettono di passare a prenotare Forza Horizon 2 e di scrivere qualche riga sull'origine del videogioco su Mac.
Steve Jobs ha avuto fama di essere un
uomo complicato da trattare. E se lo dice una leggenda come Nolan
Bushnell, c'è da crederci.
In una intervista al fondatore di
Atari, Jobs viene ricordato come una testa calda con poca propensione
per il gioco di squadra. Bushnell, in quel periodo, stava
concettualizzando Breakout, maturando l'intuizione che una versione single player di Pong sarebbe stata infallibile, e nominò project
manager il vulcanico Al Alcorn che, a sua volta, affidò a Jobs il compito di
realizzarne un prototipo.
Questa sarebbe stata l'unica alternativa al
licenziamento, ricorda Nolan.
Dopo aver incoscientemente annunciato di
poter realizzare il prototipo in soli quattro giorni, trovò il deus
ex machina per uscire da una simile situazione nel Grande mago di
Woz.
Steve Wozniak, genio dell'informatica assolutamente unico nel
suo genere nonché amico di Jobs, lavorava allora per la
Hewlett-Packard. Portò a termine il lavoro senza dormire per quattro
notti di seguito e senza aver idea di come funzionasse questo
fantomatico Breakout, plasmando la primordiale argilla del videoludo
solo attenendosi alla descrizione di Jobs.
Sebbene il suo
prototipo venne successivamente accantonato, poiché considerato inadatto
per la produzione di massa dagli ingegneri della Atari, tutto ciò
che venne creato, ponderato ed ottimizzato durante la creazione di
Breakout venne riutilizzato come base per l'Apple II.
Avrò scritto centinaia di migliaia di caratteri grazie all'influenza di questo computer sulle pagine di The Games Machine, parlando di una marea di game designer (basti ricordare
Jordan Mechner che sviluppa Karateka e Prince of Persia
originariamente per tale piattaforma) che hanno trovato il veicolo ideale per la loro immaginazione nell'accessibilità di Apple II, quindi stringo: il suo contributo
all'informatica di consumo è assolutamente fondamentale, assieme al Tandy TRS-80 e al
Commodore PET 2001, tutti e tre usciti nel 1977 e considerati la
sacra “trinità”, i “Big Three” dell'alba degli 8 bit. Basti
ricordare che l'apporto di Jobs fu radicale nel marketing della
nuova macchina: egli desiderava renderla un oggetto cool, qualcosa
che chiunque avrebbe voluto possedere, non solamente i nerd che
popolavano gli Homebrew Computer Club.
Le scatole portasigari dove le
circuiterie dei computer amatoriali venivano frettolosamente
contenuti dovevano diventare un brutto, rozzo ricordo, e si ispirò ai
case dalle linee snelle e graffianti (per lo meno per l'epoca...)
tipiche dei calcolatori della Hewlett-Packard. I computer dovevano
trovarsi al loro posto assieme all'arredamento di casa, e per questo
anche le semplici viti dovevano scomparire dall'estetica della nuova
macchina.
Possiamo quindi concludere che uno dei cavalli di battaglia
della moderna Apple, ossia l'esasperata ricerca per il look dei propri
prodotti, può essere ricondotta alla genesi di Apple II, computer, a
sua volta, nato grazie al lavoro dietro Breakout, uno dei più
classici tra i videogiochi.
Tale estetismo venne portato all'ennesima
potenza nello storico spot che annunciava, durante il Superbowl del
1984, la nascita del Macintosh. Una pubblicità visibile come
easter egg nel cinema del primo livello della versione Mac di Duke
Nukem 3d.
David Graham è voce e volto del Grande Fratello nello storico spot.
|
Diretto da un Ridley Scott fresco dal successo di Blade
Runner, il breve filmato vede una società distopica dipinta con tinte cupe, dove persone prive di volontà e personalità ascoltano
rassegnate il discorso di un supervisore che inneggia alla conformità dei singoli elementi. Un chiaro riferimento alla novella di George Orwell
“1984” ma, mentre il Grande Fratello proclama il suo discorso,
un'eroina senza nome dai colori sgargianti e con una maglietta
raffigurante una versione astratta e cubista del Mac entra in
scena, lanciando un martello contro il monitor dal quale il dittatore
pronuncia il suo monologo, distruggendolo.
