martedì 18 dicembre 2018

Quello lì parla di Armalyte nel calendario dell'avvento, quindi andiamo di Thalamus. AKA: che palle, è già arrivato il momento di aggiornare annualmente il blog.

Quando pensi al Commodore 64, pochi publisher vantano un catalogo di successi simile a Thalamus. È l’insieme di tanti fattori, il punto d’incontro tra sviluppatori straordinari e una realtà, quella della Newsfield, che in quegli anni era diventata sinonimo di videogiochi in Inghilterra. Verso la metà degli anni Ottanta Roger Kean si trovava infatti bombardato da un non troppo velato suggerimento: che si tratti di programmatori, degli stessi redattori di Crash! e Zzap! o dei semplici avventori che incontrava alle fiere di settore, tutti erano convinti che il debutto della casa editrice di Ludlow nel proficuo mercato del software sarebbe stato un colpo da maestro, destinato a popolare gli scaffali dei negozi di videogiochi con un’etichetta tanto riconoscibile quanto le iconiche riviste che sfornava mensilmente.

Un progetto che però portava con sé numerose incognite.

Prima di tutto l’affidabilità delle future recensioni, considerato che la EMAP (la rivale di Newsfield) era già stata criticata per i punteggi presumibilmente “gonfiati” elargiti a giochi dell’etichetta interna Beyond da parte della loro C+VG. Poi, bisognava mettere assieme una squadra, composta non solo da programmatori capaci di scrivere software di qualità quindi, ma anche da professionisti con la dovuta conoscenza del settore.
Nel primo caso, Newsfield riuscì a mantenere separate le due realtà sufficientemente bene, senza (quasi) mai spingere sui voti e concedendo carta bianca ai suoi recensori, purché questi avessero sempre giustificato chiaramente i loro pareri. Celebre sotto questo punto di vista la recensione di Delta (1987), con un Gary Penn particolarmente inviperito che da solo fruttò al gioco di Stavros Fasoulas un controverso 74%, alla faccia dei commenti entusiasti di Rignall e soci.

"Daje Stavros", diceva Julian...

...Gary, d'altro canto, la pensava diversamente.
Per quanto riguarda la squadra di esperti, questa venne messa assieme unendo le conoscenze dell’ex PR manager di Activision Andrew Wright - visitatore abituale degli uffici di Zzap! - con la competenza del membro della redazione Gary Liddon, precedentemente programmatore alla corte di Domark e in possesso del know-how necessario per donare carattere e valore alla neonata software house. Come ciliegina sulla torta vanno ricordate le splendide copertine dei giochi, realizzate dal leggendario Oliver Frey, assieme al celebre logo, un enigmatico volto descritto dallo stesso disegnatore come “determinato a vincere, con lo sguardo fisso verso il passato e il futuro”.


Era tutto pronto, compresi i nuovi uffici affittati a Londra nello stesso stabile che ospitava la redazione di LM Magazine, ennesima testata di Newsfield, stavolta dedicata al mondo dell’entertainment a tutto tondo con uno spettro di argomenti che abbracciava, tra le altre cose, film, letteratura e salute, purtroppo chiusa dopo soli quattro numeri.
Mancavano solo i programmatori, ma il solito, guardingo Rignall ne scovò uno eccezionale durante il PCW Show del 1986. Si tratta di Stavros Fasoulas , un eccentrico finlandese che asseriva di aver sottomano le routine necessarie per creare un nuovo capolavoro per Commodore 64, prontamente invitato a Ludlow al termine della fiera e messo all’opera con un continuo feedback da parte dei due Gary (Penn & Liddon), che lo avevano “adottato” nell’appartamento dove erano coinquilini.
Il gioco era Rainbow Warrior, un titolo dato da Stavros in onore dell’iridescente fondale del livello bonus, in seguito ripensato a causa dell’affondamento dell’ammiraglia di Greenpeace da parte dei servizi segreti francesi nel 1985, che causò la morte del fotografo Fernando Pereira. 

Che poi un (orribile) videogioco chiamato Rainbow Warrior uscì davvero nel 1989...
Quindi il titolo venne cambiato in Sanxion, e rappresentò un inizio in pompa magna per Thalamus, con un’azione sparatutto rapidissima dotata dell’inedita possibilità di variare la velocità dello scrolling e di una singolare ripartizione dello schermo in due finestre, che visualizzavano l’azione dall’alto e orizzontalmente. Esaltato da un’ottima colonna sonora di Rob Hubbard, Sanxion era un titolo esemplare che sfruttava le possibilità della macchina Commodore per consegnare ai giocatori un’azione degna di un coin-op, tanto che la successiva conversione per Spectrum ad opera di Sofstorm Developments arrivò solo nel 1989, penalizzata da severi tagli tra cui spicca l'assenza della velocità variabile.

