“La perfezione è l’unico standard
accettabile”. Era questa il roboante motto di Mark Cale,
cofondatore di una realtà capace di incarnare in un curriculum
costellato di successi il momento più alto della storia del
Commodore 64. Ci piace Mark Cale, spocchioso e arrogante in modo
irresistibile, e non solo per via dei suoi slogan megalomani. In
giovinezza era uno degli assistenti del celebre fotografo inglese
Norman Parkinson, una vera e propria leggenda anglosassone, e veniva
mandato occasionalmente a scattare foto presso Atari UK dove era
solito sbeffeggiare lo staff per la scadente qualità dei giochi per
2600. Un comportamento adorabile che richiamò l’attenzione del
direttore per lo sviluppo software Jon Nerledge. Quest'ultimo, un attimo
stizzito, consigliò a Mark di fondare la propria software house per
scrivere e pubblicare titoli all'altezza dei suoi gusti raffinati. E così
fu: già abbondantemente stufo della carriera da fotografo, Mark tirò
sul carrozzone l’amico Emerson Best e uno studente di informatica,
tale Michael Koo. Quest’ultimo se ne andò prestissimo, ma va
citato perché il corso che frequentava si chiamava System Studies.
Un bel nome, e considerando che loro erano in tre…
Sì, decisamente è un gioco per Atari 800...
Colony 7 è il
loro primo gioco, e risale al 1982. Uno sparatutto ben confezionato
in grado di sfruttare efficacemente l’accesa palette dei computer a
otto bit Atari, basato senza troppo pudore su un omonimo coin-op
Taito uscito appena un anno prima.
Stesso titolo, o quasi, in sala giochi.
Un inizio incoraggiante a cui
seguirono Lazer Cycle (1983) su BBC Micro ma, soprattutto, il
bellissimo (ok, per l’epoca) Death Star Interceptor nel 1984, uno
dei primi giochi su licenza di Guerre Stellari.
Non parliamo dei diritti cinematografici, visto
che l’accordo riguardava solamente la colonna sonora di John
Williams, tuttavia si trattava di un brillante arcade in terza persona che
consegnava nelle mani dei nerd di allora la possibilità di mettersi
alla cloche di qualcosa assai simile a un X-Wing e lanciarsi contro
nugoli di Tie-Fighter (rigorosamente non ufficiali) per spingersi fino
al duello con la versione tarocca dell’arma imperiale più amata
dai residenti di Alderaan.
Made in China.
Insomma, sebbene la licenza fosse un po’
tirata per i capelli (nel secondo livello capita di abbattere anche
altri X-Wing assieme ai bersagli imperiali), il gioco riscosse
un buon successo tra le riviste di allora, specialmente riguardo la
versione Spectrum, forte del parlato digitalizzato (“Prepare to
launch!”) assente su Commodore 64.
Inebriato dal traguardo, Marc
viaggiò negli Stati Uniti per riuscire a vendere i diritti del gioco
oltreoceano, ma, a sorpresa, avvenne il contrario, e fece ritorno in
Inghilterra con alcuni giochi prodotti da Tronix. Da un
giorno all’altro, System 3 era diventato il primo publisher europeo a
importare videogiochi dagli Stati Uniti. Meglio ancora, Mark era
entrato in contatto con Activision, a sua volta in procinto di
sbarcare sul mercato europeo con la succosissima licenza di
Ghostbusters a seguito. Urgeva entrare nelle grazie del peloso quanto geniale
David Crane, e International Karate pareva il gioco adatto per
impressionare gli yankee. Un titolo scritto col cuore, personalmente
dettato dall’amore di Emerson Best per il taekwondo, disciplina che
padroneggiava a livelli tali da garantirgli un posto nella squadra
britannica. Ma anche un gioco nato sotto una pessima stella,
commissionato a LT Software e portato avanti tra notevoli sofferenze,
come una versione Spectrum discretamente oscena e programmatori
assenteisti. Come colpo di grazia, lo stesso Emerson
lasciò la compagnia, lasciando Mark completamente solo a dirigere la
baracca. Come ci si presenta, quindi, al PCW Show del 1985 con un gioco
annunciato, ma di cui non si ha in mano assolutamente nulla?
Con uno
spettacolo al limite del kitsch, ecco come!