Segue la celebre frase
finale che pubblicizza la data di uscita del Macintosh, annunciando che il 1984 non sarebbe stato come “1984″.
Al di là del valore artistico, la réclame rappresentava una
dichiarazione di guerra nei confronti dell'allora onnipresente IBM, e
c'è da dire che il nuovo computer della Mela si presentava davvero
bene, quasi bello come Anya Major, la bionda protagonista dello spot.
Tutto merito di quell'incredibile GUI, corredata da quel sexy quanto
inusuale marchingegno chiamato mouse.
L'ispirazione venne dallo Xerox
Alto, il primo computer a vantare quello che oggigiorno chiamiamo
desktop, assieme a un'interfaccia grafica e al sopracitato mouse: una combinazione
indigesta ai conservatori capoccia della Xerox PARC nel 1973, tanto
che la macchina non venne mai commercializzata ma prodotta in poche
migliaia di esemplari, destinati agli uffici interni della società di
Palo Alto e ad alcune università.
"Cosa diavolo è questa stregoneria?!" n.d. dirigenti Xerox. |
Quello che però avevano
trascurato era una caratteristica ai tempi apparentemente superflua,
ma destinata a diventare la punta di diamante della strategia di
mercato di Jobs: l'usabilità. Questa
rivoluzionaria interfaccia però non doveva far apparire la nuova macchina
come un costoso balocco, bensì come il mezzo con cui ottenere il massimo dal
proprio Mac in ambito lavorativo: a tal proposito la tastiera era
priva di tasti funzione e frecce, una scelta voluta per evitare
inutili conversioni di programmi già esistenti su altre macchine, e
valorizzare il nuovo ambiente di lavoro.
Questo desiderio di serietà
a tutti i costi fu uno dei motivi per cui inizialmente la Apple non
desiderava associare giochi al Mac, eppure il suo primo videogioco
risiedeva già nel computer. Tra i vari informatici che lavorarono
sul Mac, Andy Hertzfeld era realmente fuori parametro. Lo è tuttora, eh: mago del
codice, ha contribuito all'interfaccia dei contatti di
Google +, le famose cerchie.
Sconosciuto ai più, il seme del videoludo covava già dentro la mela. |
Inizialmente realizzò in Pascal una
versione del gioco del 15 come desk accessory, piccoli programmi che
funzionavano assieme all'applicativo principale, condividendone la
memoria in una sorta di primitivo multitasking.
Il gioco però
rischiò di non far parte del sistema operativo per via del peso
eccessivo di "ben" 6 kilobyte, ma Andy lo riscrisse a tempo di record (si
narra in sole due ore di un noioso Sabato mattina) in Assembly,
rendendolo ben più snello nei suoi 600 byte!
Il primo gioco
commerciale fu comunque Through The Looking Glass (1984), una
variante in chiave arcade del gioco degli scacchi, idea già
sfruttata con le ovvie differenze un anno prima da Paul Reiche III in Archon. In realtà,
TTLG ha in comune con gli scacchi solo una convincente scacchiera
prospettica e i familiari pezzi, mentre pedoni, torri e regine fanno
di tutto per “mangiare” Alice, comandata dal giocatore, saltando
avanti ed indietro con un incredibile effetto di scaling.
"E Lilì Marlene, bella più che mai, sorride e non ti dice la sua età, ma tutto questo Alice non lo sa" |
Il tutto
squisitamente disegnato con un tratto à la John Tenniel che, unito al
font gotico del punteggio nella parte alta dello schermo, donava alla
partita un look "da libro illustrato".
Steve Capps era una delle colonne portanti nello sviluppo dell'Apple LISA, e realizzò su questa piattaforma una versione preliminare del gioco che venne provata ed apprezzata da Steve Jobs, convincendolo a desiderare a tutti i costi il giovane programmatore nel team Macintosh. Il gioco venne quindi convertito sul Mac, beneficiando del più rapido processore e pubblicizzato praticamente dall'inizio della vita della macchina, sin dalla primissima brochure informativa.