Che velocità Sanxion!

 Stavros era in formissima e, prima di tornare in Finlandia per il servizio di leva obbligatorio, contribuì in modo determinante alla reputazione di Thalamus realizzando altri due giochi fondamentali. Lo sviluppo di Delta (1987) iniziò subito dopo la conclusione di Sanxion, e anche stavolta Hubbard era della partita, scrivendo una colonna sonora ipnotica che prende ispirazione da On the Run dei Pink Floyd, un suggerimento gentilmente sussurrato da Liddon che, ai giorni nostri, richiamerebbe stormi di legali famelici. Il gioco vanta un’ottima grafica che trae ispirazione dal leggendario Gradius di Konami, assieme a uno schema di gioco rapidissimo ma non particolarmente intuitivo, che presenta un curioso sistema di armamento progressivo subordinato al punteggio del giocatore. Un punteggio alto permetteva di acquistare potenza di fuoco extra, ma i pickup che non potevano essere “pagati” divenivano letali ostacoli. Successo unanime invece per Quedex (1987), un puzzle game che deve il nome dal sottotitolo “the quest for ultimate dexterity”.


In movimento, la grafica di Quedex aggiunge spessore a un ottimo puzzle game.

Si controlla una sfera attraverso una decina di livelli, direttamente selezionabili all’inizio, e bisogna raggiungere l’uscita superando una serie di trappole come serrature, teletrasporti e salti. All’audio un ottimo Matt Gray, qui probabilmente al suo debutto in un gioco commerciale. Come già detto, Stavros Fasoulas sarebbe dovuto tornare in patria per adempire ai suoi obblighi, ma non si tratta dell’unica defezione: Andrew Wright tornò infatti all’ovile tra le braccia di Activision, mentre Gary Liddon emigrò in Electronic Arts per problemi economici maturati con la dirigenza di Newsfield

Thalamus aveva appena fatto in tempo a diventare un’etichetta prestigiosa nell’affollatissimo mercato a otto bit che già si trovava priva di alcuni tra i suoi più importanti membri, lasciando nelle mani del nuovo produttore Paul Cooper una bella gatta da pelare. In soccorso giunse dunque Martin Walker, eclettico programmatore che fino a quel momento non aveva avuto occasione di brillare, legando il suo nome ad alcuni titoli francamente atroci come l’adattamento di Back to the Future per Electric Dream, un gioco così brutto (nonché partorito a tempo di record, va ammesso) e confusionario che non capisci quello che succede sullo schermo nemmeno se guardi un walkthrough su Youtube. 

From zero...
Hunter’s Moon (1988) era davvero notevole, un mix tra sparatutto e rompicapo con centinaia di livelli divisi in decine di sistemi stellari, tutti inclusi nella memoria di un singolo caricamento. L’azione su schermo viene generata preceduralmente, con due cellule che creano mano a mano “mattoni” d’energia destinati a soffocare l’area di gioco e limitare la mobilità della nostra astronave. Grazie al fluidissimo scorrimento multidirezionale è possibile districarsi nei mutevoli labirinti abbattendo le pareti e raccogliendo un sufficiente numero di unità di energia con cui guadagnare l’accesso al livello successivo; i più abili possono mirare a massimizzare il bottino entro uno stretto limite di tempo, ottenendo in premio un lasciapassare per gli stage avanzati.

... to hero. Con centinaia di livelli e un vellutato scorrimento multidirezionale, Hunter's Moon consacra Martin Walker.
Un gioco sicuramente originale, tanto particolare che Zzap! concesse un diario mensile (A modo mio, nell'edizione italiana) a Martin, in modo da fargli descrivere le gioie e i dolori della programmazione del suo virgulto. Il titolo successivo causò polemiche un po’ ovunque, senza disdegnare gli italici lidi. Hawkeye (1988) è realizzato dalle ex star della demoscene Boys Without Brains, e si tratta di un arcade a scorrimento orizzontale tecnicamente inattaccabile in cui una SLF (Synthetic Life Form, un cyborg da guerra a torso nudo inalberato come un’ape) deve raccogliere quattro chiavi nascoste in ogni livello, prima di procedere al successivo. Lo schema di gioco lineare viene bilanciato alla grande da quattro armi di diversa potenza, uno squisito parallasse, sprite nemici giganteschi, colonna sonora di Jeroen Tel remixabile durante il caricamento e un’introduzione incredibile, con il volto di un ambasciatore alieno intento a narrare il declino del suo popolo e le motivazioni per l’utilizzo della SLF. Chiamata in origine "Talk to me", venne scritta dai ragazzi senza cervello prima ancora del gioco vero e proprio.