Tre dominatrici
scarsamente abbigliate davano spettacolo per promuovere Twister:
Mother of Harlots, uno dei primi giochi creati dalla Sensible
Software di Jon Hare, precedentemente illustratore presso la stessa
LT Software. Come extra, dei karateka spaccavano tutto quello che
c’era da distruggere tra tavolette e tegole per pubblicizzare il
fantomatico International Karate, il tutto mentre gli organizzatori
della fiera minacciavano di togliere la corrente allo stand,
ritenendo lo spettacolo non adatto ai più giovani.
Activision però
non si lasciò scomporre da una simile quisquilia e firmò un accordo
per distribuire i giochi di System 3, finanziando lo sviluppo e
intascando una fetta dei proventi. Un traguardo eccezionale, e
Twister (1986, per l’occasiona rinominato in Mother of Charlotte)
fu il primo gioco a beneficiarne. Col senno di poi, si tratta di una sorta di
incrocio tra Disc of Tron e Space Harrier sotto anfetamine contro
nemici fuori di testa, nel caso provaste il malsano desiderio di
recuperarlo.
Pare American Gladiator, ma è lo stand di System 3
Un risultato diverso dalle aspettative iniziali, che
vedevano il favorito International Karate debuttare per primo sotto
il vessillo Activision. Specialmente dopo che LT Software era stata
saggiamente accantonata a favore di un Archer MacLean in gran
spolvero e reduce dal successo di Dropzone. Fu colpa di Scott Orr,
capo dell’etichetta Gamestar che Activision aveva precedentemente
acquisito, attratta dalla sua singolare produzione sportiva. Egli
reputò l’idea alla base del gioco perdente in partenza e
assolutamente inadatta al pubblico americano, concedendo quindi i
diritti a Epyx che distribuì il gioco negli Stati Uniti col nome
World Karate Championship.
Orr in seguito avrebbe creato
l’importantissima serie Madden Football una volta emigrato in
Electronic Arts, tuttavia riguardo International Karate non fu affatto lungimirante, dato che il gioco, nella sua incarnazione a stelle e strisce, fu un enorme successo,
dominando le classifiche di vendita e facendo intuire alla direzione
di Activision che Mark Cale aveva le idee assai chiare su cosa
rendeva vincente un videogioco. Il polverone causato da Data East
riguardo il presunto plagio ai danni di Karate Champ non fu altro che
pubblicità gratuita, contribuendo a cementare la fama di un gioco di
per sé popolarissimo.
Il bello però doveva ancora venire, come
concordavano all’unisono i ragazzi inglesi che decretarono The Last
Ninja il gioco dell’anno 1987 grazie a un sondaggio pubblicato sulle pagine di Zzap!64. Cosa si poteva fare, altrimenti, di
fronte alla spiazzante bellezza di quell’avventura isometrica che
faceva improvvisamente tornare in auge le arti marziali sugli schermi
a otto bit, condannando nel frattempo il pur glorioso Filmation
Engine di Ultimate Play the Game allo sfasciacarrozze?
The Last Ninja, un gioco che amo, ma che il mio amico Babich disprezza. La Guerra Civile è scoppiata per molto meno.
Ironia della
sorte, Mark decise di sviluppare il gioco perché era stato in
gioventù un accanito fan di Adventure di Warren Robinett, brillante
esponente della stessa ludoteca per VCS che amava prendere in giro
durante i suoi servizi presso Atari.
Con John Twiddy al codice, Hugh
Riley ai pennelli di una tavolozza che pare non essere invecchiata di
un giorno e – dulcis in fundo – una colonna sonora tanto bella da
far piangere lacrime di gioia ad opera di un Ben Daglish
assolutamente divino, The Last Ninja ha piazzato quasi otto milioni
copie in un’epoca dominata dalla pirateria. System 3 aveva iniziato
a farsi un nome di tutto rispetto nella scena sessantaquattrista,
lavorando con artisti di alto livelle e mantenendo una potente
sinergia con Activision, che arrivava a commissionare alla software
house di Mark Cale interventi sulla miriade di licenze che
regolarmente gestiva, come ad esempio l’adattamento del film
Predator nell’inverno del 1987. Stava diventando, inoltre, il punto
di riferimento per i patiti delle arti marziali digitali tra
karateka, ninja e lottatori di muay thai grazie all’uscita
dell’impressionante quanto controverso Bangkok Knights (1987), con
i suoi sprite giganteschi e un’anima oscura volta al button
mashing più becero. Un difetto su cui all’epoca si poteva tranquillamente
chiudere un occhio quando si impugnava il joystick davanti a
personaggi così grossi, fluidi e dettagliati. Stavolta la colonna
sonora è firmata da Rob Hubbard e Mark pensa in grande, stipando la
stampa britannica su un aereo alla volta della Tailandia per
mostrarle un vero incontro di boxe tailandese!
