mercoledì 12 novembre 2014

And so this is Jagfest...

Per essere una macchina orgogliosamente a stelle e strisce, con tanto di patriottica bandiera americana in bella vista sulla confezione, l'Atari Jaguar vanta un'anima inequivocabilmente inglese. Nasce come Blossom, una console a metà strada tra i sedici e i trentadue bit nel 1989, sotto la supervisione di Richard Miller, in passato al lavoro sul Konix Multisystem. Dopo un brainstorming con Martin Brennan, suo ex collega di Flare Technology, il progetto venne rinominato Panther.

Perché le pantere sono animali fighi? No, non proprio.

Miao!

La moglie di Martin aveva comprato una Panther Kallista, ecco perché.

Solo che lì, nel vecchio continente, erano al lavoro sul Flare II, una macchina il cui punto forte era l'elaborazione poligonale, da Martin vista come il futuro. Atari si dimostrò immediatamente interessata e ricettiva, tanto che il Panther venne abbandonato a favore del nuovo progetto, ribattezzato Jaguar sempre per motivi automobilistici: il nome di una scuderia aglosassone tanto prestigiosa sarebbe stato il migliore auspicio per una console sviluppata in Inghilterra.
All'epoca Jack Tramiel in persona scrisse una lettera al famoso marchio automobilistico, chiedendo se non ci fossero problemi nell'utilizzo del nome.

Già che siamo in argomento, per fugare del tutto la credenza popolare che vuole la dirigenza Atari in fissa con i felini, il Lynx porta quel nome per richiamare la capacità di collegare più esemplari della console e giocare assieme.

Tornando al nostro Jaguar, la cosa più affascinante di una macchina tanto sfortunata (la storia commerciale la conoscete) è che i programmatori del vecchio continente apparivano inspiegabilmente più talentuosi rispetto ai colleghi americani. Questo semplicemente perché gli yankee erano abituati a programmare con i guanti grazie ai bios e alle interfacce di Apple II e Windows, ricorda David Wightman, il programmatore di Baldies. Gli europei in questo senso si erano fatti le ossa, sporcandosi le mani con l'assembly al livello più basso, dopo decenni di esperienza su computer a otto e sedici bit.
A tutti gli effetti, Jaguar è stata l'ultima macchina su cui un genio come Jeff Minter poteva scatenarsi senza i limiti imposti dai kit di sviluppo.

Eppure, gira e rigira, il Jaguar non lo trovi di solito nelle tante manifestazioni e/o serate dedicate al videogioco del passato. Sarà che la qualità degli emulatori è quella che è, sarà che la console ha questa reputazione di avere solo giochi brutti. Buona la seconda, direi.

Ecco, questo è un altro mito da sfatare. Super Burnout, i due Iron Soldier, Rayman, Tempest 2000, Aliens vs Predator e una signora conversione del richiestissimo Doom sarebbero qui a dimostrare che la ludoteca della macchina Atari era quantomeno dotata di una variegata scelta, ma a quei tempi, semplicemente, il pubblico voleva giocare altro.
Molti titoli erano conversioni frettolose di roba già vista sulle vecchie (e più accessibili) console a sedici bit, mentre se da una parte Playstation prometteva avveniristici universi poligonali, dall'altra Saturn era forte delle sue conversioni arcade in un'epoca in cui le sale giochi esercitavano ancora un fortissimo richiamo.

Un ottimo motivo per possedere un Jaguar.
Dopo un breve riassunto storico, passiamo ai fatti: nel primo fine setimana di Novembre si è tenuta a Forlì la terza edizione dell'Italian Jagfest, manifestazione dedicata principalmente alla console Atari di cui sopra, senza però escludere gli altri sistemi della casa americana e il videogioco del passato, in generale.

Personalmente non ero mai stato ad un Jagfest prima d'ora, una mancanza che dovevo colmare a tutti i costi.
Perché col senno di poi si tratta in effetti della manifestazione videoludica che più riflette il mio modo di vivere il retrogaming.

Il talentuoso Giamarco Esposito ha realizzato le locandine dell'evento, questa ispirata all'infame Communist Mutants from Space per Starpath.
Lontana dai riflettori di una Gamesweek qualsiasi, è un appuntamento di nicchia per un pubblico altrettanto di nicchia, affamato di quelle curiosità che non troverebbe altrove. Perché un Megadrive con Twinkle Tale te lo mette sotto il naso qualsiasi figlio di papà con un portafogli abbastanza capiente, ma davanti a un rarissimo (unico al mondo funzionante e ad alta risoluzione?) casco da realtà virtuale per Jaguar, beh, lì non c'è Mastercard che tenga.

Che poi non si tratta di un pezzo da museo tenuto sotto stretta sorveglianza. O meglio, avrebbe tutti i numeri per esserlo, di certo molto più di un Super Nintendo in una bacheca di vetro dalle parti di Roma, per intenderci; ciononostante l'ho potuto provare di persona giocando a Missile Command 3D, assistendo a una affascinante evoluzione a base di power up, boss e poligoni della formula originale che tanti incubi aveva causato al povero Dave Theurer. 

Gran gioco, ma provarlo con il visore è un'esperienza quasi esoterica.
Sebbene il gioco in sé sia facilmente recuperabile, non lo avrei potuto provare in nessun altro luogo al mondo con un simile, unico hardware dedicato. 

Ma non solo lui, la lista è invero lunga: ad esempio ho potuto giocare il tanto desiderato Double Dragon per Zeebo, creato dai Million Inc. (attuali possessori del marchio con il benestare di Kishimoto, nientemeno) ricalcando la formula dell'episodio Advance per GBA, così come il leggendario GORF per Jaguar CD, un homebrew ritirato in fretta e furia per una questione di diritti con Bally Midway nonostante la benedizione della creatrice Jamie Fenton (all'epoca Jay) in persona: una gioco impossibile da trovare se non con la giusta combinazione di fortuna e mazzette da cento euro.

Si tratta dell'unico adattamento comprendente il terzo livello ispirato a Galaxian (qui GalaxianS, errore di Fenton), tagliato fuori in tutte le altre conversioni a causa dei diritti per la distribuzione del coin-op Namco, allora in mano a Bally Midway e inopportunamente scaduti proprio quando il gioco doveva raggiungere i sistemi domestici.
L'unica versione con il livello "Galaxians", tagliata in passato per dei diritti scaduti un po' troppo presto....
Questo è un po' il punto di forza dei fratelli Pasquali (titolari del negozio Brain Fusion nonché organizzatori dell'evento) e della cricca di amici che hanno attorno. Un bel videogioco, per quanto raro, è lì per essere giocato e goduto, non per rimanere ad ammuffire dentro qualche cassaforte.

Si poteva provare tutto, la compagnia era appassionata e goliardica al punto giusto (sono videoGIOCHI, dopotutto) e l'hardware originale abbinato a vecchi CRT restituiva l'unico, vero feel retro che nessun emulatore su schermo LCD o proiettore potrà mai eguagliare.
E' un evento apparentemente cucito su misura attorno al retrogamer hardcore, ma, da quanto ho visto, anche i più giovani parevano divertirsi un mondo assieme alla banda di matti che si era riunita in quel di Forlì. Personalmente è stato un motivo per interessarmi allo studio dei computer a otto bit di Atari, e ho già iniziato a portarmi a casa qualche pezzo, desideroso d'amore informatico.

Una manifestazione che vale appieno il prezzo d'ingresso che, a scanso di equivoci, è assolutamente gratuito: mi rivedrete l'anno prossimo ragazzi, ché devo ancora giocare Tempest 2000 con lo spinner.