Capps riteneva che la via migliore per commercializzare il gioco fosse attraverso la Electronic Arts di Trip Hawkins, guarda caso ex responsabile marketing del LISA, ma Jobs insistette affinché il progetto rimanesse interno alla Apple in tutto e per tutto, promettendo in cambio una presentazione principesca, e così fu.
Steve Capps era una delle colonne portanti nello sviluppo dell'Apple LISA, e realizzò su questa piattaforma una versione preliminare del gioco che venne provata ed apprezzata da Steve Jobs, convincendolo a desiderare a tutti i costi il giovane programmatore nel team Macintosh. Il gioco venne quindi convertito sul Mac, beneficiando del più rapido processore e pubblicizzato praticamente dall'inizio della vita della macchina, sin dalla primissima brochure informativa.
Capps riteneva che la via migliore per commercializzare il gioco fosse attraverso la Electronic Arts di Trip Hawkins, guarda caso ex responsabile marketing del LISA, ma Jobs insistette affinché il progetto rimanesse interno alla Apple in tutto e per tutto, promettendo in cambio una presentazione principesca, e così fu.
Regalatemelo. Serio. |
Magnifica nella sua peculiare forma “a
libro” per strizzare l'occhio all'omonimo racconto di Lewis Carrol
che fa da sfondo al gioco, la bellissima confezione di TTLG riflette
appieno la cura per l'estetica tipica dell'azienda ma,
fortunatamente, dietro a tanta apparenza c'era altrettanta sostanza.
Non solo Capps continuò a perrfezionare il gioco fino alla pubblicazione,
includendo le migliori richieste dello staff (Woz, ad esempio,
consigliò di ridurre le dimensioni del puntatore mano a mano che si
allontanava dalla base dello schermo, per simulare un effetto
di profondità) ma, poiché c'era ancora spazio sul dischetto, creò
Amazing, un accattivante gioco a base di labirinti generati
casualmente a seconda del parametro di difficoltà inizialmente
scelto da giocatore.
Gratis?! It's Amazing! |
Fu un fiasco nelle vendite purtroppo,
principalmente perché non ricevette un marketing adeguato, ma oramai
il vaso di Pandora era stato scoperchiato: da lì in poi il Mac non
avrebbe potuto far nulla per nascondere la sua riservata facciata
ludica e sarebbero cominciate ad apparire conversioni di vari successi
dell'epoca come ad esempio Sim City, anche grazie all'uscita, alla fine dello
stesso anno, del Macintosh 512, versione con 512kb di ram al posto dei
128 del modello base.
Ma focalizziamoci sui titoli esclusivi: Dark
Castle (1986) è il primo gioco ad usare i tasti WASD in simbiosi con
il mouse, un traguardo non da poco. Si tratta di un titolo iconico per la storia del Mac gaming,
con due seguiti all'attivo e una duratura fanbase. Convertito su
un'infinità di piattaforme dal Megadrive al CD-i, le versioni
postume non riuscirono a raggiungere l'impatto dell'originale, tra
controlli atroci e grafica inadeguata, orfana delle evocative e
nitide schermate in alta risoluzione del titolo originale.
Nei panni del
Principe Duncan, il giocatore deve entrare nel Castello Oscuro del
titolo e sconfiggere il Cavaliere Nero. Duncan può difendersi solo
lanciando rocce - orientando la mira con il mouse - attraversando piattaforme,
risolvendo enigmi e lapidando i nemici alla ricerca di uno scudo incantato e della magia del fuoco con cui avere una possibilità contro
la sua nemesi. Le stanze del maniero possono essere affrontate in
qualsiasi ordine dalla schermata iniziale, e i tre livelli di
difficoltà nascondono nemici più numerosi e trabocchetti extra. Fu
anche uno dei primi titoli a contenere una easter egg, giusto qualche anno dopo
Adventure di Warren Robinett su Atari 2600: se giocato il 25 Dicembre, il minaccioso salone del castello (che funge da selezione dei livelli) appare agghindato da decorazioni natalizie!
Gli esordi del Mac gaming: presentazione pulita e chiarissima. |
Notevole l'impatto di Deja Vu e, in generale, della serie Macventure
nel 1986: in un mondo dove giocare un'avventura voleva dire prendere a
testare un cocciuto parser, MacVenture offriva il primo assaggio di
interfaccia punta e clicca, destinata a divenire fonte di ispirazione
per lo SCUMM di Lucasfilm Games.
Horrorsoft ha un grosso debito nei confronti dei Macventure... |
Era come scoprire un nuovo mondo: le
dettagliate finestre fornivano tutti i dati necessari, dalla visuale
della locazione in prima persona all'inventario, senza
lasciare nulla all'immaginazione. Davvero incredibile pensare che, a eccezione dei dialoghi, non era
necessario inserire nemmeno una riga: seriamente, all'epoca ci ero rimasto secco per lo stupore! Quattro furono i giochi di
questa serie: Deja Vu e seguito (Deja Vu II: Lost in Las Vegas -
1988) sono storie di detective hard boiled, Uninvited (1986) è un
horror mentre Shadowgate (1987) un'avventura fantasy.
...no, sul serio. |
La semplicità
dell'interfaccia rese possibile sdoganare il genere avventura anche
su macchine che non disponevano dei mezzi (leggi tastiera) per permettersi
degni esponenti del genere: Shadowgate, ad esempio, venne convertito
con successo per NES, e due seguiti vennero prodotti per Turbografx16
e Nintendo 64; addirittura il Game Boy Color si aggiudicò una
compilation con i due Deja Vu in una sola cartuccia.
Investigazioni dall'altra parte dell'oceano su PC-98... |
...e in tasca, su GBA. |
Al Mac spetta
anche il primato di ospitare The Manhole (1988), il primo gioco su CD ROM. Scritto nel linguaggio HyperTalk sviluppato dai fratelli
Miller, gli stessi che avrebbero in seguito creato Myst sotto la loro etichetta Cyan Worlds, il gioco si presenta come un'avventura per i più
piccoli: nella prima schermata un tombino può essere aperto per
liberare una gigantesca pianta di fagioli che può essere scalata per
esplorare mondi fantastici.
Cosa vuoi che ci sia sotto un tombino? |
Schermata dopo schermata i giovani
esploratori possono cliccare su decine di hotspot, rivelando nuove
locazioni, dialogare con bizzarri personaggi e attivare animazioni ed
effetti sonori senza un fine preciso: l'importante è scoprire passo
passo le sorprese nascoste nel mondo di gioco e divertirsi.
Il
seguito spirituale, Cosmic Osmo and the Worlds beyond the Mackerel
(1989), alza l'asticella, offendo un universo di gioco ancora più grande.
Osmo è un alieno panciuto e bonaccione e i videogiocatori vivranno
avventure a bordo della sua astronave, girovagando per sette pianeti, tre in più rispetto alla versione su dischetto. Volete imbrattare la
tela nel suo soggiorno con gli strumenti di MacPaint? Scrivere un
libro da fargli leggere? Mettervi alla guida della sua astronave o,
più semplicemente, lavare i piatti facendo scoppiare le bolle di
sapone solo per scoprire il passaggio per una nuova locazione nello
scarico? Il quantitativo di cose da fare è enorme, e la britannica Ace non tardò a
ritenerlo una pietra miliare nella storia dei videogiochi, definendolo
come la prima killer application per Macintosh.
Incontri ravvicinati del tipo ittico: non è Darius ma l'astronave di Osmo è equipaggiata con letali lancia cotton fioc! |
Il Mac quindi, a
dispetto della sua apparenza, ha sempre avuto il cuore di una vera Games Machine: nonostante il primo modello offrisse un nitidissimo
monitor monocromatico alla risoluzione di 512x342, già nel Marzo del
1986 il Macintosh II si presentava con 256 colori su schermo alla
risoluzione di 640x480 su un superbo schermo da 13 pollici.
Insomma, prima che la Apple diventasse il ponte radical-chic verso l'informatica per una masnada di rincoglioniti, incapaci di sostituire una scheda video ma ben disposti a cacciare novecento euro per un telefonino, il Macintosh era davvero un ghiottissimo oggetto del desiderio.
E
ovviamente i giochi continuavano ad arrivare: Balance of Power (1985)
di Chris Crawford é un simulatore geopolitico ambientato nella
guerra fredda dove il giocatore, nei panni del presidente degli Stati
Uniti o del segretario del Partito Socialista, deve attraversare otto
anni, amministrando crisi e problemi su scala mondiale evitando di
pestare i piedi alla superpotenza avversaria.
Una copertina simile non sopravviverebbe alla fase di brainstorming al giorno d'oggi. |
O ancora il giocabilissimo Shufflepuck Café (Brøderbund
- 1989), un simulatore in chiave sci-fi/fantasy dell'air-hockey: praticamente
pong in prima persona contro improbabili avversari, spassosissimo
grazie all'utilizzo del mouse.
Molto bella anche la conversione per Amiga e ST. |
Altro interessante esperimento è The
Fool's Errand (1987) di Cliff Johnson, un metapuzzle contenente
decine di enigmi, dalle parole crociate agli indovinelli passando per
crittogrammi, labirinti, immagini scorrevoli e anagrammi. La loro
risoluzione permetterà di leggere nuovi capitoli nella storia
narrata, che vede uno sciocco intento a cercare fortuna nella terra
dei tarocchi in barba ai sortilegi della Sacerdotessa, cercando la
soluzione della Mappa del Sole, a sua volta un ulteriore enigma.
Risolvere tutti quegli enigmi per
completare la mappa del sole sarà un'impresa, in The Fool's Errand
|
L'autore
ha reso il gioco di pubblico dominio, ma consiglia caldamente di
giocare la versione originale per Mac mediante emulatore per via
della maggior risoluzione. Un gran titolo, accolto con entusiasmo
sull'ultimo numero del TGM inglese, sfortunatamente mai trattato
nella versione italiana.
Marathon è una serie di FPS fantascientifici sviluppata da quei Bungie che, anni dopo, avrebbero
trovato la fama grazie ad Halo. I ragazzi avevano
dimostrato classe da vendere con Pathways into Darkness (1993), un
rivoluzionario mix tra sparatutto in prima persona e avventura
dinamica, curiosamente ambientato nello stesso universo.
Ecco un altro capolavoro che invidiavo, a 'sti fan della mela! |
Tecnicamente superba, la
trilogia di Marathon pone grande enfasi sulla narrativa, disseminando
terminali nelle aree di gioco con cui il giocatore può scoprire
importanti informazioni sulla trama e sull'ambientazione. Questa
caratteristica è enfatizzata nel terzo capitolo, Infinity,
che presenta una narrazione non lineare. Il giocatore viaggia
attraverso differenti linee temporali con lo scopo di impedire la
liberazione dell'impronunciabile entità W'rkncacnter, riscrivendo la
storia prima che l'universo venga obliterato.
Davvero avantissimo rispetto ai tempi. |
Ma, trama a parte, i
giochi sono davvero eccellenti, con un engine all'avanguardia,
riscritto nel secondo capitolo per incorporare i combattimenti
subacquei e modificato per il terzo, vantando inoltre uno stiloso HUD
con tanto di scanner di movimento, che fa tanto Aliens Scontro Finale.
Coadiuvato dagli editor Forge e Anvil, rispettivamente adibiti a
mappe e grafica, il gioco continua a offrire un divertimento duraturo per la sua
prolifica comunità di fan.
La trilogia è oggi gratuitamente scaricabile per Windows, Unix e Mac OS X, permettendo a tutti di
(ri)scoprire un importante tassello nella storia del Macintosh.
"... il ponte radical-chic verso l'informatica per una masnada di rincoglioniti, incapaci di sostituire una scheda video ma ben disposti a cacciare novecento euro per un telefonino"
RispondiEliminaVoglio adottarti.
Speravo fossi più interessato al valore didascalico del pezzo, Nik :D
EliminaE lo sono, ma quella frase andrebbe esposta tipo nei tribunali sotto "la legge è uguale per tutti", per dire.
EliminaMa tornando in tema, ho sempre pensato che quello schermo monocromatico a risoluzioni folli per l'epoca fosse terribilmente sexy. E la serie MacVenture (soprattutto l'inquietantissimo Uninvited) meritava il giusto spazio.
Sì, il Mac-gaming è un universo molto ghiotto da esplorare e filosoficamente quasi agli antipodi di ciò che può essere considerato oggi l'iOS-gaming. Rimasi di stucco di fronte a Spaceship Warlock, veramente due passi avanti a prodotti contemporanei. Peccato tutto ciò fosse iper-elitario.
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