Mi piacciono molto le specialità locali lì dietro, con il suino dall'espressione rassegnata.
Non a caso il gioco
vede la luce anche sugli emergenti sistemi a sedici bit, purtroppo
perdendo per strada lo stupore suscitato dalla versione per il meno
potente Commodore 64.
System 3 era quindi inarrestabile e,
dopo Bangkok Knights, fu la volta del dovuto The Last Ninja 2 (1988),
un secondo capitolo capace di sbriciolare il record dell’illustre
predecessore piazzando lo sproposito di 13 milioni di copie
vendute complessivamente.
Ah, nel caso lo spocchioso amico nerd appassionato di fumetti DC (LOL) vi presentasse una lista a suo dire completa di giochi con comparsate di Superman, voi zittitelo con QUESTO.
Vera e propria pietra miliare della storia del
Commodore 64, questo secondo capitolo è ambientato nella New York
dei giorni nostri sulle tracce del redivivo spirito dello shogun
Kunitoki, e vanta una realizzazione – se possibile – superiore
alla prima avventura del ninja Armakuni. Si tratta nuovamente di
un’avventura arcade in chiave isometrica, ma gli enigmi che avevano
conquistato il cuore del popolo sessantaquattrista vengono
brillantemente reinterpretati nel contesto urbano, migliorando nel
frattempo animazioni e collisioni, specie nel caso dei tremendi
salti che costringevano i giocatori a vere e proprie cacce al pixel.
L'odio, quello vero...
Io e il mio amico Paolo lo sappiamo bene, marcavamo col pennarello il televisore nelle zone in cui Armakuni era al sicuro, evitando di sprofondare in paludi e fossi vari.
... ma nel seguito, i salti fatali sono presenti in numero minore, e più permissivi.
The Last Ninja 2 è stato un gioco importante, tanto da
convincere System 3 a proporlo come titolo di lancio per il mai
pubblicato Konix Multisystem.
Jon Steele, ex programmatore di
Attention to Detail, era al lavoro sul gioco prima della cancellazione
di programma e console, e recentemente ha portato alla luce alcuni
floppy colmi di dati che testimoniano l’eccellente resa su una
macchina che, sfortunatamente, non abbiamo mai potuto toccare con mano. Una testimonianza d'oro, emersa in seguito all’uscita dello Slipstream,
il primo e unico emulatore per la macchina fantasma di Konix, creato in
seguito al recupero di un kit di sviluppo.
Quanto vorrei giocarlo...
Un gioco tanto importante
da spingere Ultimate Play the Game a entrare in contatto
con System 3 per realizzare una versione per NES.
Una proposta
rifiutata, un po’ per il solido legame con Activision, un po’ per
superbia: Ultimate Play the Game era un nome enorme su Spectrum, ma
la sua produzione per Commodore 64 non aveva mai brillato
particolarmente e appariva quasi amatoriale di fronte alle gemme sfornate da System 3.
Con il senno di poi chi lo sa, magari passare dalla parte degli Stampers sarebbe stata una mossa vincente in previsione del fattaccio in cui si trovò invischiata
Activision per colpa di Magnavox, che accusava la casa più odiata da
Ray Kassar di aver in qualche modo infranto alcuni brevetti
riguardanti i videogiochi domestici (trovate i dettagli online
sull’ottimo patentarcade.com). Activision uscì dalla causa
estremamente provata, con forti ripercussioni su System 3 che, tra
videogiochi sviluppati internamente e lavori su licenza, si
occupava di una fetta considerevolmente ampia della sua produzione sul
finire degli anni Ottanta, e il denaro dovuto dall’ormai sfiancata
azienda di David Crane e soci venne pagato solo in parte.
Al di là della sopraffina programmazione di Stanley Schembri, Vendetta (1990) è un mediocre gioco d'azione in chiave isometrica che ricorda solo graficamente The Last Ninja.