Semplice da giocare, e parecchio divertente.

Purtroppo la semplicità dello schema di gioco non andò a genio alla redazione rivale, e C+VG punì il titolo con un insensato tre su dieci nel numero di Settembre 1988.
D’altro canto, il 96% concesso da Zzap! finì al centro della polemica quando Gordon Houghton ammise che quella Medaglia d’Oro era stata un premio decisamente esagerato, frutto della volontà di premiare un gioco tecnicamente massiccio da parte dei piani alti: una proposta difficile da rifiutare a inizio carriera. A onor del vero non si trattò di un vero e proprio ordine, quanto di un semplice consiglio: il giovane Gordon cercò però di accontentare un po’ tutti, e il risultato lo conosciamo. In un'ipotetica lotta che vede contrapporsi i voti al vetriolo di C+VG e la generosità di Gordon, va detto che in Italia ci beccammo il meglio dei due mondi, con la recensione sull’edizione nostrana di Zzap! tradotta direttamente dalla versione inglese, con l’aggiunta di un piccolo ma importante box. Era (da pronunciarsi con voce rigorosamente fantozziana) la mannaia del Caporedattore Mascherato, l’alter ego dell’ottimo Fabio Rossi che puntava il dito contro il presunto plagio del gioco ai danni di Obliterator di Psygnosis.

Click to Caporedattore Mascherato.

Un paragone quantomeno dubbio: i presunti, incriminanti punti in comune erano la presenza di quattro diverse armi e di un protagonista cyborg chiamato a salvare una civiltà sull’orlo dell’estinzione.

Tralasciando ovvimente il fatto che Hawkeye era un arcade frenetico, mentre Obliterator un’avventura lentissima incentrata sull'esplorazione di un enorme vascello alieno, dove sparatorie, salti e piattaforme venivano gestiti via mouse.

What?
Laurens van den Donk dei Boys Without Brains se ne sarebbe fregato delle elucubrazioni di un folle italiano e avrebbe riproposto lo schema di gioco identico e spiccicato alla corte di System 3, nel gioco di piattaforme Flimbo’s Quest; tuttavia, se tanto mi da tanto, l’abbuffata di cloni di Street Fighter 2 negli anni Novanta avrà probabilmente fatto esplodere il fegato del Caporedattore Mascherato come un fuoco d’artificio.

C’è da dire però che il buon Rossi non aveva tutti i torti quando scatenava la feroce critica del suo lato supereroistico. Il mese prima, l’avvento di The Great Giana Sisters di Rainbow Arts aveva spinto Nintendo a scoraggiare la vendita del gioco a causa della similitudine con Super Mario Bros., creando il falso mito di una presunta causa mossa contro gli sviluppatori tedeschi. Quello dopo, invece, lo sparatutto Katakis (sempre Rainbow Arts) aveva fatto impazzire i radar della nervosissima Activision/Mediagenic. Possessore dei diritti per le versioni domestiche del campione d’incassi R-Type, la software house fondata da David Crane era pronta a spedire sciami di avvocati verso qualunque gioco ricordasse in qualche maniera il blockbuster Irem.
Una sorta di lotta contro i mulini a vento, considerando che gli sparatutto a scorrimento orizzontale erano un genere caldissimo alla fine del 1988, tanto più che Dan Philips, John Kemp e Robin Levy non erano neppure interessati alla lotta biomeccanica contro l’Impero Bydo quando misero assieme un team di sviluppo chiamato come una cattivissima megacorporazione cinematografica
.

Queste .gif non rendono giustizia alla flidità del gioco, però dai, quanta bella roba muoveva Armalyte...
I ragazzi di Cyberdyne Systems, infatti, erano grandissimi fan di Salamander, tanto che si proposero per l’eventuale conversione allo stand Konami durante una fiera del settore. Dopo la doccia fredda derivata dal fatto che i diritti erano finiti nelle mani di Imagine (tra l’altro mettendo al timone del progetto un team di soli assi composto da Peter Baron, Bob Stevenson e Mark Cooksey), il gruppo bussò alla porta di Thalamus sotto consiglio dell’onnipresente Julian Rignall, conosciuto alla stessa manifestazione.
Armalyte richiese nove mesi di lavoro prima di vedere la luce, concepito inizialmente con nomi quali ManoWar o Starburst. Nove lunghi mesi durante i quali i Cyberdyne Systems lavorarono assieme all’ottimo Martin Walker per quanto riguarda il reparto audio, e giocarono a fondo la loro creatura limando al meglio la difficoltà fianco a fianco con Rignall che, in quanto campione britannico di Defender, sapeva il fatto suo in ambito sparatutto.

Al momento del debutto, al gioco venne anche appioppato il sottotitolo “Delta 2” per attirare una maggiore fetta di pubblico, una decisione che sollevò qualche screzio nel team. Il risultato però rimane eccellente a distanza di anni, consegnando alla storia quello che, probabilmente, rappresenta il pinnacolo del genere per Commodore 64, con una presentazione audiovisiva di alto livello e una eccellente modalità di gioco cooperativo dove l'astronave del secondo giocatore non è un semplice color swap di quella principale, ma vanta uno sprite completamente diverso.
Il seguito avrebbe dovuto offrire, tra le altre cose, nuove armi e negozi  in cui investire preziosa valuta stellare, ma non se ne fece nulla quando la squadra salutò Thalamus per grane riguardanti le scarse royalties ricevute, e emigrò dalle parti di System 3 per creare Deadlock, uno dei più ambiziosi, incredibili e conseguentemente tristi vaporware mai scritti per Commodore 64.

Forse l'ultimo gioco su cui ho scommesso fino in fondo per il sixty-foro.
Lo Spectrum, del resto, rimase a bocca asciutta dato che il capitolo originale non si palesò mai sui suoi schermi, nonostante una promettente demo venne allegata alla rivista Your Sinclair.

Esiste una versione a sedici bit chiamata Armalyte: The Final Run, realizzata però da Arc Developments e complessivamente molto diversa dall’originale. C’è da dire che i giochi Thalamus raggiungevano alti livelli qualitativi su Commodore 64, ma fallivano nel replicare il successo su piattaforme più performanti. Il geniale Quedex arriva su Amiga nel 1988 con il nome Mindroll a cura di Silent Software (ma con il nome di Stavros Fasoulas ben in vista nello schermo dei titoli) assieme a Hawkeye, spogli dello stupore che sapevano evocare su otto bit; in entrambi i casi l’accoglienza della critica è tiepida, eufemisticamente parlando.

Impossibile replicare lo stesso successo su Amiga, con una roba simile.
Bisogna tornare all’ovile, dove i fratelli John e Steve Rowlands realizzano il massiccio Retrograde(1989), forti dell’ottima impressione iniziale ottenuta in seguito al platform Cyberdyne Warrior, apparso nella compilation 4th Dimension a cura di Hewson Consultants. Retrograde fa della potenza di fuoco il punto di forza, con un guerriero in jetpack lanciato all’assalto di mondi a scorrimento orizzontale dove fare incetta di cristalli con cui comprare tonnellate di armamenti, da distribuire e potenziare nelle sedici bocche di fuoco che circondano la tuta.

Cyberdyne Warrior è praticamente il prototipo di Retrograde...
Immensi guardiani di fine livello e curiose sezioni picchiaduro a scorrimento verticale (a tutti gli effetti una versione avanzata di Cyberdyne Warrior) completano il pacchetto, presentando alla ludoteca dell’otto bit Commodore uno dei suoi titoli più impressionanti, da recuperare a tutti i costi.

... o almeno nelle sezioni in cui ci si picchia con gli alieni.

Sotto il vessillo Apex Computer Productions realizzano quindi per Thalamus nel 1990 un altro successo coi fiocchi, ovvero C.R.E.A.T.U.R.E.S., acronimo per Clyde Radcliffe Exterminates All The Unfriendly Repulsive Earth-ridden Slime. È uno degli ultimi grandi titoli per Commodore 64, un gioco di piattaforme cute che fa il verso a coin-op Taito come Mizubaku Daibouken o The New Zealand Story  (il protagonista Clyde utilizza un’attrezzatura da sub simile a quello del kiwi Tiki nelle sezioni sottomarine), con l’aggiunta di sano humor nero. Alla fine di ogni livello, Clyde deve salvare uno dei suoi pelosi amici da una stanza delle torture, dove improbabili macchinari griffati Acme faranno di tutto per fare a pezzi il povero prigioniero. Presse, motoseghe e abbondanti bagni di sangue creano un particolare contrasto con la natura puccettosa del titolo, mentre un sistema di potenziamento acquisibile in un negozio previa collezione di mostriciattoli da cuocere e combinare mantiene alto l’interesse.

Quando l'elevatore sulla destra arriverà in cima, il peloso amico verrà fatto a pezzi da una motosega!
I Rowlands provarono a replicare il successo con un seguito sottotitolato Torture Trouble incentrato principalmente sulle stanze delle torture con preziosi & psicopatici input da parte del fan Andy Roberts, all’epoca responsabile dei trucchi per la rivista Commodore Format, tuttavia il gioco esce nell’estate del 1992, ovvero il momento in cui i videgiocatori pensano solo ed esclusivamente alla versione per Super Famicom di Street Fighter 2, vendendo vecchi computer a otto e sedici bit come noccioline pur di avere denaro sonante da barattare in cambio di console giapponesi foriere di hadoken.

Ci sarebbero ancora tantissimi titoli di cui parlare, ma il tempo che dedico annualmente al blog è tiranno e abbiamo coperto l’epoca d’oro di Thalamus egregiamente, pronti ad affrontare la sua dipartita, in seguito alla bancarotta di Newsfield nell’autunno del 1991. Pochi titoli come il già citato seguito di C.R.E.A.T.U.R.E.S. e lo squisito platform Nobby the Aardvark riuscirono a vedere la luce dopo l’infausta data, mentre la compagnia lottava fino alla fine, stringendo alleanza con l’etichetta economica Kixx per battere cassa, ripubblicando vecchi successi in formato budget. È un peccato  per una software house tanto prestigiosa che il titolo finale sia stato S.U.B. per Amiga, un gioco di strategia mai pubblicato causa fondi, tuttavia tristemente recensito da Amiga Power con un mesto 62%.

sabato 5 maggio 2018

Una breve, superficiale storia della System 3


“La perfezione è l’unico standard accettabile”. Era questa il roboante motto di Mark Cale, cofondatore di una realtà capace di incarnare in un curriculum costellato di successi il momento più alto della storia del Commodore 64. Ci piace Mark Cale, spocchioso e arrogante in modo irresistibile, e non solo per via dei suoi slogan megalomani. In giovinezza era uno degli assistenti del celebre fotografo inglese Norman Parkinson, una vera e propria leggenda anglosassone, e veniva mandato occasionalmente a scattare foto presso Atari UK dove era solito sbeffeggiare lo staff per la scadente qualità dei giochi per 2600. Un comportamento adorabile che richiamò l’attenzione del direttore per lo sviluppo software Jon Nerledge. Quest'ultimo, un attimo stizzito, consigliò a Mark di fondare la propria software house per scrivere e pubblicare titoli all'altezza dei suoi gusti raffinati. E così fu: già abbondantemente stufo della carriera da fotografo, Mark tirò sul carrozzone l’amico Emerson Best e uno studente di informatica, tale Michael Koo. Quest’ultimo se ne andò prestissimo, ma va citato perché il corso che frequentava si chiamava System Studies.

Un bel nome, e considerando che loro erano in tre…



Sì, decisamente è un gioco per Atari 800...
Colony 7 è il loro primo gioco, e risale al 1982. Uno sparatutto ben confezionato in grado di sfruttare efficacemente l’accesa palette dei computer a otto bit Atari, basato senza troppo pudore su un omonimo coin-op Taito uscito appena un anno prima.

Stesso titolo, o quasi, in sala giochi.
Un inizio incoraggiante a cui seguirono Lazer Cycle (1983) su BBC Micro ma, soprattutto, il bellissimo (ok, per l’epoca) Death Star Interceptor nel 1984, uno dei primi giochi su licenza di Guerre Stellari.

Non parliamo dei diritti cinematografici, visto che l’accordo riguardava solamente la colonna sonora di John Williams, tuttavia si trattava di un brillante arcade in terza persona che consegnava nelle mani dei nerd di allora la possibilità di mettersi alla cloche di qualcosa assai simile a un X-Wing e lanciarsi contro nugoli di Tie-Fighter (rigorosamente non ufficiali) per spingersi fino al duello con la versione tarocca dell’arma imperiale più amata dai residenti di Alderaan.

Made in China.
Insomma, sebbene la licenza fosse un po’ tirata per i capelli (nel secondo livello capita di abbattere anche altri X-Wing assieme ai bersagli imperiali), il gioco riscosse un buon successo tra le riviste di allora, specialmente riguardo la versione Spectrum, forte del parlato digitalizzato (“Prepare to launch!”) assente su Commodore 64.

Inebriato dal traguardo, Marc viaggiò negli Stati Uniti per riuscire a vendere i diritti del gioco oltreoceano, ma, a sorpresa, avvenne il contrario, e fece ritorno in Inghilterra con alcuni giochi prodotti da Tronix. Da un giorno all’altro, System 3 era diventato il primo publisher europeo a importare videogiochi dagli Stati Uniti. Meglio ancora, Mark era entrato in contatto con Activision, a sua volta in procinto di sbarcare sul mercato europeo con la succosissima licenza di Ghostbusters a seguito. Urgeva entrare nelle grazie del peloso quanto geniale David Crane, e International Karate pareva il gioco adatto per impressionare gli yankee. Un titolo scritto col cuore, personalmente dettato dall’amore di Emerson Best per il taekwondo, disciplina che padroneggiava a livelli tali da garantirgli un posto nella squadra britannica. Ma anche un gioco nato sotto una pessima stella, commissionato a LT Software e portato avanti tra notevoli sofferenze, come una versione Spectrum discretamente oscena e programmatori assenteisti. Come colpo di grazia, lo stesso Emerson lasciò la compagnia, lasciando Mark completamente solo a dirigere la baracca. Come ci si presenta, quindi, al PCW Show del 1985 con un gioco annunciato, ma di cui non si ha in mano assolutamente nulla?

Con uno spettacolo al limite del kitsch, ecco come!

Tre dominatrici scarsamente abbigliate davano spettacolo per promuovere Twister: Mother of Harlots, uno dei primi giochi creati dalla Sensible Software di Jon Hare, precedentemente illustratore presso la stessa LT Software. Come extra, dei karateka spaccavano tutto quello che c’era da distruggere tra tavolette e tegole per pubblicizzare il fantomatico International Karate, il tutto mentre gli organizzatori della fiera minacciavano di togliere la corrente allo stand, ritenendo lo spettacolo non adatto ai più giovani.

Activision però non si lasciò scomporre da una simile quisquilia e firmò un accordo per distribuire i giochi di System 3, finanziando lo sviluppo e intascando una fetta dei proventi. Un traguardo eccezionale, e Twister (1986, per l’occasiona rinominato in Mother of Charlotte) fu il primo gioco a beneficiarne. Col senno di poi, si tratta di una sorta di incrocio tra Disc of Tron e Space Harrier sotto anfetamine contro nemici fuori di testa, nel caso provaste il malsano desiderio di recuperarlo.

Pare American Gladiator, ma è lo stand di System 3

Un risultato diverso dalle aspettative iniziali, che vedevano il favorito International Karate debuttare per primo sotto il vessillo Activision. Specialmente dopo che LT Software era stata saggiamente accantonata a favore di un Archer MacLean in gran spolvero e reduce dal successo di Dropzone. Fu colpa di Scott Orr, capo dell’etichetta Gamestar che Activision aveva precedentemente acquisito, attratta dalla sua singolare produzione sportiva. Egli reputò l’idea alla base del gioco perdente in partenza e assolutamente inadatta al pubblico americano, concedendo quindi i diritti a Epyx che distribuì il gioco negli Stati Uniti col nome World Karate Championship.

Orr in seguito avrebbe creato l’importantissima serie Madden Football una volta emigrato in Electronic Arts, tuttavia riguardo International Karate non fu affatto lungimirante, dato che il gioco, nella sua incarnazione a stelle e strisce, fu un enorme successo, dominando le classifiche di vendita e facendo intuire alla direzione di Activision che Mark Cale aveva le idee assai chiare su cosa rendeva vincente un videogioco. Il polverone causato da Data East riguardo il presunto plagio ai danni di Karate Champ non fu altro che pubblicità gratuita, contribuendo a cementare la fama di un gioco di per sé popolarissimo.

Il bello però doveva ancora venire, come concordavano all’unisono i ragazzi inglesi che decretarono The Last Ninja il gioco dell’anno 1987 grazie a un sondaggio pubblicato sulle pagine di Zzap!64. Cosa si poteva fare, altrimenti, di fronte alla spiazzante bellezza di quell’avventura isometrica che faceva improvvisamente tornare in auge le arti marziali sugli schermi a otto bit, condannando nel frattempo il pur glorioso Filmation Engine di Ultimate Play the Game allo sfasciacarrozze?

The Last Ninja, un gioco che amo, ma che il mio amico Babich disprezza. La Guerra Civile è scoppiata per molto meno.


Ironia della sorte, Mark decise di sviluppare il gioco perché era stato in gioventù un accanito fan di Adventure di Warren Robinett, brillante esponente della stessa ludoteca per VCS che amava prendere in giro durante i suoi servizi presso Atari.

Con John Twiddy al codice, Hugh Riley ai pennelli di una tavolozza che pare non essere invecchiata di un giorno e – dulcis in fundo – una colonna sonora tanto bella da far piangere lacrime di gioia ad opera di un Ben Daglish assolutamente divino, The Last Ninja ha piazzato quasi otto milioni copie in un’epoca dominata dalla pirateria. System 3 aveva iniziato a farsi un nome di tutto rispetto nella scena sessantaquattrista, lavorando con artisti di alto livelle e mantenendo una potente sinergia con Activision, che arrivava a commissionare alla software house di Mark Cale interventi sulla miriade di licenze che regolarmente gestiva, come ad esempio l’adattamento del film Predator nell’inverno del 1987. Stava diventando, inoltre, il punto di riferimento per i patiti delle arti marziali digitali tra karateka, ninja e lottatori di muay thai grazie all’uscita dell’impressionante quanto controverso Bangkok Knights (1987), con i suoi sprite giganteschi e un’anima oscura volta al button mashing più becero. Un difetto su cui all’epoca si poteva tranquillamente chiudere un occhio quando si impugnava il joystick davanti a personaggi così grossi, fluidi e dettagliati. Stavolta la colonna sonora è firmata da Rob Hubbard e Mark pensa in grande, stipando la stampa britannica su un aereo alla volta della Tailandia per mostrarle un vero incontro di boxe tailandese!

Mi piacciono molto le specialità locali lì dietro, con il suino dall'espressione rassegnata.
Non a caso il gioco vede la luce anche sugli emergenti sistemi a sedici bit, purtroppo perdendo per strada lo stupore suscitato dalla versione per il meno potente Commodore 64.
System 3 era quindi inarrestabile e, dopo Bangkok Knights, fu la volta del dovuto The Last Ninja 2 (1988), un secondo capitolo capace di sbriciolare il record dell’illustre predecessore piazzando lo sproposito di 13 milioni di copie vendute complessivamente.

Ah, nel caso lo spocchioso amico nerd appassionato di fumetti DC (LOL) vi presentasse una lista a suo dire completa di giochi con comparsate di Superman, voi zittitelo con QUESTO.



Vera e propria pietra miliare della storia del Commodore 64, questo secondo capitolo è ambientato nella New York dei giorni nostri sulle tracce del redivivo spirito dello shogun Kunitoki, e vanta una realizzazione – se possibile – superiore alla prima avventura del ninja Armakuni. Si tratta nuovamente di un’avventura arcade in chiave isometrica, ma gli enigmi che avevano conquistato il cuore del popolo sessantaquattrista vengono brillantemente reinterpretati nel contesto urbano, migliorando nel frattempo animazioni e collisioni, specie nel caso dei tremendi salti che costringevano i giocatori a vere e proprie cacce al pixel.

L'odio, quello vero...
Io e il mio amico Paolo lo sappiamo bene, marcavamo col pennarello il televisore nelle zone in cui Armakuni era al sicuro, evitando di sprofondare in paludi e fossi vari.

... ma nel seguito, i salti fatali sono presenti in numero minore, e più permissivi.

The Last Ninja 2 è stato un gioco importante, tanto da convincere System 3 a proporlo come titolo di lancio per il mai pubblicato Konix Multisystem.
Jon Steele, ex programmatore di Attention to Detail, era al lavoro sul gioco prima della cancellazione di programma e console, e recentemente ha portato alla luce alcuni floppy colmi di dati che testimoniano l’eccellente resa su una macchina che, sfortunatamente, non abbiamo mai potuto toccare con mano. Una testimonianza d'oro, emersa in seguito all’uscita dello Slipstream, il primo e unico emulatore per la macchina fantasma di Konix, creato in seguito al recupero di un kit di sviluppo.

Quanto vorrei giocarlo...
Un gioco tanto importante da spingere Ultimate Play the Game a entrare in contatto con System 3 per realizzare una versione per NES.
Una proposta rifiutata, un po’ per il solido legame con Activision, un po’ per superbia: Ultimate Play the Game era un nome enorme su Spectrum, ma la sua produzione per Commodore 64 non aveva mai brillato particolarmente e appariva quasi amatoriale di fronte alle gemme sfornate da System 3.
Con il senno di poi chi lo sa, magari passare dalla parte degli Stampers sarebbe stata una mossa vincente in previsione del fattaccio in cui si trovò invischiata Activision per colpa di Magnavox, che accusava la casa più odiata da Ray Kassar di aver in qualche modo infranto alcuni brevetti riguardanti i videogiochi domestici (trovate i dettagli online sull’ottimo patentarcade.com).
Activision uscì dalla causa estremamente provata, con forti ripercussioni su System 3 che, tra videogiochi sviluppati internamente e lavori su licenza, si occupava di una fetta considerevolmente ampia della sua produzione sul finire degli anni Ottanta, e il denaro dovuto dall’ormai sfiancata azienda di David Crane e soci venne pagato solo in parte.

Al di là della sopraffina programmazione di Stanley Schembri, Vendetta (1990) è un mediocre gioco d'azione in chiave isometrica che ricorda solo graficamente The Last Ninja.
Forse anche per questo il legame dorato tra le due software house cessò nel 1990, lasciando System 3 priva di un publisher d’eccezione, tuttavia sempre più determinata a sfornare titoli di qualità. Andando in ordine sparso, nel 1987 è la volta di International Karate + di cui potete leggere qualcosa in un vecchio articolo. Altro successo fu Myth nel 1989, un’avventura arcade con contorno di piattaforme che “riciclava” la premiata coppia Peter Baron & Bob Stevenson, già artefici qualche mese prima dell’ottima conversione di Salamander, assieme al maestro del SID Jeroen Tel per un viaggio attraverso diverse ere, capace di alzare ancora di più l’asticella dei prodotti System 3.

Altri titoli degni di lode sono l’insolito (per la produzione di System 3, per lo meno) sparatutto Dominator (1989) e Tusker, ennesima avventura arcade, stavolta caratterizzata da un look à la Indiana Jones e da una gestazione problematica: Ace parlava di un paio di false partenze, corredando le anteprime dell’epoca con schermate che mostrano nemici inesistenti nel prodotto finale, mentre meccaniche acerbe, una longevità mediocre e un sacco di oggetti privi d’utilità lasciano intuire che il gioco venne confezionato in fretta e furia per uscire nell’autunno del 1989 e non scontrarsi nella stagione natalizia contro Myth. L’aria del cambiamento arriva con Flimbo’s Quest nell’estate del 1990, un gioco di piattaforme colorato e spensierato che viene pubblicato per la prima volta senza l’apporto di Activision.

Scimmie e cinghiali assenti nella versione definitiva
È la qualità del portfolio ad attutire la caduta della software house, perché i giochi System 3 iniziano a venire venduti in bundle assieme ai computer Commodore (Flimbo’s Quest addirittura figura tra i giochi allegati allo sfortunato GS) e questo permette a Cale e compagni di continuare a realizzare titoli all’avanguardia su Commodore 64 quando oramai il mercato iniziava a guardare oltre, vedi lo straordinario gioco di combattimenti stradali Turbo Charge, scritto dal leggendario Chris Butler, e il necessario – dopotutto la trilogia andava conclusa ad ogni costo – The Last Ninja 3, che conquista un altisonante 100% sulle pagine di Your Commodore.

Presentazione audiovisiva ai massimi livelli in Turbo Charge, un'esclusiva per Commodore 64.

Il successivo periodo è di transizione, ma costellato di importanti pubblicazioni: poiché circuiti e silicio sono ben più costosi di floppy e cassette, System 3 si avvicina al mercato console cautamente, formando alleanze all’occorrenza. Se Super Putty (versione pubblicata nel 1993 per Super Famicom di Putty, gioco uscito nel 1992 su Amiga e caratterizzato da una genesi tragicomica a causa di allucinazioni dovute all’afa indiana per il programmatore Phil Thornton) fa debuttare lo studio sul sedici bit Nintendo, il suo arrivo passa attraverso distributori quali US Gold e Varie Corporation, a seconda della regione. In maniera simile, System 3 stessa si adopera per distribuire in Europa lo sparatutto isometrico Desert Fighter (Air Sea Patrol in origine, 1994), creato dalla giapponese Opus Studio e ispirato al successo di Desert Strike di Electronic Arts.
Fu però la pubblicazione di Constructor per PC (1997) a rilanciare il marchio in un periodo in cui i fasti sulle macchine Commodore parevano pericolosamente distanti. Il successo di questo scanzonato strategico in tempo reale fu tale da creare una collaborazione con Virgin Interactive per la distribuzione in Europa di titoli per PSX quali Battle Arena Tohshinden 4 o Guilty Gear, seguito a ruota dalla proficua etichetta Play it per PS2, incentrata su titoli a basso costo per un mercato casual, come la compilation Intellivision Lives.

Dopo titoli multipiattaforma quali Ferrari Challenge Trofeo Pirelli (2008) e incursioni nel passato, vedi il remake di Impossible Mission per Nintendo DS pubblicato nel 2007, il futuro della compagnia è al momento un'incognita.