Forse anche
per questo il legame dorato tra le due software house cessò nel
1990, lasciando System 3 priva di un publisher d’eccezione,
tuttavia sempre più determinata a sfornare titoli di qualità.
Andando in ordine sparso, nel 1987 è la volta di International
Karate + di cui potete leggere qualcosa in un vecchio articolo. Altro successo fu Myth nel 1989, un’avventura
arcade con contorno di piattaforme che “riciclava” la premiata
coppia Peter Baron & Bob Stevenson, già artefici qualche mese
prima dell’ottima conversione di Salamander, assieme al
maestro del SID Jeroen Tel per un viaggio attraverso diverse ere,
capace di alzare ancora di più l’asticella dei prodotti System 3.
Altri titoli degni di lode sono l’insolito
(per la produzione di System 3, per lo meno) sparatutto Dominator
(1989) e Tusker, ennesima avventura arcade, stavolta caratterizzata da un look à la Indiana
Jones e da una gestazione problematica: Ace parlava di un paio di
false partenze, corredando le anteprime dell’epoca con schermate
che mostrano nemici inesistenti nel prodotto finale, mentre
meccaniche acerbe, una longevità mediocre e un sacco di oggetti
privi d’utilità lasciano intuire che il gioco venne confezionato
in fretta e furia per uscire nell’autunno del 1989 e non scontrarsi
nella stagione natalizia contro Myth. L’aria del cambiamento arriva
con Flimbo’s Quest nell’estate del 1990, un gioco di piattaforme
colorato e spensierato che viene pubblicato per la prima volta senza
l’apporto di Activision.
Scimmie e cinghiali assenti nella versione definitiva
È la qualità del portfolio ad attutire
la caduta della software house, perché i giochi System 3 iniziano a venire venduti in
bundle assieme ai computer Commodore (Flimbo’s Quest addirittura
figura tra i giochi allegati allo sfortunato GS) e questo permette a Cale e
compagni di continuare a realizzare titoli all’avanguardia su Commodore 64 quando
oramai il mercato iniziava a guardare oltre, vedi lo straordinario gioco di
combattimenti stradali Turbo Charge, scritto dal leggendario
Chris Butler, e il necessario – dopotutto la trilogia andava
conclusa ad ogni costo – The Last Ninja 3, che conquista un
altisonante 100% sulle pagine di Your Commodore.
Presentazione audiovisiva ai massimi livelli in Turbo Charge, un'esclusiva per Commodore 64.
Il successivo periodo è di transizione, ma
costellato di importanti pubblicazioni: poiché circuiti e silicio
sono ben più costosi di floppy e cassette, System 3 si avvicina al
mercato console cautamente, formando alleanze all’occorrenza. Se
Super Putty (versione pubblicata nel 1993 per Super Famicom di Putty,
gioco uscito nel 1992 su Amiga e caratterizzato da una genesi
tragicomica a causa di allucinazioni dovute all’afa indiana per il
programmatore Phil Thornton) fa debuttare lo studio sul sedici bit
Nintendo, il suo arrivo passa attraverso distributori quali US Gold e
Varie Corporation, a seconda della regione. In maniera simile, System
3 stessa si adopera per distribuire in Europa lo sparatutto isometrico Desert Fighter (Air Sea
Patrol in origine, 1994), creato dalla giapponese Opus Studio e
ispirato al successo di Desert Strike di Electronic Arts.
Fu però la
pubblicazione di Constructor per PC (1997) a rilanciare il marchio in
un periodo in cui i fasti sulle macchine Commodore parevano
pericolosamente distanti. Il successo di questo scanzonato strategico
in tempo reale fu tale da creare una collaborazione con Virgin
Interactive per la distribuzione in Europa di titoli per PSX quali
Battle Arena Tohshinden 4 o Guilty Gear, seguito a ruota dalla
proficua etichetta Play it per PS2, incentrata su titoli a basso
costo per un mercato casual, come la compilation Intellivision Lives.
Dopo titoli multipiattaforma
quali Ferrari Challenge Trofeo Pirelli (2008) e incursioni nel
passato, vedi il remake di Impossible Mission per Nintendo DS
pubblicato nel 2007, il futuro della compagnia è al momento un'incognita.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina